ROMA
Roma, anzi Colonia Roma, è un quartiere di Città del Messico dove il regista Alfonso Cuaròn ha ricomposto in immagini alcuni ricordi d’infanzia degli anni 70, al tempo delle sanguinose proteste di piazza contro il tentativo del governo di privatizzare l’istruzione pubblica. Nella memoria del regista emergono anche altri fatti: le scosse di terremoto di quegli anni, la sua casa natale piena di stanze e di scale, il padre che abbandona moglie e 4 figli. Ma soprattutto l’attenzione si concentra sulla figura di Cleo, la giovane tata che con cura amorevole si dedica alle faccende di casa e dell’intera famiglia dove è ospitata. “Roma” è una sorta di amarcord d’autore. Cuaròn infatti è regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore delle riprese fatte in 108 giorni di lavoro con un budget di 15 milioni di dollari. Fin dall’inizio, il film appare come una pellicola neorealista d’essay anni cinquanta in bianco e nero con attori non professionisti, quindi una storia potenzialmente noiosa. Ma basta resistere una decina di minuti davanti al grande schermo per rendersi conto che si tratta di un’altra cosa. Tecnicamente il bianco e nero sgranato anni di 50/60 lascia il posto al sontuoso e luminoso monocromatico 65mm del sensore della macchine da presa Arri Alexa usate sul set. L’impatto visivo è mirabile, le sfumature di grigio pennellano le inquadrature con cura maniacale, tutto è a fuoco (come nella memoria del regista), le panoramiche circolari avvolgono e accarezzano i protagonisti con lenti piani sequenza, le lunghe carrellate sono come un affresco sulle vicende private di Cleo e sul rumore della storia che ronza sullo sfondo. E’ un film anche sonoro: brani di discorsi e suoni si sentono ovattati anche fuori dalle inquadrature, mentre i bambini, i genitori, la nonna e le domestiche parlano nell’altalenante spagnolo del Messico. Gli insofferenti spettatori di oggi potrebbero sbuffare per alcune lentezze di ritmo, ma ci sono sequenze di incredibile densità drammatica. Per esempio, il massacro degli studenti visto da Cleo dalle finestre di un negozio dove si era recata per comprare la culla per il bambino che aspettava (messa in cinta da un giovinastro che subito si era dileguato), il salvataggio in mare di due fratellini da parte sempre di Cleo che non sapeva nuotare, una festa di Natale da amici in campagna dove Sofia (la padrona di casa abbandonata dal marito) cerca di dimenticare i suoi guai. Infine il parto di Cleo con il bambino nato morto e la lunga straziante inquadratura del neonato mentre viene avvolto in un bianco lenzuolo. Insomma un film complesso, dove le donne (la contadina “sguattera” Cleo e la borghese Sofia) hanno un destino comune, restano sole e sulle loro spalle pesano le responsabilità della famiglia e quindi della società, mentre gli uomini imbelli e mascalzoni rincorrono le loro illusioni. Roma può essere visto anche come film di denuncia sociale: nella società messicana di allora divisa in classi, la domestica Cleo si dimostra amorevole quanto vuoi ma è sempre “una serva” al servizio della famiglia borghese. E’ anche un film (Miglior Regista, Miglior Film Straniero e Migliore Fotografia agli Oscar 2019) dove si sentono forte gli echi del cinema italiano di Fellini, Pasolini e Bertolucci e questo fatto ci fa sicuramente piacere.
Marcello Terranova © instArt