Dev’esserci stato un qualcuno e anche di famoso che sentenziò in qualche tempo che Venezia non fosse luogo adatto per il divertimento, because is so romantic! Recenti studi scientifico-mondani pare dimostrino l’esatto contrario. 

A dimostrazione empirica di quanto sopra vi invito a seguire questo itinerario, che si dipana in una delle isole più affascinanti della città lagunare: siamo alla Giudecca, già proprio quella che venne battezzata come il luogo dell’inferno dove sono puniti i traditori dei benefattori (e dev’esserci certo stato un motivo di ciò). Perché quando stai per attraccare a Palanca l’impressione è che uno dei tanti tentacoli de La Serenissima ti inghiottirà in un Nero veneziano oppure in un Dicembre rosso shocking (benché sia agosto) o un qualsivoglia thriller ovattato dell’era che fu. Umidità che attacca la camicia in maniera viscerale, ti chiedi ancora una volta, allora, quale sia il motivo della fama di romantica appiccicato alla città del Santo Marco Evangelista da la notte dei tempi.  Perché Venezia è – soprattutto – decadente, e il tragitto di attesa che va dalla Casa dei Tre Oci, peregrinando distrattamente, quasi il tempo non esistesse, per i bacari old e new style delle fondamenta che danno sull’omonimo canale, è preludio di conferma a questo assioma.

Scende la luce, sale ancora l’umidità e di conseguenza i gradi percepiti. Iniziano a diradare i turisti, Anonimi Veneziani indagano la sagoma quasi inquietante del Molino Stucky che si erge come un Dakota Building de casa nostra, maestoso ed impettito. E tanto per non perdere il taglio cinematico ecco che noti alcune sagome in cima al terrazzo che domina la laguna. Il mood cambia, e già ti partono le prime impressioni da soundtrack di Woody Allen.

Otto piani in ascensore: poi si aprono le porte… ed è subito swing! Riuscite ad immaginare un mix tra le feste del Great Gatsby, i gessati inappuntabili di Fred Buscaglione e i cocktail parties di 007 o ancor meglio di Blake Edwards?! Difficile? La risposta giusta è: impossibile. Impossibile da immaginare! Perché bisogna venire al  Skyline Rooftop Bar, non c’è altra possibilità. 

Carlo Colombo, con il suo affiatato trio, intrattiene the whole world: americani in stile dolce vita che sembrano capitati per caso, sopraffatti da cotanta eleganza; vestiti da cocktail che si sprecano, coppie in luna di miele che di certo non possono esimersi dall’ammirare il panorama più cool di Venice. Atmosfere da racconto di Agatha Christie, che ti manca solo un cadavere in piscina e l’ispettore con i baffetti roaring twenties style che ti interroga mentre sorseggi avidamente un Long Island. Con tanto ghiaccio. 

Just a Gigolo, canta CC. Chi fa ballare la gente – vince! E Carlo ed i suoi vincono di brutto, coadiuvati da fedelissimi gruppi di ballo Bounce, Crazy Legs, Guggle Mugs, Great Coconut, che li seguono praticamente ovunque.

Il funiculì-funiculà dei caffè in piazza San Marco a trenta Euro cadauno è roba superata, per fortuna! Lo swing italiano gode di ottima salute in patria, ma soprattutto all’estero. Nella folta agenda dello swinger trevigiano c’è un altro capodanno musicale alle Maldive: se non avete ancora deciso cosa fare – ecco – questa è un’ottima dritta!

Atmosfera coinvolgente e d’altri tempi che fa sorridere anche le ville maledette della laguna e i palombari dissacranti dipinti da writers anonimi on the road to Molino. Sparklin’ night che fiumi di Prosecco Bortolomiol rendono unica, magica, indimenticabile.

Ancora brani originali del trio, che rincorrono classici dell’intrattenimento jazz international: Fly me to the moon che, con la luna a portata di mano, risulta quanto meno appropriata. Uno yankee un po’ alticcio a cui ti vien da dire “tu vo’ fa’ l’americano”, la macchietta in stile Alberto Sordi che giammai può mancare e tutte le fanciulle che sognano ancora di essere come Anita Ekberg. That’s a party, that’s the party!

Sorrisi, progetti venturi, i complimenti con l’organizzazione per una serata di quelle che ti scrivi con l’indelebile sul calendario, che vorresti tatuarti la data; quattro battute con i musicisti, ancora una bollicina che trasuda modern-dolcevita. E poi è tempo di salutare “la bella, lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sonni voluttuosi“, o così anche l’appellano.

Dicevamo, ultimo appuntamento con  il Sounds of Sunset allo Skyline Rooftop Bar: 4 settembre con La vie en rose, save-the-date, quindi… C’è forse bisogno di dirlo?! 

What a great night!

© Massi Boscarol per InstArt