“Il giorno in cui Celentano registrò Azzurro, portai a casa una copia del provino. Era tardi, ma mia madre era ancora alzata. Andammo tutti e due in cucina e accesi il magnetofono…mia madre si mise a piangere. Mi domando ancora adesso quanto ci fosse, in quelle lacrime, di passato o di futuro” così dichiarava Conte ricordando quel giorno di cinquant’anni fa.

Nonostante lo strillo in cartellone, il celeberrimo brano Azzurro non c’era in scaletta nel concerto del Politeama Rossetti. C’erano però i fiumi di lacrime di gioia e gli scrosci di applausi improvvisi come acquazzoni tributati dal pubblico, ancora una volta, stregato dalle note di un ragazzo-scimmia del Jazz di ottant’anni suonati che affascina e incanta come pochi. Il suo stile è unico e la sua carriera costellata di successi e trionfi nei più prestigiosi teatri del mondo, è uno che ha guardato in fondo al gioco e certi applausi ormai gli son dovuti per amore.

E allora Lampi fuori nel buio temporale e lampi qui nel teatro Comunale, lampi sulle signore ingioiellate e lampi su legni e trombe lucidatetu sei la celebrità giura che mai rinuncerai alla tua fama che fa di te al Politeama la regina dei cuor…danza per noi il ballo dei tuoi sette veli facci arrivare ai sette cieli schiava, schiava del Politeama.

Nemmeno queste due canzoni c’erano, ma vibrava tutta la loro magia; si sono materializzate grazie alla musica, in un istante come in un sogno lucido, regine della Habanera e del Fandango, immagini e ricordi vivissimi di una realtà onirica esotica e lontana che abbiamo sempre e solo potuto immaginare attraverso la musica dell’avvocato di Asti, Maestro inimitabile dell’arte antica di evocare attraverso le note, le figurazioni e le geometrie di un ballo che ci fa sentire vicino a una città lontana, tutta di madre perla, argento, vento, ferro, fuoco; una città immaginata sospesa tra le nuvole e un aeroplano che nell’aria calda vola piano che ci ha fatto scoprire ancora una volta cos’è che luccica sul grande mare…ne sono certo è un pianoforte da concerto, un pianoforte a coda lunga,nero. È quasi impossibile descrivere le dolcissime, nostalgiche sensazioni che un’esibizione come questa sa donare, senza affidarsi direttamente ai versi delle canzoni del Maestro.

Con la sua orchestra di undici elementi, in novanta minuti precisi d’orologio di memorabile concerto, Paolo Conte ha eseguito quindici-brani-quindici in una geometria perfetta di emozioni senza alcuna esitazione, uno dopo l’altro, si sono potuti ascoltare alcuni tra i suoi gioielli musicali più noti; quasi tutti quelli che precisamente il pubblico si aspetta e Conte non si è fatto pregare, cogliendo dall’albero della sua pluridecennale creatività i frutti migliori, da Ratafià a Sotto le stelle del jazz, da Come di a Inseguendo una verde milonga, e poi ancora Languida, Recitando, Dancing, Gioco d’azzardo, Rendez Vous, Madeleine, Via con me, Max, Le Chic et le Charme

Unica concessione al repertorio recente la canzone Snob sostanziosa come le cose che mangiamo e diciamo noi provinciali.

Tra le tante si è fatta notare l’esecuzione divertente ed estenuante di Diavolo rosso riarrangiata in chiave klezmer con il clarinetto solo a farla da padrone e poi una fisarmonica lanciata in pista a folle velocità, inseguita da fulminei virtuosismi al violino. E poi ancora il gioco d’intarsi tra il flauto traverso, il sax baritono e l’oboe.

Conte alternandosi al pianoforte con un suo fido musicista per alcuni brani ha scelto di cantare da solo in piedi davanti al pubblico, dopo aver inforcato un paio di occhiali da sole, guidava la sua orchestra con movimenti quasi sgraziati di un albatros sulla tolda di un bastimento in mezzo alla burrasca. Baudelaire non era lontano, così come lo Spleen di Parigi.

Alla fine tutto il pubblico è scattato in piedi a tributare la giusta, fragorosa ovazione con applausi da far venir giù il teatro per implorare un bis che si è fatto attendere a lungo per poi, infine, non concedersi come una vera signora, splendida, languida e un po’ snob che gode parecchio nel farsi desiderare e bramare allo spasimo e che poi ti lascia li come un macaco ad immaginare cosa avrebbe potuto essere stato ma che si è guardato bene dal darsi.

Un plauso al comitato AIRC Friuli Venezia Giulia che ha organizzato la serata anche come evento promozionale per una raccolta fondi a favore della ricerca contro il cancro.

Marisa svegliami, abbracciami
è stato un sogno fortissimo
ancora una volta
sotto le stelle del jazz.

© Flaviano Bosco per instArt