Nell’orgia delle celebrazioni del duecentocinquantesimo della sua nascita, Beethoven che sorride spicca per originalità perché proietta sul genio di Bonn una luce originale che illumina la coscienza della sua continuità con l’opera di Mozart e l’eccentricità di stile che caratterizzò il suo stile giovanile, al di là degli stereotipi appiccicatigli addosso dalla narrazione romantica. Emblematico di questo punto di vista è il programma di Ludwig e Amadé, presentato questa sera al Follador di Villa Rubini a Merlana di Trivignano Udinese, che presenta due composizioni con lo stesso organico: oboe (Gabriele Bressan), clarinetto (Vincenzo Mariozzi), corno (Florian Cason), fagotto (Alessandro Bressan) e pianoforte (Andrea Rucli). Si tratta del Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore K 452 di Mozart e Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore op. 18 di Beethoven. In mezzo, l‘esecuzione delle Sette variazioni sull’aria dal Flauto magico di Mozart “Bei Mannern, welche Liebe fuhlen” in mi bemolle maggiore Wo048 di Beethoven per violoncello (Francesco Mariozzi) e pianoforte (Andrea Rucli).la scelta del programma mostra chiaramente come Beethoven si muovesse, almeno nei suoi anni giovanili nel solco dell’eredità lasciata da Mozart, di cui, peraltro, si dichiarava fervido ammiratore.
Dopo le brevi parole di presentazione del programma da parte di Andrea Rucli, è la volta del quintetto di k 452 di Mozart. Il Largo introduttivo incanta subito il pubblico del Foladôr: non si può, infatti, che restare incantati dall’impasto sonoro mozartiano. Quando poi si passa all’Allegretto moderato non si può che ammirare il dialogo imitativo fra le voci, reso dai quattro esecutori con trasparente leggerezza.
Il Larghetto è un’oasi di tersa serenità, dove il dialogo fra gli strumenti assume toni di grande intimità. Bravi gli esecutori a sottolineare tale caratteristica grazie a un’intonazione assolutamente priva di smagliature e a un fraseggio di grande scorrevolezza.
Nel Rondò. Allegretto il dialogo fra pianoforte e i fiati si fa più serrato in un affascinante gioco di imitazioni che entusiasmano il pubblico del Foladôr.
È poi la volta delle Sette variazioni in mi bemolle maggiore Wo046 per violoncello e pianoforte di Beethoven che vedono protagonisti Francesco Mariozzi al violoncello e Andrea Rucli al pianoforte e che fungono da ”stacchetto” fra i due quintetti. Stacchetto di gran pregio però grazie ad un’esecuzione di grande intensità espressiva che mette in luce la bravura dei due esecutori.
Infine, il Quintetto per pianoforte e fiati in m bemolle maggiore, op.16 di Ludwig van Beethoven. Anche qui il Grave che introduce l’Allegro ma non troppo cattura l’attenzione del pubblico, con quel suo incedere maestoso e con lo splendido impasto sonoro dei fiati e il pianoforte. La transizione è condotta con molto equilibrio e ci conduce ad un Allegro ma non troppo ove domina il virtuosismo dei passaggi dei vari strumenti, perfettamente connessi l’uno all’altro con grande nitore e maestria. Il successivo Andante cantabile è una parentesi meditativa densa di emozioni. Infine, il Rondò. Allegro ma non troppo positivo ed esuberante che supera per certi versi la dimensione cameristica per una magniloquente dimensione concertistica.
Grandi applausi salutano la fine del concerto, suggellata da un’ottima degustazione del vino bianco della ditta Rubini.
© Sergio Zolli per instArt