Marzo, per San Vito al Tagliamento, è il mese del Jazz. E’ stata presentata ufficialmente nella Sala Consiliare del Palazzo Municipale la dodicesima edizione di San Vito Jazz 2018 alla presenza del sindaco Antonio Di Bisceglie con il direttore dell’ERT Renato Manzoni, Giulia De Marco vicepresidente di Atap SpA e il direttore artistico Flavio Massarutto.
Proprio con Flavio, anima e cuore di questo splendido festival friulano, abbiamo voluto scambiare due parole per farci illustrare il programma di quest’anno, ma anche per farci raccontare un po’ la genesi di un festival fra i più interessanti della nostra regione.
San Vito Jazz, un festival che quest’anno arriva alla 12ma edizione che non è sicuramente poco. Che ha visto, tra l’altro, anche lo spostamento dalla splendida cornice del Teatro Arrigoni al vicino Auditorium del Centro Civico. Ci vuoi raccontare un po’ la storia, dalle prime idee iniziali ad oggi? San Vito Jazz inizia raccogliendo l’eredità della rassegna Musiche che organizzavo dal 1998. Era una manifestazione generalista che con il tempo si è sempre più spostata sul jazz. Quando l’Amministrazione Comunale di San Vito al Tagliamento ha acquisito e ristrutturato l’Antico Teatro Sociale Arrigoni, un piccolo gioiello di teatro all’italiana situato sopra la Loggia Comunale al centro della Piazza del Popolo, l’amico Angelo Battel mi ha condotto a visitare lo stato di avanzamento dei lavori. Appena sono entrato mi è subito stato chiaro chi lì una rassegna jazz sarebbe stata perfetta. Ambiente raccolto, ottima acustica, posizione centrale in un centro storico curato e pedonalizzato. Siamo partiti a piccoli passi ma con le idee ben chiare. Proposte inedite, artisti con un linguaggio fortemente personale, nessuna preclusione stilistica, nessuna sudditanza alle mode, attenzione al territorio e conseguente quota garantita al jazz friulano e italiano. Ho sempre pensato, e ne sono ancora convinto, che bisogna garantire spazi e risorse adeguate e dignitose al jazz italiano. Con il passare delle edizioni abbiamo ospitato progetti originali e tanti musicisti internazionali che si vedevano poco, alcuni dei quali sono stati invitati in Italia per la prima volta da noi. Ogni anno una sfida e il batticuore. Ma il pubblico è cresciuto fino a registrare il tutto esaurito ad ogni concerto e quando abbiamo cominciato a lasciare fuori dal Teatro cinquanta e più persone a serata la scelta di trasferirci nel più capiente auditorium è stata dolorosa ma inevitabile. Inevitabile se credi che il jazz possa e debba raggiungere un pubblico ampio, e io ci credo.
Immagino non sia stato semplice convincere il pubblico a seguire un jazz che sicuramente non è di quelli più popolari: come ci sei riuscito? Mi sembra che il territorio abbia risposto molto bene?
All’inizio non è stata una passeggiata. Il pubblico non si fida di ciò che non conosce e purtroppo la comunicazione del jazz nel nostro Paese non aiuta. Ha un’immagine di musica per pochi eletti, difficile, una musica che vive dei ricordi dei fasti del passato. La responsabilità è equamente suddivisa tra gli operatori, gli addetti alla comunicazione, i musicisti. Una musica vissuta come autoreferenziale non stimola. Quando sento parlare di “vero jazz” mi viene la tristezza. Ma quale sarebbe il vero jazz? Casomai c’è del jazz bello o brutto, innovativo o derivativo, con urgenza espressiva oppure da arredamento sonoro. Dobbiamo scontare poi la completa mancanza nei mass media che non informano e se lo fanno lo fanno male. Così le persone non sanno nulla dei nuovi artisti, delle nuove tendenze e rimangono legati a vecchi stereotipi privi di senso. Allora il lavoro da fare è guadagnarsi la fiducia del pubblico. Riuscire a convincerlo che anche se non sa nulla dei musicisti che andrà ad ascoltare riceverà da loro davvero qualcosa di importante. Si emozionerà, vivrà una esperienza. Magari rimarrà perplesso perché non rinunciamo a proporre progetti anche molto “spinti” ma si farà delle domande, avrà aperto una finestra nuova, sarà stato stupito. Ci siamo riusciti e adesso facciamo più di duecento abbonamenti che è la dimostrazione migliore della fiducia conquistata. Naturalmente questa fiducia va rinnovata e nutrita perciò non ci si può mai adagiare o peggio ripetere. Ci vuole tanto impegno e tanta passione. Ma quest’ultima come sai non mi manca!
Cosa significa per te, oggi, essere direttore artistico di un festival dedicato ad uno dei generi musicali forse più diffuso a livello nazionale?
È una grossa responsabilità. Almeno per me lo è perché amo questa musica. Significa fare le cose per bene. L’enorme diffusione del jazz in Italia è un bene ed è uno stimolo per tutti. Io cerco di fare la mia parte con le poche risorse a disposizione e quando i concerti che facciamo sono trasmessi da Radio Rai Tre, e questo succede da una decina d’anni, allora mi dico che anche noi dal Friuli Venezia Giulia possiamo dare un contributo. D’altronde qui si fanno alcuni dei Festival più interessanti d’Italia e lo dicono i tanti colleghi critici che seguono sempre con calore la nostra regione. Non sempre le istituzioni ne sono pienamente consapevoli. Anche quelle culturali.
Fra tanti artisti che San Vito Jazz ha ospitato, ve ne sono alcuni dei quali serbi un ricordo particolare?
Per le ragioni che ti ho detto prima ogni musicista viene scelto con cura e dunque ne rimane un ricordo forte. Certo quando si fanno dei progetti originali il grado di coinvolgimento per me è maggiore perché seguo il progetto dalla nascita: dalla sua ideazione, della quale a volte sono partecipe, fino alla sua presentazione sul palco. È una esperienza elettrizzante ma anche molto faticosa e gli esiti non sono mai prevedibili se non con una certa approssimazione. Per questo, ma soprattutto perché ho grande rispetto per il pubblico al quale abbiamo il dovere di dare il meglio, li propongo con parsimonia.
Ci vuoi presentare il festival di quest’anno e gli artisti che ospita?
Partiamo Domenica 18 marzo con la presentazione in anteprima assoluta del cd Immaginario Blues dello Juri Dal Dan Trio, con Romano Todesco e Alessandro Mansutti, insieme al sassofonista Francesco Bearzatti. Tutta musica originale scritta dal pianista Juri Dal Dan che reputo musicista sincero e di grande qualità. La formazione è nella sua forma classica e la scrittura non cerca particolari avventure di tipo formale. È musica semplice che esprime una intensità emotiva coinvolgente. Questo è il loro terzo disco ed è secondo me molto bello. Mi piace anche ricordare che è edito dalla artesuono di Stefano Amerio perciò è una produzione 100% friulana.
La seconda data è Sabato 24 Marzo con Hyper. Nicola Fazzini al sax, Alessandro Fedrigo al basso e Luca Colussi alla batteria, e il trombettista americano di origini irachene Amir ElSaffar. Quest’ultimo è un musicista strepitoso e sta facendo grandi cose a New York tra le quali un lavoro con un grande orchestra dove fa incontrare jazz e musica araba. Anche loro sono una formazione che ha già un disco alle spalle che mi ha entusiasmato. In questo caso siamo su atmosfere più urbane, più tese e concitate, con la musica araba che incontra il jazz contemporaneo.
Chiudiamo Venerdi 30 Marzo con Melingo. Cantante e clarinettista è oggi la più autorevole voce del Nuevo Tango. Un tango-canzone con una forte componente teatrale. Melingo compie una operazione che è un recupero delle origini meticce e sottoproletarie di questa musica e la porge con un’attitudine punk e jazz, ironia e commozione. Ha una voce straordinariamente intensa e sarà a San Vito con il suo quintetto da Buenos Aires.
Come vedi un programma molto ampio e differenziato. Ne sono decisamente soddisfatto e vi aspetto!
Infine due parole sulle informazioni necessarie per partecipare a San Vito Jazz … Si possono prenotare i biglietti al Punto Informazione e Accoglienza Turistica di San Vito al Tagliamento in Piazza del Popolo:Tel./Fax 0434-80251 e-mail iat.sanvitoaltagliamento@gmail.com
Grazie Flavio e buon jazz a tutti!
Luca A. d’Agostino © instArt