Irrinunciabile appuntamento con una leggenda del post-punk, viva e scalciante (alive and kicking) al Music in Village di Pordenone. Peter Hook è stato ed è uno dei musicisti più influenti della scena musicale alternative rock tra la fine degli anni’70 e il futuro. The past is now part of my future (Heart and Soul) Si può discutere sul suo stile, sulle luci e sulle ombre della sua carriera ma ci sono pochi artisti che possono vantare un’influenza ed un seguito così decisivi e vasti. All the failures of the modern man (Failures)
L’esperienza dei Joy Division è stata una delle più feconde e seminali della storia della musica rock e, nonostante la sua breve stagione, non smette di dare i propri frutti. Bastava dare un’occhiata al pubblico presente al parco IV novembre di Pordenone l’altra sera. They keep calling me (Dead Souls)
Dai rockers della prima ora, quelli che da subito seguirono lo stile anarchico dei Sex Pistols facendo della città del Noncello la prima capitale italiana del Punk (The Great Complotto) fino agli araldi della musica contemporanea (Theo Teardo) senza dimenticare tutti gli altri; sarebbe davvero troppo lungo fare la lista che non si ferma certo a quegli artisti che hanno già, giustamente, la loro risonanza internazionale.
Erano presenti tanti giovani musicisti, anche adolescenti, che da poco si sono affacciati al mondo della musica con le loro neonate, praticamente sconosciute band (Blood Mirror); che questi ragazzi, con le magliette d’ordinanza di Unknown pleasures, fossero al concerto di un rocker, classe1956, di tal fatta fa davvero ben sperare per il futuro della musica. But I remember When we were young (Insight).
Di alcuni di questi ragazzi, quando uscì il primo album dei Joy Division non erano nati nemmeno i genitori. Non è il solito discorso retorico e trombone sui bei tempi passati dell’età dell’oro della musica, chiunque si confronti con l’arte di Ian Curtis e soci non si può permettere alcuna operazione nostalgia; quei testi e quei suoni hanno conservata intatta la loro ruvida grana, l’inquietudine è rimasta la medesima. I’ve got the spirit, but lose the feeling, feeling, feeling (Disorder)
Certo le persone sono cambiate, forse invecchiate così come il contesto sociale e politico claustrofobico, catastrofico e quasi privo di speranza, si dice che sia notevolmente migliorato (siamo proprio sicuri?) in ogni caso, quelle note hanno ancora la capacità di scavare dentro ognuno di noi e non importa l’età anagrafica. Ian Curtis la sua tormentata poetica, la sua breve vita, ci pongono ancora degli interrogativi che non hanno trovato minimamente risposta. And hide from these days we remained all alone (Transmission)
Non dipende quasi per niente dall’aura di artista maledetto e della sua fine prematura da poeta tragico che l’amore ha fatto a pezzi; la sua musica e i suoi testi vivono al di là della sua persona mortale perché sono stati il vero termometro di un’epoca intera che non si è per niente conclusa. What once was innocence, turned on its side (24 Hours).
La prima parte del concerto di Peter Hook, tutta dedicata a quel periodo aurorale della sua carriera musicale, ha ampiamente dimostrato che quelle atmosfere non si sono dissolte e che, al contrario, hanno oggi una flagranza del tutto inedita.
Nonostante, qualche iniziale problema di amplificazione e un’esecuzione non del tutto impeccabile (quando mai è stato un problema?) il concerto di Pordenone è stato robusto e coinvolgente anche per chi, con quei suoni non aveva forse troppa familiarità. Il post-punk in qualsiasi modo lo si voglia declinare o definire, sembra avere ancora molto da dire e da dare alla musica, forse non sarà più Peter Hook ad arricchirlo o a innovarlo ulteriormente, ma la sua grintosa riproposizione di quel repertorio rimangono un valido contributo e incentivo per chi vuole ancora percorrere quelle strade. To the centre of the city where all roads meet, waiting for you (Shadowplay).
Peter Hook non si fermato alla brevissima, enorme esperienza dei Joy Division, ma si è esibito anche riproponendo alcuni delle maggiori hit dei New Order. Il successo commerciale clamoroso del tanto discusso nuovo ordine successivo al suicidio di Curtis, a volte fa passare in secondo piano l’importanza di quell’esperienza musicale nel panorama della nuova musica elettronica e dance degli anni ‘80.
Accostare le due stagioni, senza alcuno stacco, da parte di Hook straordinario bassista di entrambe le band, è servito a far capire plasticamente che non erano per nulla contrapposte ma in perfetto dialogo e in mutua corrispondenza. Il discorso musicale, tra un esperienza conclusasi tragicamente e l’altra, era rimasto esattamente il medesimo. E’ vero che l’ingresso della tastierista Gillian Gilbert spostò il baricentro della band verso quello che allora poteva apparire come un pop sintetico e dolciastro ma che, alla distanza, ha saputo dimostrare le sue indubbie qualità.
In realtà, i New Order non abbandonarono mai definitivamente la solidità scabra e l’incisività di certi suoni brutalmente rock. La drum machine con la sua ossessionante ripetitività non rese per niente la ritmica convenzionale o meno efficace, è vero il contrario. Così fu per gli altri elementi decisivi del sound della band, in primis il basso proprio di Peter Hook ben lontano da virtuosismi e da eccessi iper-tecnici che non sono mai stati nelle sue corde, ha avuto il pregio di creare un suono del tutto personale, certo sgraziato e per niente convenzionale ma, proprio per questo, originale e ancora valido.
C’è poco da fare, brani dei New Order come Blue monday, True Faith, Regret, Temptation, Ceremony non hanno perso proprio niente del proprio smalto originario e vedere ondeggiare e saltare il variegato pubblico del Music in Village lo provava in modo inequivocabile.
Poco prima di mezzanotte dopo due ore serrate e intense di esibizione, Peter Hook e i suoi musicisti hanno intonato i primi accordi di quella che, indiscutibilmente, è una delle canzoni d’amore più belle, tragiche e sconsolate della musica moderna. Le note e le parole di Love will tear us apart colpiscono e commuovono anche chi al posto del muscolo cardiaco ha una pietra, non si scappa dai suoi versi, inutile girarsi dall’altra parte. Get a taste in my mouth as disperation takes hold.
Quando ancora quelle note stavano vibrando nelle orecchie e nel cuore dei presenti, il bassista, da vero rocker corpulento e tarchiato, si è tolto la maglietta sudata e l’ha lanciata verso il pubblico salutando con un urlo rabbioso. Durante il concerto aveva anche gridato: tutto questo è dedicato a Ian Curtis, dio benedica la sua anima. Forse non tutti si rendono conto che anche il punk può ancora esprimere rimpianti, sentimenti delicati e gratitudine, una preghiera in forma di bestemmia, una lacrima in uno sputo, una carezza in un pugno.
In conclusione, qualche parola merita di essere spesa sulla genuina atmosfera strapaesana e informale del Music in Village che gode di una formula semplice ed efficacissima che rende le esibizioni live ancora più interessanti e piacevoli. Il palco, inserito nel centralissimo parco di Pordenone, può giovarsi di un gran numero di chioschi dove tra irresistibili arrosticini, carni alla griglia sfrigolanti, panini al doppio colesterolo, birre artigianali, cocktails tra i più vari e inebrianti, ascoltare buona musica diventa anche un’appagante e allegramente alcolica esperienza gastronomica. Sono considerazioni un pochino prosaiche e grossolane visto il panegirico di cui sopra, ma bisogna tener conto che anche la disperazione ha il suo sapore ma anche la gola ha i suoi sacrosanti bisogni.
© Flaviano Bosco per instArt