Il colpo d’occhio di Villa Manin di Passariano nella serata del 7 agosto non era lo stesso di quello del concerto di Nile Rodgers: per il chitarrista funky il prato dell’esedra era traboccante di fans assetati di funk & soul, per i Tapir! il palchetto sistemato alla fine della barchessa un centinaio di persone divise tra curiosi, appassionati e qualche vacanziero casualmente a Passariano, interessato più al refrigerio dalla calura estiva che alla musica. Eppure il gruppo inglese ha dimostrato, attraverso un album, “The Pilgrim, Their God And The King Of My Decrepit Mountain” ed una manciata di singoli, di essere una promessa del pop d’oltremanica. Quello legato al folk, alla melodia non banale, ai suoni acustici mischiati a qualche accenno di elettricità. Si va da Nick Drake, ai Prefab Sprout, a qualche spruzzata di Penguin Cafe Orchestra per arrivare ai coevi Black Country New Road, presenti a Villa Manin la scorsa estate. Nella musica dei Tapir! non c’è il clamore dell’effetto fine a sé stesso, ma la cura certosina dei suoni, l’armonia e la calma da ora del tè.Bisogna quindi ringraziare gli organizzatori VignaPR e FVG Music Live, in collaborazione con l’Erpac FVG, per la volontà di presentare anche queste nuove e poco pubblicizzate realtà musicali, che agiscono da antidoto alla necrosi artistica di alcuni “Grandi Eventi”. Il sestetto, Ike Gray (voce, chitarra), Ronnie Longfellow (basso), Emily Hubbard (cornetta, sintetizzatori), Tom Rogers-Coltman (chitarra), Will McCrossan (tastiere), Wilfred Cartwright (batteria, violoncello), non si presenta con i crismi di una live band scafata, capace di coinvolgere il pubblico con suoni robusti ed effetti roboanti, ma con la consapevolezza di tenere il palco con la grazia di melodie quasi bucoliche che mettono di buon umore, con la pulizia del suono e con un’intensità di esecuzione che comunque conquista il pubblico presente. Non è poco per un gruppo che quando compare sul palco sembra uscito dalla quarta liceo e che parte con quello che è il brano a maggior presa del repertorio: intro di drum machine, un pigro piano sullo sfondo, chitarrine che si intrecciano con cornetta e violoncello, un coro che sostiene il vocalist Gray con un irresistibile ritornello.Questo era On A Grassy Knoll (We”ll Be Together), una vera delizia pop. Possiamo affermare che, senza perdersi in iperboli, il gruppo inglese riesce, al netto di qualche ingenuità, a trovare l’alchimia di suono e melodia che contraddistingue il verbo della canzone di tre minuti. Il concerto si assesta quindi su queste coordinate: Gymnopédie denota ascendenze quasi soul, Swallow ha un andamento ritmico più pronunciata, mentre The Nether (Face to Face) aggiunge spezie più ricercate (diremmo post punk) ad una cadenza pop leggiadra. Dopo un’ora la band si congeda con un bis “unplugged” di fronte ad un pubblico sinceramente conquistato dalla band. È il caso di dire che è stato un concerto “très chic”. Non è andata così bene ai Beak>, trio noto ai più per la presenza di Geoff Barrow dei Portishead alla batteria, coadiuvato da Billy Fuller (basso voce) e Will Young (chitarra e tastiere), vittime dei capricci atmosferici estivi. Peccato, perchè la serata del 2 agosto si preannunciava interessante visto che il gruppo, di fronte ad un pubblico di appassionati, tra i quali spiccava una delegazione naoniana, era partito alla grande con Brean Down: ritmo motorik, basso in evidenza, nervoso e deciso in simbiosi con una batteria chirurgica, mentre tastiere psych e chitarra acida si inserivano a dare spessore al tutto. I santini di Can e Neu! in salotto e lo spirito del post punk nel cuore. Roba che poteva scuotere per l’intera serata, non fosse stato per il minaccioso temporale che avanzava impaurendo la band ed in particolare Fuller, autore di siparietti polemici (con vena english però) con qualche spettatore forse ignaro dei rischi che potevano correre i musicisti. Dopo circa venti minuti di fronte all’ennesimo tuono la band ha deciso di sgombrare il palco. Decisione condivisibile, come dicevano i Can: Yoo Doo Right.
Daniele Paolitti per InstArt
Foto di G. Copetti