L’immortalità non appartiene al genere umano ma ci sono uomini come Enzo Jannacci destinati a non lasciarci interamente mai. Per le storie, a volte strampalate, ironiche e caratterizzate sempre da una straripante dose di umanità, che ci ha raccontato con le sue canzoni ma anche per l’impegno di professionista della medicina (era cardiochirurgo e ha esercitato per un breve periodo anche in Friuli) silenziosamente e gratuitamente dedicato agli indigenti della sua Milano. Lezioni importanti per il figlio Paolo che gli è cresciuto accanto facendo tesoro di quelle lezioni di vita e di una sensibilità da autentico fuoriclasse qual era quella di papà Jannacci. E’ per questo che ieri sera (appuntamento inserito nel calendario del Dicembre goriziano per l’organizzazione di Terzo Teatro) sul palco del teatro Verdi di Gorizia con Paolo e la sua band di ottimi e affiatati musicisti (Paola Zadra al basso, Flaviano Cuffara alla batteria, Daniele Moretto alla tromba e flicorno) sembrava potesse improvvisamente irrompere da dietro le quinte Enzo con quella sua espressione perennemente in bilico tra lo stupito e il divertito.
In realtà Paolo sa cavarsela benissimo anche da solo, dando prova di talento, versatilità, classe e simpatia. Elementi tenuti insieme da una solida formazione musicale fin da principio dichiaratamente jazz. Pianista sicuro e fantasioso, Paolo Jannacci adesso si misura anche con il canto. E non canta affatto male. La voce non è sghemba come quella di papà ma nitida e intonata. La chiave jazz degli arrangiamenti non stravolge i brani storici del repertorio del padre piuttosto permette di apprezzarne diverse sfumature.
Apertura del concerto con un minuto di silenzio dedicato alle vittime di Corinaldo poi una carrellata musicale di un paio d’ore che ha messo accanto a brani firmati da Paolo come Solaris (contenuto in Hard Playing pubblicato nel 2017)e Latinamente, brano solare e coinvolgente, alcune delle canzoni più popolari e amate del repertorio di suo padre. Dall’incompresa Musical a L’Armando (al cui testo aveva collaborato Dario Fo), dalla sempre struggente Vincenzina e la fabbrica, dedicata a tutte le donne per la costanza di cui sono assolute depositarie, all’indimenticabile El portava i scarp del tennis. L’ironia è esplosa nel medley che ha messo insieme E la vita, la vita, Ci vuole orecchio, Messico e nuvole. La poesia invece affiora nell’atmosfera rarefatta di Parigi (Paolo Conte) e nella nostalgia infinita di Com’è difficile (Luigi Tenco). Perla finale il bis con Sfiorisci bel fiore, testo e musica di Enzo Jannacci datato 1965, riarrangiata nel 2006 proprio da Paolo. A salutarlo con calorosi applausi un pubblico attento e coinvolto ma non numerosissimo. Un vero peccato per chi non c’era: lo sforzo di uscire di casa in una fredda serata invernale sarebbe stato ampiamente ripagato.
Rita Bragagnolo © instArt