Da un anno ormai sono chiusi tutti i teatri, i pochi concerti della scorsa estate cominciano a sbiadire nella memoria, ricacciati tra i ricordi svaniti e lontani dalle odierne angosce. All’orizzonte solo nuvole nere, il cielo della musica dal vivo appare ancora chiuso, cupo e muto.
I musicisti di certo però non se ne stanno con le mani in mano cercando di mantenere il proprio contatto con il pubblico.
Paradossalmente, qui lo dico e qui lo nego, la pausa forzata sembra perfino aver fatto bene all’ambiente della musica suonata che ha bisogno, di tanto in tanto, anche di calma, silenzio e concentrazione per essere pensata, concepita e creata.
Così questa “galera maledetta” ha fruttato molte nuove pregevoli incisioni, tanto che presto sarà possibile costruire un vero e proprio percorso discografico dei tempi dell’epidemia a tutti i livelli.
Speriamo che nel futuro tanta grazia di dio potrà essere considerata solo come una strana testimonianza di un periodo ancora più bizzarro e triste che la musica ci ha aiutato a superare.
E’ proprio terapeutica in questo senso la musica della nuova incursione in campo discografico di Teo Ho (Matteo Bosco) in un’imprevedibile, ingiustificata collaborazione con Louis Armato. Non tutto suona perfetto, ma niente lo è in questa parte di universo.
I loro accordi disegnano uno spazio sonoro sognante e sospeso nel quale s’incontrano e intrecciano le loro personalità artistiche a volte contrapposte ma di certo complementari.
Il decano Louis Armato è sulla scena musicale friulana dal 1980 quando giovanissimo suonava il punk con i selvaggi e degenerati Mercenary God.
A questa prima esperienza naturalmente ne seguirono molte altre che affinarono il suo stile e la sua ispirazione fino a portarlo a percorre le polverose strade del cantautorato.
La musica e l’ispirazione di Matteo (in arte Teo Ho) sono state associate a nomi pesantissimi della storia della musica che quasi le schiacciano. La critica dei soliti soloni seguendo le vie del campo della canzone d’autore, via Francesco De Gregori arrivano dritti al cuore dell’opera del più grande poeta vivente del nostro tempo: Bob Dylan.
Siamo alle solite! Non appena un musicista imbraccia la sei corde e suona due accordi accompagnati da una voce lunare e meditabonda, con magari l’aggiunta di un’armonica a bocca, ecco che subito si tira in ballo il grande bardo di Duluth, regolarmente e sempre a sproposito.
Non che il paragone sia del tutto fuori luogo, Matteo ha parecchie frecce al proprio arco, ma la grana della sua creatività è decisamente un’altra anche rispetto a quella del Francesco nazionale.
Sono cinquant’anni che si cerca il nuovo Bob Dylan (il primo fu Donovan, in Italia di certo De Andrè dai caruggi genovesi ma anche il primissimo Guccini dalle osterie di Bologna) ma quello vecchio, originale e a denominazione d’origine controllata, funziona ancora perfettamente e non sembra aver nessun bisogno di rottamazione e sarà così ancora per un tratto. Come si dice: “He’s still Alive and Kicking!”
E’ chiaro che Dylan rimane un esempio luminoso ma non possiamo continuare a nasconderci dietro il suo carisma sovrapponendo la sua maestosa sagoma a chiunque per ribadire insensatamente quanto è unica la sua arte tanto che non s’attaglia a nessuno dei pretendenti.
E’ sempre sembrata solo una scusa per non fare lo sforzo di analizzare costruttivamente e con cognizione di causa l’ispirazione di ciascun artista senza che questa debba necessariamente aderire ad un canone prefissato e stabilito.
La domanda è che cosa sia il cantautorato oggi e se abbia ancora un senso parlarne. Esiste tutta una nuova schiera di sedicenti poeti con la chitarra che simulano la grande tradizione degli Chansonniers classici italiani. Tutti citano regolarmente a sproposito la grande Trimurti: De Andrè, De Gregori, Dalla; di Guccini non si parla nemmeno più, troppo ostico, irriducibile e, soprattutto, ancora troppo vivo.
E’ ormai prassi comune l’omaggio, la parafrasi, l’imitazione, la riproposizione ad libitum e, a volte, l’aperto plagio. L’impressione è però quella di un uso solo strumentale di quelle codificate forme espressive ed artistiche senza un’autentica comprensione di contenuti, scopi e prospettive poetiche.
In molti casi, la questione è proprio che i nuovi musicisti sembrano non aver proprio niente da dire. La cultura diffusa non solo quella musicale, lo sappiamo bene, negli ultimi decenni è naufragata sotto la sferza delle baggianate televisive. Il tessuto sociale e civile è stato scientemente disarticolato e, dopo una strenua ultima resistenza, la vitalità che il nostro paese ha sempre dimostrato si è praticamente estinta nel giro di una generazione passando da Crêuza de Mä a Mahmood e dai Marlene Kuntz ai Månneskin. L’operazione di lobotomizzazione del pubblico attraverso i vari talent, suppurata a mezzo social, è perfettamente riuscita e non importa se il paziente è morto o parafrasando i medici di Pinocchio: i burattini sono bell’e morti ma se per disgrazia non fossero morti, allora sarebbe indizio sicuro che sarebbero sempre vivi. Sappiamo bene quanto il Burattino senza fili abbia ispirato i cantautori italiani.
Vediamo come i musicisti in questione si annunciano tramite il loro comunicato stampa.
TEO HO – LOUIS ARMATO
COLLABORAZIONE INGIUSTIFICATA
(AuaRecords – CD 2021)
La “collaborazione ingiustificata” che dà il titolo al lavoro discografico di Teo Ho e Louis Armato, nasce in un momento di transizione e “pausa artistica” che coinvolge, in maniera simultanea ma assolutamente indipendente, i due cantautori. Teo, reduce dalla realizzazione del suo secondo album “Il campo del vasaio” (New Model Label / Audioglobe 2020), è alla ricerca di nuove soluzioni musicali che gli permettano di allontanarsi dagli schemi utilizzati fino a quel momento nelle sue canzoni.
Louis, dopo la pubblicazione di un cd antologico con materiale inciso negli anni ottanta dalla sua band “Carillon!” (Dettagli 1984-1994, AuaRecords 2019), ed una manciata di nuovi pezzi in inglese, sente il bisogno di tornare a dei testi in italiano che però fanno molta fatica a prendere forma.
I due decidono così di tentare una collaborazione ed il primo risultato dell’esperimento è “Pendola rotta”, un testo di Teo Ho che Louis Armato mette in musica senza modificare una sola virgola del manoscritto originale. Gli altri brani prendono forma in rapida successione, con lo stesso meccanismo e senza forzature o intoppi. Selezionatissime esecuzioni dal vivo, nell’ambito del Circolo Acustico, confermano la validità del materiale ed il progetto discografico comincia a prendere forma. Le registrazioni sono curate da Matteo Dainese aka Il Cane (il quale interviene anche in veste di batterista e percussionista) presso la Cuccia Studio di Udine.
Chitarre e basso sono suonati da Louis Armato, mentre le armoniche sono affidate a Teo.
Le parti vocali vengono equamente suddivise fra i due a seconda delle caratteristiche dei brani, più “recitati” alcuni, più cantati altri.
Il mastering di Marco Lega garantisce la resa professionale di tutto il lavoro, prodotto e stampato da AuaRecords, che si occupa anche del progetto grafico caratterizzato dalle fotografie di Sabina Pat.
COLLABORAZIONE INGIUSTIFICATA: i testi che Louis Armato non avrebbe mai scritto, la musica che Teo Ho non avrebbe mai composto.
Il CD “COLLABORAZIONE INGIUSTIFICATA” è stato pubblicato ufficialmente il 24 gennaio 2021.
Il disco è ora acquistabile dal sito di AuaRecords, nei principali digital stores,
in alcuni luoghi “fisici” come negozi di dischi e librerie.
Informazioni sulla pagina Facebook: https://www.facebook.com/Collaborazione.ingiustificata
A scanso di equivoci e perché queste righe non sembrino la solita fuffa promozionale proviamo ad ascoltarci il disco, brano dopo brano. Qualche commento interpolando impressioni e versi sarà sufficiente senza farsi prendere troppo la mano dai soliti eccessi ipercritici.
Tracklist:
1. In Sogno: Il brano si apre con il riverbero e l’eco di dita che “strascicate” sulle corde producono un suono sporco che fa molto “indie” e che, in questo caso, non è solo un vezzo ma crea un preciso orizzonte nel quale si situano le nuove avventure armoniche dei due musicisti. Si fa notare immediatamente anche la voce effettata/affettata del buon Teo Ho che ricorda in alcuni momenti il Battisti della fine degli anni ‘60. Il brano è talmente breve che nemmeno le formiche hanno visto. Il testo è enigmatico e sospeso nel finale tra gli echi ridondanti e pleonastici spicca il suono dell’armonica a bocca che suggella il sogno prima che si trasformi in un incubo.
2. Per grazia parzialmente ricevuta: pezzo decisamente più folk rock venato dell’asfalto della Route 66. Le semplici linee percussive della batteria e la ritmica del basso si sposano perfettamente con l’harmonica, la voce declama versi che sono flash di immaginazione. Io resto a pensare alle gonne rosse, alle case grosse alla schiuma sul latte. Momenti di vita quotidiana in tecnicolor.
3. Colazione ad Accra: Recitata e giocata a porte chiuse come i sogni in quarantena. Una voce erratica resa multidimensionale dalla persistenza della distorsione che risulta in fondo perfino eccessiva e disturbante. Per fortuna anche questo brano dura poco e non ce ne accorgiamo nemmeno
4. Il medico dei matti: Canzone allegra e veloce come un giro in motorino senza casco pensando alla solita tipa un po’ selvatica che fa la difficile facendosi desiderare, incomprensibile e distante, illuminata dal faro rotto del sole in una squallida mattina d’estate sul morire degli anni’80.
5. Da Santiago ad Aviano: La tragedia dei bombardieri che, benedetti da dio dall’aeroporto di Aviano, seminano le loro mortali stelle cadenti dall’alto dei cieli su altri che si credono prescelti da dio in un’eterna bestemmia fatta di sangue ed inutili preghiere ad una divinità a mezzo servizio che quando c’è non lo trovi mai. Una ballad che ha il coraggio di essere triste con il sole che gratta le fusoliere tra i lampi lontani delle esplosioni.
6. Pendola rotta: Un brano con le gambe di latta, lo stomaco duro e una pendola che segna sempre la stessa ora ed è esatta almeno due volte al giorno. S’intuisce che dal vivo deve fare un grande effetto con i suoi non sense e il suo calore dei quattordici anni. Il suo limite è forse di essere musicalmente davvero troppo scabro così come lo sono gli altri brani dell’album. Il lavoro sembra essere stato concentrato tutto nel togliere, nello scavare, smussare, levigare tutto ciò che poteva risultare morbido e armonico mostrando le corde del cuore solo con i toni aspri e ruvidi di uno sguardo cinico che, paradossalmente, non è distaccato e gelido ma pare soverchiato dall’intensità delle emozioni tanto da apparire quasi paralizzato e incapace di esprimerle in una totale anaffettività e disamore.
7. Colloquio in via Mancinelli: Storia di un mondo piccolo e solitario di ricordi personali urbani visti attraverso gli abbaini della memoria. La luna strangolata dei cani, le ruote della bici, l’erba, il fango, il pallone e le bottiglie. Una lunga tarda adolescenza con un sorriso stampato e il fiato corto di chi si ricorda di quel ragazzo della via Gluck a cui in cambio di cemento armato hanno rubato l’erba.
8. Gnomi e soldati: Una favola nera come il sangue rappreso, moderna, amara, insopportabile come solo la vita sa essere di tanto in tanto. La crudeltà della guerra è talmente brutale da essere irrapresentabile quindi è quasi meglio non parlarne.
Ancora qualche informazione tratta dal comunicato stampa del duo:
Crediti:
Teo Ho: voce e armonica.
Louis Armato: voce, chitarre e basso.
Matteo Dainese aka Il Cane: batteria e percussioni.
Registrato e mixato alla Cuccia studio di Udine da Matteo Dainese
Masterig: Marco Lega Firenze
Progetto grafico e stampa: AuaRecords
Foto: Sabina Pat
BIOGRAFIE:
TEO HO, nome d’arte di Matteo Bosco, nasce artisticamente scrivendo e pubblicando poesie fra il Friuli e Milano. Una volta imbracciata la chitarra, passa rapidamente dai readings di poesia al busking nelle strade di Bologna e delle altre città che si trova ad attraversare. Trasferisce la sua esperienza live nel disco “I GATTI DI LENIN” (New Model Label / Believe Digital 2017), registrato a Udine da Matteo Dainese, con arrangiamenti scarni e poche sovraincisioni. Il secondo lavoro discografico è “IL CAMPO DEL VASAIO” (New Model Label / Audioglobe 2020) che, pur confermando una proposta artistica prevalentemente incentrata sui testi, mostra una decisa maturazione dal punto di vista musicale con sonorità ed arrangiamenti più curati rispetto al lavoro precedente.
LOUIS ARMATO esordisce musicalmente nel 1980 come componente della punk band friulana MERCENARY GOD e prosegue il suo percorso, come chitarrista e cantante rock, attraverso varie band (Carillon!, Cleverness, Rejoce, Bad Memory, Angelica Lubian band). La sua attività cantautorale, fra pop-rock e musica leggera, è riassunta nella raccolta su cd “Blang!” (AuaRecords, 2010), seguita da “Radiolive” (AuaRecords, 2015) e dal progetto CIRCOLO AUCUSTICO che, in otto anni di attività, ha coinvolto otre ottanta cantautori friulani in 116 serate musicali con la pubblicazione di due CD collettivi (“Circolo Acustico Vol.1 e Vol2″, AuaRecords).
Teo Ho è un poeta da marciapiede prestato alla musica, non è un virtuoso della chitarra, non è un vocalist d’eccezione e forse il suo ultimo lavoro spesso gira a vuoto come un vecchio motore ingolfato, non promette niente e poco mantiene. E’ un funambolo che ha il coraggio di illudersi che camminare là in alto sia ancora una necessità irrinunciabile, nonostante i risultati e le critiche. Anche cadere in fondo è un po’ come volare. La sua è musica onesta con versi ispirati che, anche se non fanno pensare, colpiscono al cuore e alle viscere facendo provare, anche solo ad un primo ascolto, emozioni autentiche e genuine. Tutti gli altri discorsi sul cantautorato e vari paragoni illustri lasciano il tempo che trovano.
© Flaviano Bosco per instArt