È sempre difficile parlare di musica, ma quando ci si trova a dover commentare di grandi prestazioni concertistiche il compito del povero scrivente diventa improbo perché ad ogni passo rischia di cadere nella vuota retorica, oppure di non riuscire a cogliere i veri motivi che generano il fatto estetico. Questa è la situazione in cui mi sono trovato ieri sera al Palamostre davanti al protagonista del concerto degli Amici della Musica: il pianista Michele Campanella. Preceduto da un’ironica autobiografia letta da Luisa Sello, a sua volta preceduta dal ricordo del dottor Aldo Leonardi fatta dall’avvocato Barazza, il virtuoso napoletano propone in apertura di concerto, dopo brevi ma illuminanti parole di presentazione dei brani, un’apertura tutta mozartiana con la Fantasia in re minore K 397 e il Rondò in la minore K 511. Fin dalle prime battute della Fantasia in re minore, il pubblico, ieri sera molto numeroso, appare come soggiogato dall’esecuzione di Campanella. Il suo Mozart, infatti, è di una trasparenza assoluta, dove ogni singola nota, o trillo, viene calibrata con estrema precisione, con un preciso peso specifico, ogni frase ha la sua esatta fisionomia, la forma la sua precisa, euclidea bellezza. Il motore di questo meraviglioso meccanismo è un tocco su cui Campanella ha un controllo millimetrico capace d’infinite sfumature. Il suo Mozart, e qui parliamo anche del Rondò in la minore, è il trionfo della ragione con il sentimento. È veramente ipnotico, emozionante e nello stesso tempo cristallino e arioso.
Ovviamente, come ogni grande interprete, Campanella sa modulare la propria arte in base all’autore e infatti nella successiva Sonata n. 8 op. 11 “Patetica” di Ludwig van Beethoven passa dai toni apollinei a quelli più eroici e conflittuali propri di Beethoven, dalla precisa scansione del tempo alle improvvise sospensioni di questa meravigliosa pagina, dalla luce all’ombra. I sentimenti che agitano questa partitura sono in Campanella pienamente espressi, grazie al suo tocco che gli consente di modulare con commovente musicalità le sue infinite sfumature. La forma di questa pagina è scolpita con estrema chiarezza dal fraseggio di Campanella. Il suo è un Beethoven in bilico fra eredità classica e incipiente Romanticismo, che si realizza nel paradigma della bellezza assoluta e senza tempo. Il pubblico è letteralmente sopraffatto da tanta bellezza e tributa a Campanella calorosissimi applausi.
La seconda parte del concerto vede l’esecuzione della Sonata in fa diesis minore op. 11 di Robert Schumann, brano che, come aveva ammonito in precedenza Campanella nella sua presentazione, di sonata ha solo il nome, ma che è invece un susseguirsi di idee musicali che promanano dalla sua infinita fantasia. Anche qui il virtuoso napoletano non finisce di stupire perché sa adattare perfettamente il suo stile al periodare schumanniano, così mutevole e oscillante da momenti di estrema vitalità ad altri di raccolta meditazione nel giro di poche battute. Campanella dà un quadro di questa sonata con colori di grande vivacità e nello stesso tempo cupi, piena di contrasti quasi caravaggeschi con quell’oscillare continuamente dalla luce all’ombra. Uno Schumann, il suo, di grandissima espressività e potenza che commuove il pubblico degli Amici della Musica che quindi tributa a Campanella un’autentica standing ovation. Per ringraziare il pubblico dell’entusiasmo dimostrato, Campanella concede ben due bis, con un Rondò di Mendelssohn e un lacerto dei Quadri di un’esposizione di Mussorgskij.
© Sergio Zolli per instArt