La mostra “Sguardi sul Mondo” di Steve McCurry, ospitata presso il Salone degli Incanti di Trieste fino al 4 maggio 2025, è un’importante retrospettiva (oltre 150 le opere esposte) che offre una panoramica approfondita sulla quarantennale produzione di uno dei più acclamati fotoreporter contemporanei. McCurry, celebre per la sua capacità di cogliere con straordinaria sensibilità l’essenza emotiva e narrativa dei suoi soggetti, ha ridefinito i confini del fotogiornalismo, trasformandolo in una forma d’arte capace di trascendere la mera documentazione.
Questa mostra, la terza di McCurry che ho avuto il piacere di visitare, ripetendomi ogni volta “non so”, mantenendo così intatto lo stupore per le cose (vedi Wislawa Szymborska), è curata da Biba Giacchetti per la direzione artistica di Gianni Mercurio Madeinart ed è inserita nella programmazione di Go!2025&Friends, progetto concepito e promosso dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in occasione di Go!2025, con Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della Cultura, che vede il coinvolgimento non solo di Gorizia ma anche di altre località regionali per tutto il 2025.
Nato a Philadelphia nel 1950, McCurry ha iniziato la sua carriera come fotoreporter; il suo primo grande riconoscimento a livello internazionale l’ha avuto con il famosissimo scatto “Afghan Girl” (Pakistan, 1984), divenuto un’icona della fotografia mondiale. Questo scatto, oltre a rappresentare un esempio magistrale di ritratto ambientato, incarna l’approccio visivo di McCurry, in cui il colore diviene elemento narrativo e il soggetto umano il fulcro di un’intensa narrazione visiva. La capacità di McCurry di impiegare la luce naturale, il cromatismo e la composizione, in modo da elevare il contenuto documentario a pura estetica, è la sua cifra stilistica distintiva.
Un’altra immagine, “Mother and Child at Car Window”, scattata a Bombay nel 1993, solleva interrogativi sulla disuguaglianza e sulle barriere socioculturali ed ha una straordinaria potenza nel suscitare emozioni intense e profonde riflessioni. L’inquadratura a distanza ravvicinata evidenzia i volti di una giovane madre con il suo bambino, appoggiati al finestrino dell’auto in cui si trova McCurry, che chiedono la carità sotto la pioggia. Lo sguardo del bambino, diretto e penetrante, si intreccia con quello dell’osservatore e crea un legame emozionale che trasmette una sensazione di vulnerabilità e dolore. La madre, avvolta in un sari rosso, emana un forte senso di dignità, nonostante la precarietà in cui si trova.
Il vetro del finestrino diventa quindi un simbolo: è una barriera fisica che separa due mondi, quello della povertà estrema e quello di chi, protetto all’interno dell’auto, rappresenta una realtà più privilegiata. La trasparenza del vetro permette di vedere, ma non di toccare o comunicare, amplificando il senso del distacco. Questo sottolinea l’isolamento sociale e la distanza tra le classi, evidenziando l’invisibilità spesso imposta a chi vive ai margini. Il contrasto tra la pioggia che cade all’esterno e il riparo dell’auto suggerisce ulteriormente questa divisione.
Di grande impatto anche “Dust Storm”, scattata in Rajasthan, India, nel 1983, che mostra un gruppo di donne in abiti tradizionali in varie nuance di rosso, riunite in cerchio in un paesaggio desertico. La polvere e gli alberi spogli sullo sfondo esprimono asprezza mista a resilienza. Le donne sono catturate in un momento di intimità e comunità, forse intente a discutere o a condividere un momento rituale. La composizione è molto dinamica, con il contrasto dei colori accesi delle vesti contro il terreno arido che ricorda il colore del curry e l’atmosfera offuscata, sfumata. I vasi di terracotta in primo piano aggiungono un frammento di vita quotidiana, che innesta la scena nella cultura e nelle tradizioni locali.
Entrambe le immagini evidenziano la capacità di McCurry di raccontare storie universali di umanità, intrise di un forte senso estetico e con un’attenzione ai dettagli che trascendono le barriere culturali.
La mostra di Trieste si distingue non solo per la selezione di opere più note, ma anche per la presentazione di una serie di fotografie inedite, che arricchiscono la comprensione del percorso evolutivo dell’artista. Questi inediti, che includono scatti recenti realizzati in Asia e Medio Oriente, si caratterizzano per una marcata attenzione alla gestualità quotidiana e alla dimensione intima dei soggetti, presentando una visione più introspettiva e personale rispetto alle sue opere più celebri.
Il Salone degli Incanti, con la sua architettura spaziosa e luminosa, si dimostra uno sito espositivo ideale per valorizzare il linguaggio visivo di McCurry, permettendo al visitatore di immergersi nelle immagini (retroilluminate) percependone al meglio la densità e i singoli dettagli. L’allestimento, concepito per favorire un dialogo diretto tra opera e osservatore, pone in luce la capacità di McCurry di catturare con il suo obbiettivo la complessità delle esperienze umane attraverso un’estetica che diventa portavoce di narrazioni universali.
McCurry ha definito il Friuli-Venezia Giulia una regione “di straordinaria bellezza e ricchezza culturale”. In particolare, il fotografo ha espresso il suo apprezzamento per Gorizia e Nova Gorica, città simbolo di una frontiera permeabile tra culture, in vista del loro ruolo di Capitale Europea della Cultura 2025. Questo riconoscimento rafforza la connessione tra l’artista e il contesto culturale locale, facendo di questa mostra non solo un’esposizione di enorme pregio artistico, ma anche un evento che celebra un incontro ideale tra visioni globali e identità locali.
Nei dialoghi di Platone, Socrate spiega che l’essenza della sapienza umana è avere cura dell’anima, che va di pari passo con l’avere cura della sua virtù.
Tale virtù si realizza nel cercare la sapienza, che consiste nel comprendere quali sono le “cose buone” per la vita, ovvero quelle che la rendono degna di essere vissuta.
Concedetemi dunque di paragonare Steve McCurry a Socrate, due uomini coraggiosi, l’uno contemporaneo e l’altro antico: entrambi sembrano aver trovato l’essenza della sapienza umana.
Marina Tuni / instArt 2025 ©