TARM live

Sindacato dei sogni, il nuovo album dei Tre Allegri Ragazzi Morti, ci regala tante buone emozioni sin dal primo ascolto. Alcune canzoni della band che ha già pubblicato una quindicina di dischi entrano nella playlist (già piuttosto ricca) dei classici del gruppo che con la sua spiccata originalità ha già da tempo occupato uno spazio insostituibile nel panorama della musica italiana. Le liriche, sempre ispirate ed evocatrici di immagini, la musica diretta e ben strutturata, l’inconfondibile voce di Davide Toffolo sono divenute una sorta di stampo. Uno stampo così forte da essere già oggetto di imitazioni ed emulazioni. Ultimamente in più di un’occasione mi è capitato di ascoltare un brano e commentare: “Bravi, ma troppo simili ai TARM”. Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni hanno sondato diversi terreni stilistici a partire Piccolo Intervento a vivo, l’album che nel 1997 ha segnato il loro esordio ufficiale. Passando per il punk-rock’n’roll al reggae, al dub, perfino a sperimentazioni swing, il risultato non cambia, è sempre positivo e anche sorprendente. Le belle canzoni restano sempre belle canzoni e il terribile trio mascherato ne ha sfornate una quantità veramente notevole di belle canzoni. Vogliamo ricordarne qualcuna, giusto per rinfrescare la memoria? Mai come voi, Ogni adolescenza, Il mondo prima, La mia vita senza te, La ballata delle ossa, Alle anime perse, Di che cosa parla veramente una canzone … e direi che potremmo proseguire per un bel po’! I TARM sono giunti alla registrazione del Sindacato dei sogni attraverso un percorso mai banale (per me la loro vetta è Nel giardino dei fantasmi del 2012, ma si tratta di opinioni personali) e non hanno mai dato segni di stanchezza artistica.

La cover di “Sindacato dei sogni”, nuovo album dei Tre Allegri Ragazzi Morti

Osservando con curiosità i tre gattini bianchi di porcellana raffigurati nella copertina della nuova opera del trio di “Pordenone & Dintorni” iniziamo ad ascoltare il disco, che si apre con Caramella, un bel brano marchiato TARM, fresco, con un ripetitivo ed efficace ritornello “Io sono te”.

Calamita illustra un’inedita e presumibilmente autobiografica cartolina di Pordenone, “La città di carta più piccola del mondo / dove c’è di sfondo il Fujiyama”. Un bellissimo riff chitarristico sottolinea altre sottili intuizioni narrative: “E soffro di paure da quando sono vecchio / sto bene solo qua, assieme ai solitari, ai soliti bovari, ai diventati ricchi, ai rovinati al bar”. E ancora: “Agli operai del Ghana / che da una settimana li hanno mandati a casa / ma dimmi quale casa”. Bravi e basta!

Dopo C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno che, in antitesi al vecchio hit C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, stigmatizza la facile omologazione che accresce la ricchezza di pochi causando la rovina di (quasi) tutti gli altri, arriva un’altra perla del disco: AAA Cercasi. E’ un pezzo con una linea melodica irresistibile, dove viene evocata una ragazza “Non credente / sessualmente abituata a fare tutto bene / capace di star sola quando vuole / di trovare le parole / di venire sottovoce e di urlare quando vuole”. Come tutti testi dei TARM, viene lasciato ampio spazio all’immaginazione dell’ascoltatore. Si tratta di un’ amore del passato o di un amore che si vorrebbe incontrare? Chi lo sa?

Accovacciata gigante ha un bel sound anni 60/70 con uno strano finale pieno di dissonanze vocali, ed è l’ennesimo brano ben riuscito del disco.

Bengala è una splendida ballata, uno di quei brani si possono ascoltare anche venti volte di seguito scoprendo ogni volta un nuovo significato, uno spunto di riflessione non colto all’inizio, un’altra strada mai percorsa. Per questa canzone i TARM hanno immaginato una sorta di 45 giri con due versioni. Il lato A è la versione con la band, che ha misteriosamente richiamato nella mia mente la struttura di Cherry bomb, un brano di John Mellencamp degli anni ’90, ed il lato B) propone la canzone con una magistrale orchestrazione ad archi registrata da Davide Rossi a Los Angeles. Bengala è anche diventato un cortometraggio grazie all’apporto del regista Michele Bernardi. Viene rappresentata la “storia più bella del mondo”, una natività in chiave moderna in uno scenario post-bellico, ispirata ai disegni di Richard Scarry. La sacra famiglia, dopo l’annunciazione, viaggia da Gerusalemme a Betlemme in Vespa, attraversando il muro divisorio fra Palestina e Israele. Imperdibili sia l’ascolto che la visione del video.

L’album continua con l’ipnotica Mi capirai (solo da morto): “Sarò per sempre un uomo libero / Ma dimmi tu la libertà senza i sogni cos’è” e con Difendere i mostri dalle persone, quest’ultima con testo di Mattia Cominotto che ha firmato assieme a Davide Toffolo anche Accovacciata gigante.

Non ci provare ha un testo intenso in linea con la poetica del gruppo, sempre a difesa della libertà e degli ultimi: “Non ci provare a mettermi in catene / io sono lo zingaro / io sono il mare / Sono il negro che ti fa paura / sono il povero da allontanare / sono un ragazzo morto / un gatto da scuoiare”.

Il disco termina con Una ceramica italiana persa in California, un lunghissimo brano in gran parte strumentale, molto ben suonato che mi ha portato a ricordare a tratti l’atmosfera di Riders on the storm dei Doors e di Time waits for no one dei Rolling Stones. Stranezze, o  meglio, solo emozioni. Emozioni che richiamano altre emozioni. Qualcuno ha trovato in questo brano anche i Kraftwerk! Anche questa canzone regala diversi spunti poetici: “Ho fatto a piedi tutta quanta la mia vita / per questo non riesco a stare fermo / Non chiedermi di essere diverso / Sarò con te se vuoi ma come sono”.

Applausi! Applausi e invito ad acquistare il CD e non a limitarsi agli ascolti online nelle piattaforme digitali che stanno imperversando su Internet. Il Sindacato dei sogni è ossigeno, è senz’altro un bellissimo album, probabilmente uno dei migliori dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

Abbiamo incontrato Enrico Molteni, bassista della formazione, che in esclusiva per InStart ha risposto alle nostre domande.

Enrico Molteni, il bassista dei TARM

Ciao Enrico. Innanzitutto. Siete contenti del Sindacato dei sogni? A noi è piaciuto tantissimo. Come stanno accogliendo l’album i vostri fans? 

Ciao, direi che siamo contenti del nostro disco, certo. Ogni volta che chiudi un disco hai sempre la sensazione che qualcosa potesse essere fatto meglio. Ma anche peggio. Il bello di essere un gruppo che si hanno sempre più teste concentrate sullo stesso lavoro. La gente ha preso bene questo disco, quelli che l’hanno sentito. A quelli che non l’hanno ascoltato dico di ascoltarlo e farci sapere.

Sindacato dei sogni è un titolo forte e forse anche provocatorio. Dobbiamo veramente preoccuparci di dover difendere in futuro la nostra libertà di sognare?

Sì, non è neanche posizionato in un futuro possibile, è nel presente che agisce il titolo. È la citazione di un gruppo che amiamo: The Dream Syndicate.

Il percorso dei Tre Allegri Ragazzi Morti inizia a Pordenone, ma anche nella sua periferia pedemontana, alla fine degli anni novanta e quindi siete assieme da oltre 20 anni. E’ stato difficile condividere le scelte artistiche ed i progetti del gruppo coniugando le vostre anime e le vostre diverse personalità?

Non è sempre facile andare d’accordo ma direi che siamo stati fortunati a trovarci, dico umanamente, e siamo stati bravi a tenere vivo il gruppo prima delle nostre esigenze personali. Serve un po’ di amore per ogni cosa che si fa.

Siete sempre stati dalla parte dell’autonomia e della libertà della musica, dando vita anche all’etichetta La Tempesta che ha prodotto artisti e progetti che nella scena nazionale occupano uno spazio di grande rilievo. Nonostante una costante ascesa della popolarità avete sempre mantenuto la purezza che alcuni vostri fans temono voi possiate perdere entrando in una Major. Cosa pensi di tutto ciò?

Le cose cambiano velocemente. Oggi i ragazzi non capiscono bene la differenza tra le possibilità di esprimersi. Noi siamo arrivati da anni di centri sociali occupati, di distinzioni nette di classe. Oggi se sei su major lo sei perché le tue cose funzionano e quindi sei figo, non risulti un “venduto”. È vero anche che mi sembra di capire che le major non intervengono più così tanto nelle imposizioni artistiche, quindi forse tutto ha più senso rispetto ad un tempo. Io vado comunque fiero del nostro percorso davvero indipendente.

L’esperienza live dei TARM con Lorenzo Jovanotti Cherubini, che ha cantato assieme a voi il brano “In questa grande città” nell’album “Inumani”, sicuramente positiva, è stata utile per avere una maggiore attenzione mediatica?

Più che altro l’effetto Jovanotti su di noi è stato quello di rendere credibile ed ufficiale quello che facciamo, togliendoci da quella situazione per cui sembra sia tutto un gioco. Riassunto in una frase: “Ah, ma allora se vi ha chiamato Jovanotti vuol dire che siete forti. Bravi”. Anche se facevamo le stesse cose già da una centina d’anni.

Rispetto agli inizi, da un po’ di tempo, sia in studio che in concerto, siete affiancati da alcuni musicisti. Nel Sindacato dei Sogni è presente, fra gli altri, anche Francesco Bearzatti. Ci vuoi dire qualcosa a proposito di queste collaborazioni?

Volevamo un sax sexy e selvaggio, abbiamo trovato nel nostro concittadino residente a Parigi ciò che cercavamo. Ci piace circondarci di musicisti molto bravi.

Tra i brani dell’album mi sono innamorato di Bengala. E’ la stessa cosa anche per il pubblico che vi segue nei vostri concerti? Ci vuoi dire qualcosa su questo brano?

Bengala piace molto, viene anche bene dal vivo, è relativamente facile da suonare. È la mia canzone preferita dell’album. Parla di… non lo so di preciso. È la fine di una festa. Sembra La Liberazione, ma potrebbe essere il giorno della fine di una guerra in qualsiasi città del mondo. È da gridare.

Ogni album ha un proprio percorso e una propria costruzione. Il nuovo album è arrivato a circa due anni di distanza da “Inumani”. Le canzoni del Sindacato dei sogni sono tutte nuove oppure alcune erano già in fase di elaborazione?

No, sono tutte nuove. Alcune sono addirittura nate in studio, mentre registravamo, tra cui anche Bengala.

A differenza di tanti altri gruppi, quando ascolto un vostro brano mi sembra di vedere in sequenza le immagini di una storia, insomma le vostre canzoni a volte si possono “vedere” e non solo ascoltare. Cosa ne pensi?

Davide scrive così, certo. D’altro canto è un disegnatore di fumetti, lo schema mentale funziona allo stesso modo!

Una domanda difficilissima. Ognuno ha, non si sa perché, nel proprio cuore la preferenza per alcune canzoni. Suonando i vostri pezzi, c’è qualche brano dei TARM al quale ti senti particolarmente legato?

Sì, si chiama “Nuova identità”, del 2000. Non so bene perché, ma mi ricorda alcune cose come Glen or Glenda di Ed Wood, un certo emo di quegli anni, evoca bei ricordi.

Vi esibite da tanti anni in ogni parte dello stivale. Ci sono luoghi e comunità di persone che ti hanno particolarmente colpito?

Sicuramente. A me colpisce sempre la zona di Brescia, sono tutti molto divertenti, sono pazzi. Ma anche nel vicentino abbiamo un bel riscontro, anche in Sardegna. L’Italia è bellissima, è da anni che la giriamo e ancora non l’abbiamo vista tutta. Viva l’Italia.

Date già fissate del Tour “Sindacato dei sogni”

Le vostre canzoni parlano spesso degli ultimi, dei dimenticati, di emarginazione. Ti preoccupa un po’ l’attuale situazione, piena di conflitti, dove il termine “crisi” viene ripetuto ossessivamente dalla mattina alla sera? Non ti pare che quest’epoca stia creando sempre maggiori fasce di popolazione in difficoltà e disagio?

Non mi piacciono questi anni, mi sembra che abbiamo davvero perso di vista i valori fondamentali dell’essere umano. Solo insieme possiamo immaginare un futuro, dobbiamo volerci bene, dobbiamo studiare, dobbiamo accoglierci.

Avete sempre avuto un grande seguito da parte del pubblico giovane. Ultimamente gli interessi di questa fascia si sono fortemente spostati verso l’Hip Hop e i suoi sotto-generi. Come vedi il futuro musicale dei TARM e, più in generale, della musica italiana?

Una nuova ondata ha colpito l’Italia negli ultimi due/tre anni. Da un lato sono contento, aria nuova. Da un altro no, molte cose non mi piacciono. Ma forse è normale, ho 42 anni e so bene cosa mi piace. Sono davvero felice di aver la possibilità di ascoltare e riscoprire anche i dischi vecchi. Effettivamente forse non servirebbe neanche farne di nuovi, c’è così tanta roba da scoprire…

Forse è presto per parlare di progetti futuri, visto che Sindacato dei sogni è uscito solo in gennaio. Hai comunque qualche anticipazione per i lettori di InStart?

Mmmh, no direi di no, ora suoneremo per tutta l’estate e poi vedremo!

Enrico, ti ringraziamo per la tua disponibilità. In bocca al lupo per tutte le vostre attività artistiche, e, anche se pare quasi un ossimoro, “Lunga vita ai Tre Allegri ragazzi Morti”!

Ciao e grazie a voi!

© Franco Giordani per instArt