Il cinema è un invenzione senza futuro (Louis-Jean Lumière, 1895).

There’s no future no future. No future for you (Sex Pistols, 1977).

Che cos’è il Punk? Uno schiaffo? Uno sputo? Un taglio? Una cicatrice? Tutte risposte, sicuramente evocative ma fin troppo facili e consolatorie che, in realtà, dicono ben poco. Ogni tentativo di ingabbiare il Punk in un’unica definizione, in una singola regola è destinato a fallire miseramente.

Il Punk piaccia o non piaccia, è sempre qualcos’altro, da un’altra parte, in un altro posto, in un altro momento. Possiamo provare ad afferrarlo ma senza alcuna speranza di successo e continuando a sanguinare.

Per questo non è per niente facile capire quanto profonda sia stata l’influenza del Punk sul linguaggio cinematografico e soprattutto sulla VII arte in generale.

Quello che appare immediatamente evidente è che quell’estetica che alla metà degli anni ’70 sembrava così trasgressiva, oltraggiosa, dissacrante e perfino oscena è stata completamente assorbita, fagocitata dai grandi mezzi di comunicazione di massa, naturalmente dopo averla svuotata di qualunque anche minimo significato, anche pur vagamente, anti-sistema. Anzi, l’atteggiamento strafottente, protestatario e nichilista che in qualche modo la caratterizzava, è diventata paradossalmente una delle forme dello spettacolo.

Soprattutto nel caso del cinema di genere anglosassone (fantascienza, horror, thriller ecc.) quando, negli ultimi decenni si è voluto rappresentare il degrado urbano, presente e futuro, e la delinquenza giovanile si è molto spesso fatto ricorso allo stereotipo della gang di giovinastri con la cresta, gli anfibi e qualche spillone qua e là. Il modello nel cinema ha sostituito quello precedente della banda di motociclisti in giubbotto di pelle e Ray-ban. In realtà, l’influsso del punk è stato molto più incisivo di quest’ultime rimasticature da Drive-in movies.

I film che qui si propongono sono solo un primo passo di un lungo percorso d’esplorazione di un vero e proprio genere cinematografico e di certo non bastano ad esaurire la messa in scena di un movimento non solo musicale di carattere planetario che ha avuto la forza di mettere a soqquadro le arti, la politica e la società.

L’ha fatto in modo disordinato, velleitario, senza alcuna progettualità, senza alcuna prospettiva ma anche senza alcun compromesso e in modo del tutto spontaneo e, molto spesso, la cinematografia che ha prodotto gli corrisponde. Tanto basta a farne un fenomeno davvero interessante anche al cinema.

Trash – I rifiuti di New York di Paul Morrissey (1970). Le sordide avventure di un tossico e della sua compagna trans nella suburra newyorkese. Non c’è dubbio che quanto di meglio a livello artistico il punk ha saputo creare per almeno un decennio covò tra le braci della Factory di Andy Wharol. Quando il fenomeno esplose a livello planetario nel 1977 i Velvet Underground avevano già da un pezzo segnato la strada. Il cinema di Morrissey che da quell’ambiente ha tratto la propria linfa malata, con la trilogia di cui Trash fa parte (Flesh del 1968 e Calore del 1972 tutti prodotti da Wharol) aveva nel frattempo tracciato quelli che possiamo chiamare i confini estetici del genere a livello cinematografico. L’estetica del Trash, in questo senso, è tutt’altro che una degenerazione ma, al contrario, il frutto di un processo creativo che ha un altro suo illustre antesignano in Kenneth Anger con le sue opere visionarie: Scorpio Rising, Invocation of My Demon Brother, Lucifer Rising e ancora un vero e proprio modello nei film dello stesso Andy Wharol (Blow Job, Kiss, Vinyl). I dialoghi della versione italiana furono tradotti a cura di Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini che, probabilmente per motivi di censura e distribuzione, furono costretti a pesanti rimaneggiamenti del testo fino a renderlo nel complesso quasi incomprensibile.

Se è vero che non tutto quello che finisce tra i rifiuti è immondizia è anche vero che dobbiamo imparare a scegliere essendoci immersi fino al collo, non sempre è facile!

Rock’n’Roll High School di Allan Arkush (1979) A rendere appena sopportabile la visione di questo film di bassissimo livello e budget, prodotto dal mago del trash Roger Corman, la splendida colonna sonora dei Ramones. In se la pellicola è talmente brutta e mal-assemblata da risultare perfino interessante. I fratelli del Punk probabilmente avevano allora bisogno di contanti per gli stravizi e così si prestarono ad interpretare quell’immagine stereotipata di se stessi alle prese con le terribili scolarette strillanti della Vince Lombardi High School e con la loro preside che odia il Rock and Roll. A quello stereotipo finirono poi per aderire, eternando la loro icona di ragazzacci brutti, sporchi ma non cattivi, anzi puramente innocui, che li accompagnerà fino al loro 2263° e ultimo concerto, il 6 agosto 1996. Nel film splendide le esecuzioni dal vivo dei Ramones in un medley che comprende tra l’altro Blizkrieg Bop e Tennage Lobotomy, ma anche la classica School Days del Godfather of R’n’R, Chuck Berry e l’altrettanto iconica School’s Out di Alice Cooper

Cruising di William Friedkin (1980) con Al Pacino e Paul Sorvino. Molto criticato all’epoca della sua uscita per l’immagine sostanzialmente negativa che da dell’ambiente e della cultura omosessuale, è forse da rivalutare. Torbido, morboso, serratissimo thriller, tutto calato negli ambienti cupi e malfamati delle comunità gay di New York sul finire degli anni ’70. Un ipertonico Al Pacino s’aggira felino nei bassifondi della città alla caccia del serial killer d’omosessuali che imperversa; sorprese e colpi di scena si susseguono nella migliore tradizione hollywoodiana. La tensione a livello cinematografico è mantenuta altissima dall’ottimo montaggio, ma anche grazie alla straniante colonna sonora di Jack Nitzsche che utilizza le suggestioni di quanto di meglio la scena punk newyorkese d’allora metteva a disposizione. In particolare un brano dei Germs, Lion’s Share, sottolinea le fosche, edulcorate atmosfere del film, suggerendo con scabra ruvidezza quell’oscuro ambiente suburbano che la sceneggiatura e la perfetta recitazione riescono solo a evocare. Il brano, unico scelto al montaggio dei sei incisi dalla band, fa da sottofondo a un brutale omicidio in un locale gay BDSM; l’intera session delle registrazioni dei Germs per la colonna sonora del film venne pubblicata ufficialmente solo nel 1993 dopo essere passata attraverso vari bootleg ed è anch’essa da rivalutare.

That Summer! Di Harley Cokeliss (1980) con Ray Winstone. Un piccolo film balneare senza infamia e senza lode tra gare di nuoto, cameriere ai piani, piccole gang di provincia, furti, arresti e amorazzi estivi con una grandissima colonna sonora cui collaborano Ian Dury, Elvis Costello, Patti Smith, Ramones, ecc. E’ straordinario notare che anche un genere musicale come il Punk, apparentemente così distante dalle tematiche sentimentali con le atroci rime sole, cuore, amore, possieda anche un’innata leggerezza che lo sa rendere luminoso e per così dire solare. Nella prima edizione la colonna sonora era disponibile solamente in un preziosissimo vinile giallo. Patti Smith canta la fortunata Because The Night, per la prima volta in una colonna sonora, mentre i Ramones in Rockaway Beach, perfettamente in tema, dicono: Chewing out a rhythm on my bubble gum. The sun is out and I want some (Canticchio una canzone con il mio chewingum in bocca, è uscito il sole e ne voglio ancora).

The Decline of Western Civilisation di Penelope Spheeris (1980) Forse il miglior documentario che mai sia stato fatto sul Punk. In esso si testimonia della devastata e devastante scena musicale di Los Angeles tra il 1979 e il 1980 quando s’avvicinava la fine della prima fase del movimento. Senza inutili censure o moralismi il film mostra la cruda, sanguinosa e tossica realtà delle performances e dei backstages delle migliori band di quell’area, tra sfrenatezze, abusi e grande musica. Tra le esibizioni dei The Bags, Circle Jerks, Catholic Discipline, X, memorabile quella dei Black Flag che interpretano la loro discutibile e discussa Withe Minority nella quale si prendono gioco di una certa politica delle minoranze, paradossalmente prestando il fianco a poco rassicuranti paragoni con le frange più estreme della Withe Supremacy della destra americana. Sdrammatizza il tutto la goliardica e brutale Beef Bologna dei Fear nella quale si dice che: a lei non interessano la moda, i drogati, le sostanze e tutto il resto, lei vuole solamente una doppia dose di sano Manzo italiano.

Jubilee di Derek Jarman (1978) Cinico, livido, crudele, bastardo, indigeribile, straniante e straziante tutti aggettivi perfetti per un grande film sgraziatamente punk. In questo caso il termine definisce perfettamente non solo l’ambientazione e il genere ma l’intima essenza della pellicola che non lascia alcuno spiraglio alla speranza nel descrivere la realtà bestiale, anaffettiva e amorale dell’Inghilterra degli anni ’70 nella quale dal XVII sec si vede proiettata Elisabetta I con il proprio occultista. Nel 1978 per le strade di una Londra surreale s’aggirano come vampiri, spettri di non morti in forma di persone abbruttite dal consumismo e dalla mancanza di emotività, d’umanità e prospettiva. L’omicidio della regina Elisabetta II (God do not Save the Queen), gangs di crudelissime punk rockers, feroci repressioni poliziesche e spietati discografici che lucrano sulle sofferenze di rifiuti umani, sono parte di un’intricata messa in scena davvero No future, tanto che nel finale del film dopo tanta violenza anarchica, Elisabetta I e il proprio sconsolato seguito se ne tornano nel passato. Perfetta la colonna sonora tra Siouxsie and the Banshees, Brian Eno, Adam Ant, quest’ultimo anche tra gli attori protagonisti del film.

Flaviano Bosco © instArt