Mentre fuori dal teatro impazzava la folle torcida dei tifosi del Milan ebbri di felicità per il tanto sospirato scudetto, sul palcoscenico toccava le proprie e le altrui corde del cuore ben altro player.

Passioni diverse che ogni tanto collimano ma che hanno in comune soprattutto l’ammirazione per la creatività e la tenacia.

Avevamo lasciato Scofield al teatro Verdi di Gorizia solo qualche mese fa in un fantastico duo con Dave Holland per Jazz&Wine of peace (23/10/2021), lo ritroviamo al Verdi di Pordenone con il suo trio mentre presenta un nuovo album fresco fresco di stampa. Tra l’altro ha inciso recentemente per la ECM (pubblicato il 06/05/2022), il suo primo album in solitaria, un vero gioiello d’arte chitarristica.

Ad accompagnarlo al contrabbasso avrebbe dovuto esserci il grandissimo Steve Swallow che all’ultimo minuto è stato sostituito per questo tour dall’ottimo Vincente Archer, che, per quanto assolutamente all’altezza della situazione, non è paragonabile a Swallow, vera e propria leggenda del jazz. Alla batteria il solido, preciso drumming di Bill Steward. In un’intervista a “musicajazz.it” il chitarrista dichiarò: Penso che Bill sia il più grande batterista jazz al momento: credo che sia davvero incredibile!” Per essere giusti disse anche: “Vicente Archer è un bassista incredibile con un gran senso dello swing e un forte accento ritmico, sia quando pizzica le corde con un solo dito o con due. Ha una tecnica, per così dire, old style, che io adoro. Secondo me è il bassista ideale per sostenere la chitarra.”

Il chitarrista americano, dopo quasi 50 anni suonati di carriera, non smette di stupire, emozionare ed emozionarsi con la sua sei corde. In tutto questo tempo ha attraversato gli stili e addirittura le epoche del jazz conservando intatta la vitalità e l’originalità che lo rendeva una delle punte di diamante dell’ensemble dello sciamano elettrico Miles Davis a partire dal 1982, in tante esibizioni dal vivo ormai consegnate alla leggenda e in dischi come Star people, Decoy, Siesta, ecc. lavori fin troppo sottovalutati da certa critica maligna.

Tutti i musicisti con cui ho suonato hanno contribuito, in qualche modo, alla mia musica. Di alcuni di loro, come Miles, ho amato lo stile e ho imparato a riprodurre alla chitarra alcune sue frasi. Lo stesso vale per Gerry Mulligan. Lo conobbi in occasione della registrazione di un suo disco. Un altro grande da cui ho imparato tanto e con il quale condivido tanto è Steve Swallow, che è un grande amico oltre che un bassista senza pari; il suo modo di pensare mi ha sempre ispirato. Così anche il mio amico Joe Lovano: quando lo sentii la prima volta mi dissi: «Wow, questo è il vero jazz!». E Joe ha soltanto un anno meno di me! Penso che tutti costoro siano veramente dei grandi musicisti e delle splendide persone, come anche Bill Stewart. Io non posso immaginare la mia vita musicale senza questi musicisti e amici.”

Di certo però Scofield non è mai vissuto di rendita dopo quella pur fondamentale esperienza ma ha continuato ad evolversi musicalmente con un’incredibile versatilità e continua a farlo come ha dimostrato a Pordenone all’interno della rassegna Jazzinsieme organizzata dalla benemerita ass. Blues in Villa e dal direttore artistico Vincenzo Barattin. La benemerita associazione negli ultimi anni ha portato nel pordenonese fantastici artisti per concerti preziosi e appassionati, memorabili molti dei concerti nel parco di Villa Varda di Brugnera. Per il 2023 si annunciano novità clamorose e scoppiettanti di cui però non è dato sapere di più. Naturalmente visti i trascorsi tutti ripongono la massima fiducia negli organizzatori e attendono con ansia il futuro cartellone godendosi quello attuale già straordinario di per se.

I tanti appassionati che affollavano il teatro comunale di Pordenone si ricorderanno a lungo anche il concerto dello Scofield Trio che ha saputo ammaliare e divertire. E’ proprio questa la prima caratteristica dell’arte del chitarrista che, pur essendo un grandissimo virtuoso, con i suoi legato e le complicate dinamiche armoniche non annoia mai e conserva una impagabile freschezza e perfino ironia nel suo tocco. La sua è una musica insinuante, felina, carezzevole e decisamente lieta in grado di disegnare spazi e paesaggi privi di asperità nei quali lo sguardo può muoversi liberamente sentendosi parte di quell’orizzonte.

Le radici di Scofield sono saldamente aggrappate alla più limpida tradizione del blues urbano a partire dal primo disco che comprò da ragazzo a Dayton, Ohio: Wes Mongomery, Smokin’ At The Half Note. Tra la decina di dischi che lo spinsero a sognare di diventare un chitarrista Jazz: Live At The Half Note by The Art Farmer Quartet featuring Jim Hall e poi Djangologie di Django Reinahard. Ascoltava anche Ornette Coleman senza sapere nemmeno che la forma di quella strana musica a venire si chiamava Free Jazz, era semplicemente ammaliato da quei suoni che era del tutto incapace di riprodurre con la sua chitarra. Come afferma il chitarrista: Da adolescente ascoltavo blues e mi piaceva moltissimo. Negli anni Sessanta noi ragazzini bianchi ascoltavamo questa incredibile musica e ci piaceva a tutti, così come il soul. Il blues è la musica da cui ho iniziato quando ho preso in mano la mia prima chitarra. C’è del blues in ogni brano jazz, indipendentemente se sia bebop, free, tradizionale. È la base di tutta la musica.”

Come hanno potuto comprendere bene le persone che a Pordenone hanno partecipato all’incontro-conversazione prima del concerto, Scofield non si prende troppo sul serio, possiede una straordinaria ironia e un’innata simpatia che lo rendono davvero “alla mano”. Pur essendo una superstar del jazz non è per niente supponente e parla di se con grande umiltà e sempre col sorriso sulle labbra. Certo non difetta neppure di autostima, è perfettamente consapevole di essere un autentico maestro e di rappresentare un pilastro della storia del jazz contemporaneo, ma ha la grandissima virtù di non farlo mai pesare, sia a parole, sia con la sua splendida musica che, come dicevamo, pur essendo raffinatissima conserva anche una “leggerezza” davvero piacevole che la rende accessibile a chiunque; anche perché se è vero quello che diceva proprio Ornette Coleman: “La bellezza è una cosa rara” (Beauty is a rare thing) è anche vero che tutti hanno diritto di goderne fino in fondo.

Il difetto di certi musicisti è l’elitarismo, la presunzione che la propria arte sia comprensibile solamente ad un pubblico “colto”, qualunque cosa questa cosa voglia dire. Niente di più lontano dal pensiero di Scofield, sempre aperto alle contaminazioni e alle esplorazioni di nuovi territori e prospettive musicale. Questa attitudine viene al chitarrista anche dalla sua frequentazione delle frontiere tra i generi come la Fusion e il Jazz Rock, ma ancora dalla sua ammirazione per Jimi Hendrix, Eric Clapton, John McLaughlin.

La particolarità dei suoni che esprime con il suo strumento, il particolare timbro, il legato, la brillantezza e perfino l’ariosità tipica del suo modo di staccare e gestire gli accordi quasi in sospensione, dipendono anche dalla sua chitarra Ibanez AS 200: E’ una gioia per me suonare la chitarra. Quando mi sveglio, bevo un caffè, che mi da una scossa e poi vado a suonare la mia chitarra, così mi diverto.” La nota casa produttrice di chitarre ha perfino sviluppato speciali modelli, regolarmente a catalogo, ispirate allo stile del chitarrista come la Ibanez JSM 100-VT John Scofield.

Ad un certo punto le chiacchiere sono finite ed è ora di iniziare. Si parte con un bel pezzo veloce di Hard bop come dio comanda, con la ritmica scatenata e ossessionata e le dita di Scofield che domano la tastiera della sua Ibanez da vero cavaliere elettrico. Ascoltare il trio è una vera delizia non solo per i tanti chitarristi appassionati presenti in sala che si “bevevano” ogni singolo accordo ma anche per i semplici, occasionali curiosi del jazz. A dire il vero, al concerto questi ultimi erano davvero una minoranza, il pubblico era composto in larga parte da autentiche “scimmie del Jazz”, vecchi e nuovi appassionati che volevano sentire il vecchio leone ruggire ancora e non sono stati per nulla delusi.

L’esibizione si è rivelata fin da subito di caratura eccezionale e il merito non va solo al band leader, anche i suoi musicisti si sono fatti valere. Il trio è talmente equilibrato che nessuno viene mai messo in ombra, sembra si ispirino a vicenda in un prezioso interplay dove non tutto gira attorno agli assoli di chitarra.

Distorsioni ed echi acidi blues nel secondo brano, inizialmente con suggestioni desolate di palude urbana, mentre il batterista, strofinando i piatti con le bacchette, stride. Poco dopo, il brano sfocia nella solarità di un’atmosfera ariosa e solare come di una foresta tra le montagne che all’improvviso si apre alle seduzioni di una vallata.

Scofield e i suoi sembrano voler trasmettere ed evocare dimensione di un viaggio sulle strade della memoria del presente. I dintorni di Pordenone racchiudono bellezze che si sposano perfettamente alle immaginifiche dolci ballad della band. Chi abbia perso il proprio sguardo almeno una volta nelle abissali profondità del cielo liquido di lapislazzuli del Gorgazzo sa bene di cosa stiamo parlando.

Terzo brano di nuovo swingatissimo e allegro, tanto da sprizzare buonumore e perfino frenetica felicità come una discesa del Giro d’Italia che proprio in quei giorni pedalava in rapido avvicinamento lungo i chilometri della pedemontana friulana.

Il quarto brano risulta fin dai primi fotogrammi piuttosto melancolico. Scofield ha un modo molto originale di raccontarsi con la chitarra, dolce e aereo ma venato anche di una sorta di indefinibile tristezza che poi è l’essenza stessa del blues: una storia triste raccontata con il sorriso a fior di labbra. Il chitarrista all’apparenza è un artista sereno e soddisfatto della propria arte ma di certo nel cuore porta un profondo dolore per la scomparsa del figlio giovanissimo che ha saputo esprimere anche musicalmente in più di un’occasione.

Ma sono solo attimi, la musica che suona con il suo trio è sempre brillante e luminosa; anche nell’unico bis di chitarra solo che concede al pubblico gioca a carte scoperte. La sua vera intenzione è proprio quella di divertire e deliziare in modo intelligente e con un sorriso arguto tra i baffi e il pizzetto d’argento e tanto basta.

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©