Concerto dai grandi numeri al castello di Udine con la cover band Pink Sonic che ha interpretato i Pink Floyd di David Gilmour come erano soprattutto nel concerto di Venezia del 1989 e in quelli del 1994 documentati dal live album Pulse con relativi video. La tecnica mimetica dei Pink Sonic è praticamente perfetta, tra il loro modo di suonare e il loro modello non c’è quasi differenza a parte alcune quasi impercettibili sfumature (l’intonazione della voce, la pronuncia, il suono del basso, piccole pause e altre inezie). La loro è stata una riproduzione pedissequa del concerto della band di Gilmour, perfino le affascinanti e morbide coriste in tubino nero eseguivano le medesime coreografie di quelle originali e il pubblico è sembrato gradire moltissimo.

Del leader della band, il chitarrista Francesco Pavananda, troviamo sul suo sito che: da oltre vent’anni vive con 33 gatti in alta montagna appartato dal mondo ed in questi luoghi remoti, in piena solitudine si dedica giorno e notte alla perenne e inesauribile ricerca del Sound e del Ring perfetto. La sua casa colma di amplificatori, chitarre e diavolerie di ogni tipo diventa così lo scenario ideale e suggestivo per la ricerca spasmodica dell’anima, del sound di David Gilmour.

Il resto è conseguenza.

Set list: Shine On you Crazy Diamond, Learning to Fly, Yet Another Movie, Sorrow, Astronomy Domine, She will take it back someday, One of these days, Hey you, Time, The great gig in the sky, Wish you where here, Money, On the turning away, (Encore) Another brick in the wall (Part 2), Confortably Numb, Run like Hell

Ecco, la recensione potrebbe finire anche qui, non ci sarebbe molto altro da dire, oltre a questi freddi “numeri”, se non ci si soffermasse un attimo sul senso di ciò che si è visto e ascoltato. Posto che la musica è uno degli strumenti di conoscenza più alti che ci è stato donato, è legittimo interrogarci sul significato profondo di un’operazione fotocopia come quella andata in scena nella piazza d’armi del castello di Udine.

Per cercare di comprenderlo, è necessario andare un po’ alla storia del Pink Floyd e al significato dei loro brani che non è per niente esornativo.

Durante il famoso tour negli Stati Uniti di The Wall, lo spettacolo che promuoveva il disco prevedeva per la prima metà dell’esibizione la presenza sul palco di una band surrogato (Surrogate band) i cui quattro componenti portavano sul volto una maschera in lattice che riproduceva esattamente i tratti somatici dei musicisti titolari che suonavano nascosti dietro le quinte (Playback) e dietro l’enorme muro che veniva eretto durante lo show. Dopo una decina di brani l’arcano veniva risolto e i quattro si facevano sul proscenio con i loro strumenti.

La band e in special modo la sua mente pensante, Roger Waters, voleva esprimere la totale alienazione che provava nei confronti dello show business e perfino nei confronti del pubblico. I Pink Floyd si sentivano di essere diventati solo una macchina da soldi, la loro musica non era più percepita come un mezzo di conoscenza, di consapevolezza sociale e politica come nel decennio precedente e com’era nelle loro intenzioni. I tempi stavano rapidamente cambiando e l’età dell’edonismo reganiano cominciava ad essere prossima. I famigerati anni’80 del consumismo, del neo colonialismo e del disimpegno bussavano alle porte dei molto più impegnati anni ‘70, il riflusso era già cominciato e i maiali (Pigs) erano di nuovo saldamente al potere, lo sono ancora.

La genesi stessa di The Wall che narra del fallimento morale, personale e pubblico di una rockstar che ha un crollo durante una faticosa tournée, prese le mosse da un terribile incidente accorso a Roger Waters durante il tour di Animals e anche dalla triste vicenda di Syd Barret, il primo leader della band che, a causa dell’abuso di droghe e di una grave depressione, era scivolato nella follia e nell’apatia.

Il bassista, durante un concerto, infuriato contro uno scalmanato ragazzino delle prime file, finì per sputargli dritto in faccia. Il fattaccio, che ebbe vastissima e maligna eco sui media che lo ampliarono a dismisura, provocò una specie di shock interiore allo stesso Waters che cominciò a ripensare alla sua figura di musicista e di uomo.

Sottoposto alle gravi pressioni e ai ritmi forsennati del mondo dello spettacolo, da ormai vent’anni, Waters sentiva di cominciare a perdere il contatto con la realtà chiudendosi in un mondo d’autoritarismo e follia narcisistica. L’opera The Wall gli servirà come autoanalisi, mettendo in scena tutte le sue nevrosi attraverso il personaggio della rockstar Pinky (interpretato da Bob Geldof nel celebre film).

Ne seguì una profonda rottura con gli altri membri della band che invece avevano ancora tutta l’intenzione di bearsi e di pascersi nei milioni che il mondo dello spettacolo gli garantiva con un minimo sforzo. La successiva rottura e quasi un decennio di cause legali per lo sfruttamento del nome furono l’inevitabile strascico di tutta quell’amarezza covata per anni sulle assi dei palcoscenici di tutto il mondo.

Il risultato fu che Roger Waters proseguì con una trionfale carriera solistica che dura tutt’oggi all’insegna di una grandissima creatività e di un solido, indomabile impegno politico antifascista in favore degli sfruttati e dei più miserabili del mondo (Pigs rule the world, Fuck the pigs). Chi lo accusa di essere solamente un eccentrico musicista miliardario si guardi il film Us+Them di Sean Evans (2019) che documenta il suo ultimo militante tour mondiale e non avrà che da ricredersi.

Il resto del gruppo Richard Wright, Nick Mason guidati dal funambolico chitarrista David Gilmour diventarono davvero la band surrogato di se stessi con una serie di dischi e di tour dall’immenso successo planetario in termini di pubblico e soprattutto finanziario, che però dal punto di vista creativo ha lasciato spesso a desiderare, almeno nell’opinione dei fans più intransigenti.

I Pink Sonic del chitarrista Pavananda si ispirano assolutamente a questa seconda fase della storia dei Pink Floyd, di sicuro quella più mirabolante e scenografica con i fantasmagorici e faraonici concerti di Delicate sound of Thunder o del già citato Pulse, delle colossali pubblicazioni antologiche e del miliardario merchandising ma altrettanto povera nei contenuti e negli intenti.

Esiste una precisa e rilevabile differenza di sound e di atteggiamento mentale nelle due fasi. Nei Pink Floyd di Waters prevalgono nettamente la ricerca, il significato, l’introspezione e l’impegno anche politico, le vibrazioni grevi ed inquietanti del basso; in quelli di Gilmour la fanno da padroni il virtuosismo fine a se stesso, il divertimento, la magniloquenza, il business e per finire il banding esasperato della chitarra, ormai universalmente riconoscibile.

Ai Pink Sonic non interessano minimamente queste disquisizioni estetico metodologiche, vogliono solo imbastire uno spettacolo godibile e tecnicamente perfetto, senza troppi mal di testa o astrusi, capziosi ragionamenti. La musica dei Pink Floyd per loro è semplice, puro divertimento, meraviglia esornativa del pentagramma che emoziona il pubblico in modo diretto e nostalgico senza troppi problemi esistenziali. L’obiettivo è fornire un prodotto dalle altissime prestazioni, tornito e confezionato al meglio, con i suoni giusti, le luci, i filmati originali, le movenze feline delle coriste e i loro gorgheggi, tutto come nei concerti e nei dischi dei Pink Floyd di David Gilmour cioè di qualcun altro.

I Pink Sonic sono il perfetto clone della band di Gilmour, che a propria volta era il surrogato di quella di Waters, che nemmeno lui è mai stato tanto certo della propria identità. Discuterne sembra proprio roba da filosofi perditempo. Il discorso ricorda vagamente la dottrina della Mimesis di Platoneripreso dalla critica letteraria contemporanea, il termine indica generalmente la rappresentazione di una realtà ambientale, sociale culturale, ecc.., attuata perseguendo a vari livelli (ideologico stilistico, documentario ecc.) l’obiettivo di una riproduzione il più possibile realistica e impersonale di tali realtà”.

Nell’album Wish You Were Here del 1975 c’è un brano nel quale i Pink Floyd avevano riflettuto a fondo anzitempo sulla questione. In quegli anni, l’industria discografica globalizzata e feroce già minacciava di trasformarli in una macchina di riproduzione musicale, senza cuore e senza sentimenti, triturandoli nei propri ingranaggi di produzione-consumo della musica come qualunque altro oggetto della catena di montaggio del mondo trasformato in fabbrica.

Benvenuto figliolo

Benvenuto alla macchina

Cos’hai sognato?

Va tutto bene ti abbiamo detto cosa sognare.

Hai sognato una grande stella

Lui suonava la chitarra molto bene

Mangiava sempre nella bistecchiera

Amava guidare la sua Jaguar

Quindi il senso della recensione è: Welcome to the Machine!

© Flaviano Bosco per instArt