Come ogni grande città anche Trieste nasconde i propri autentici inferni. Alle sue porte le bocche del Timavo, che da millenni sono considerate le fauci dell’abisso, con le sue acque che sgorgano misteriose dalle profondità del mondo atro. Nelle vicinanze anche l’ipogeo dedicato al feroce dio Mitra che pretendeva sacrifici umani.

Tra le ceramiche meravigliose ed inquietanti del civico museo Winkelmann, proprio di fianco all’antica cattedrale di San Giusto, spiccano su un cratere etrusco le figure dei demoni Charun e Tuchulcha che conducono agli inferi una fanciulla. Tra le antefisse arcaiche (VIII a.C.) di origine tarantina, una gorgone con le zanne e serpenti per capelli ci fa la linguaccia nell’attesa di ghermirci e trascinarci nella sua città di ferro infuocato.

Un vero inferno sulla terra è precisamente in via Giovanni Palatucci al numero 5: è il campo di prigionia della Risiera di San Sabba, con le sue celle come porcili, la sala delle croci, la cella della morte e il monumento che ricorda il camino del forno crematorio dal quale passavano quelle anime che venivano asfissiate con il tubo di scappamento di un furgone nel cosiddetto “garage” dove venivano anche impiccate alle travi o finite a colpi di mazza ferrata, a migliaia.

Appena usciti da questo antro mostruoso ce ne sono subito di altro tipo: lo stadio di calcio, un grande centro commerciale all’ingrosso e una piccola trattoria che serve carni alla brace.

Naturalmente la città possiede altrettanti paradisi nelle sue meravigliose architetture, nelle preziose opere d’arte, nel suo mare, nella sua immensa cultura. Tra le perle che la sua conchiglia è riuscita a produrre c’è anche il Trieste Summer Rock Festival che nelle sue XVIII edizioni ha portato sui palcoscenici del capoluogo i giganti internazionali della musica rock progressiva sempre però mantenendo un occhio di riguardo alle giovani band nazionali.

Negli anni si sono potuti ascoltare grazie al lavoro del direttore artistico Davide Casali e dell’Associazione Musica Libera: Van Der Graaf Generator, Gong, Steve Hackett, Alan Parson, Caravan, Rick Wakeman, PFM, BMS e tanti altri che hanno deliziato i fan di tutte le età. Un vero paradiso.

La sede del festival da qualche anno è la suggestiva piazza d’armi del castello di San Giusto, scenario perfetto per la musica progressiva anche se ha un’acustica non ottimale. L’edizione 2021 si è aperta con l’Opening act dei Passover. Il gruppo triestino è capitanato dal sax soprano e dal clarinetto dell’organizzatore del festival Davide Casali e poi ci sono tre coriste, basso, chitarra e batteria, insomma, fin troppa “carne” sul palcoscenico. Presentavano il loro ultimo album “What do you Want?” suonando un hard prog di stampo classico “sanza ‘nfamia e sanza lodo”, epico e pomposo con alcuni interessanti accenni alla musica tradizionale ebraica klezmer per quanto riguarda gli intarsi delle ance del leader e con evidenti memorie floydiane per le parti chitarristiche. L’estasi delle coriste, che non hanno sfigurato ma che si atteggiavano a menadi durante un baccanale, è parsa francamente eccessiva anche se decisamente scenografica.

Cuore della serata, è stato il concerto di uno degli ensemble seminali della scena rock prog italiano: i Metamorfosi nella formazione attuale che vede gli storici fondatori Enrico Olivieri (Tastiere) Jimmy Spitalieri (voce) Leonardo Gallucci (Basso, chitarra 10 corde) Fabio Moresco (Batteria).

Sono gli autori nel 1973 di quello che è considerato come uno dei migliori lavori in assoluto del genere nel nostro paese. “Inferno” è ispirato alla prima cantica della Divina Commedia ed è, naturalmente, il primo dei tre lavori discografici che la band ha dedicato all’opera del sommo poeta; sono tre anche le partecipazioni della band nel corso degli anni al festival triestino.

Il percorso del Pellegrino è ormai completo, dalla selva oscura all’Empireo. I Metamorfosi hanno presentato un sunto dei loro lavori in musica sul Poema Sacro permettendo agli spettatori di farsi un’idea di una grande avventura progressiva che è durata più di quarant’anni. Per alcune traversie discografiche causate dal fallimento della Vedette records, la loro casa discografica, il gruppo riuscì a incidere solo il disco sulla prima cantica per poi sciogliersi. La reunion portò alla realizzazione di Paradiso nel 2004 ma già composto negli anni ‘70 e, in seguito, a quella di Purgatorio (2016). Lavori complessi dalle ottime tessiture ritmiche e armoniche, con parti vocali e testi spesso arditi ricavati dai versi dell’Alighieri, spesso rivisitati in chiave moderna che aggiornano ai temi della corruzione moderna, della tossicodipendenza, schiavitù, cattiva politica e tante orribili piaghe che appestano la nostra quotidianità. Il baricentro su disco e dal vivo sono decisamente le tastiere di Enrico Olivieri che non hanno mai fatto rimpiangere il fatto che il gruppo non abbia mai contemplato la chitarra elettrica (a parte sporadici interventi). L’esecuzione di Trieste è cominciata naturalmente dalla “Selva oscura” nella quale sono proprio le tastiere a sostenere la linea melodica con parti di basso di Gallucci all’altezza della situazione che non segue semplicemente il beat della gran cassa ma che è in grado di elaborare propri percorsi e tessere le proprie teorie.

L’organo hammond costruisce incubi e deliri degni della disperazione e dello smarrimento delle anime dannate che finiscono per trovarsi davanti alla Porta dell’inferno, così come s’intitola il secondo brano del concerto. “Lasciate ogni speranza o voi che entrate, anime dannate al caldo e al gelo soffrirete!”, canta Spitalieri, veglio d’antico serico pelo, sembra proprio Caron dimonio dagli occhi di bragia con le sue sopracciglia spesse e lo sguardo torvo: “Anime perse non sperate di rivedere il cielo nel fuoco eterno brucerete!” Sempre minaccioso e cattivo, intima con voce baritonale che non è più quella tonante di una volta ma che ancora riesce a incutere terrore con le sue intonazioni. La band è sostenuta e solida, anche grazie al drumming di Moresco che appare a volte perfino rabbioso, soprattutto nel brano “Spacciatore di droga” che dovrà pagare in eterno le lacrime e i dolori che ha causato ma “Non è con il denaro che pagherai”.

Più lieta anche se in un tormento lucido la parte dedicata ai Lussuriosi, girone nel quale si martirano Paolo da Polenta e la dolce Francesca da Rimini. Suggestivo senza volerlo il rumore dell’elicottero che a più riprese sorvola a bassa quota il castello. Sono le forze dell’ordine che vigilano sul consesso di demoni reali che si stava tenendo in quelle ore in città. E’ il G20 in una riunione di ministri sull’identità digitale e sulle tecnologie digitali che prepara i prossimi inferni.

La musica dei Metamorfosi non sembra per nulla datata, solo le parti vocali marcano il tempo passato con il loro tono melodrammatico e gli ardori operistici.

I veri peccati contemporanei sono quelli dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la schiavitù moderna del consumismo e del razzismo ancora oggi del tutto impuniti. L’inno americano e quello sovietico si fondono nelle note della tastiera che ricorda la mortale contrapposizione dei due blocchi di potere durante la Guerra Fredda che tanti dolori hanno causato nel mondo.

Sono proprio i politicanti ad aver tradito l’ideale dell’uomo e finiranno sbranati dalle zanne di Lucifero e che “immersi nel mare del Cocito geleranno per sempre”.

Con questa ultima sequenza in musica si conclude la prima cantica in prog. Prende corpo attraverso gli accordi della tastiera la salita del Purgatorio ma prima c’è l’incontro con Catone il guardiano e poi vediamo l’angelo che con la sua barca trasporta le anime dei penitenti, incontriamo il serpente del peccato originale, la Malastriscia, che viene cacciato dagli angeli con la spada fiammeggiante. Gli arrangiamenti sono molto coinvolgenti in un rock progressivo che a volte ricorda Emerson, Lake & Palmer. La resa scenica guadagnerebbe molto anche solo da un minimo gioco di luci o da qualche proiezione, i musicisti sul palcoscenico con le luci semplicemente accese fanno molto oratorio parrocchiale.

Testi molto più meditati e compatti danno maggior rilievo al cantato. Sfilano gli episodi della “Femmina Balba” con il suo fetore, della “Chiesa e dell’Impero” con il mancato equilibrio tra i due poteri e poi ancora quello del “Carro e dell’Aquila” con la processione simbolica più misteriosa ed esoterica di tutto il poema. Si arriva così alla luce accecante del paradiso in un puro rock blues progressivo. La band ha voluto, seguendo lo spirito dell’Alighieri, mettere proprio nella terza cantica la propria invettiva contro i potenti e contro la Curia, di quei preti che non pensano alla cura delle anime ma al proprio tornaconto.

Ci si muove di cielo in cielo, da quello di Venere (con un intervento alla chitarra acustica dieci corde di Gallucci) a quello di Marte fino al trionfo del bene ne la “Chiesa delle stelle”. L’unico rimpianto per questo ottimo concerto dei Metamorfosi è stato per i tempi contingentati. Molto interessante sarebbe trovare uno spazio raccolto acusticamente adatto per un’esecuzione integrale dei tre lavori che potrebbero essere apprezzati così nella loro monumentale interezza.

La Commedia è finita ma, nudo sotto un cielo nero io rinascerò”

La seconda serata del festival ha previsto il concerto de Le Orme, altra band che ha contribuito a fare grande il rock progressivo italiano. Per alcuni anni il cantante dei Metamorfosi, Jimmy Spitalieri ha militato anche nel gruppo mestrino. La collaborazione si interruppe proprio quando Metamorfosi si riformò per incidere “Purgatorio”. Vale la pena di riportare cosa scrisse il cantante in quell’occasione perché è un momento importante della storia del rock progressivo del nostro paese:

Ringrazio tutti amici e fans, su ragazzi, ma che cavolo, come ho sempre detto e ripetuto, anche se cantavo con Le Orme, io sono il fondatore, cantante etc. di Metamorfosi che, ringraziando “l’inventore” è viva e vegeta!!

Era destino ed era sottinteso che doveva succedere, è naturale e fisiologico che la collaborazione con Le Orme si sarebbe interrotta con l’entrata in studio di Metamorfosi per registrare il nuovo album “Purgatorio”, per poi tornare live per il nostro quarantennale, quindi sono contento sia per me che per i nostri tanti fans che da troppo tempo attendono questo evento.

Metamorfosi fa rock progressivo senza compromessi, e a riguardo, siamo sempre stati coerenti, questo noi vogliamo, ed è questo che si aspetta chi ci segue, e sono sicuro che con “Purgatorio” creeremo un concept all’altezza di “Inferno” che con “Paradiso” concluderà la trilogia dantesca, logicamente in puro stile “Metamorfosi”, quindi seguite “La scia”!!!

Infine, auguro a Le Orme di continuare il loro percorso con successo e magari, chissà in futuro, potremo ancora collaborare insieme. Per tre anni abbiamo girato l’Italia da Nord a Sud, poi il Giappone ecc. Tanti concerti, tanta stanchezza ma, tanti successi, oltre a questo rimane la mia voce in un live e soprattutto in un album bellissimo che è “La via della seta”…Ma se Michi Dei Rossi è Le Orme io sono Metamorfosi!!!”

Flaviano Bosco © instArt