È fragrante e fresca di stampa l’ultima fatica del Maestro Max Ravanello, trombonista, band leader e compositore dalle mille avventure (Banda Matatu, Nesjo, Giorgia D’Artizio, 1000 Streets & Angelica, ecc.). Nel nuovo lavoro a suo nome è evidente la sua formazione meticcia e diagonale che ha di certo basi classiche ma la cui linfa viene dalla musica afroamericana, caraibica innestata sulla tradizione popolare italiana, in un melange sonoro ricchissimo di suggestioni e profumi d’altri oceani di note.

”Six Bones For Nino – Nino Rota’s Film Music” è una collezione di colonne sonore scritte per il cinema popolare italiano dal celebre autore, arrangiate per un curioso gruppo di sei tromboni e sezione ritmica.

Nasce da un’idea di Max Ravanello da anni impegnato nell’esplorazione e nello studio approfondito della tradizione trombonistica nella storia del jazz, dai pionieri degli anni ’50 come Jay Jay Johnson e Kai Winding fino ai prodigiosi funamboli sperimentatori dei nostri giorni.

L’esigenza di aprirsi a nuove dimensioni e prospettive e di differenziarsi dalla tradizione afro-americana apre una ricerca anche negli scenari della musica italiana dell’ultimo secolo, trovando particolare ispirazione nella musica da film. È da qui che prende forma questo lavoro interamente dedicato a Nino Rota, uno tra i più influenti e prolifici compositori italiani.

Six Bones for Nino Rota è interamente ispirato al magistero del più grande compositore prestato al cinema che la musica contemporanea italiana possa vantare. La nostra tradizione musicale, in questo ambito, ha dato al mondo autentici prodigi (Morricone, Ortolani, Bacalov, Umiliani, Piccioni, Nicolai fino al genio di Teho Teardo) nessuno però merita lo scettro e la corona come Rota per la delicatezza e la sublime ispirazione della sua arte.

Il Maestro Ravanello, nel cimentarsi in questa prova che, negli ultimi decenni, ha visto moltissimi musicisti impegnati nella medesima impresa, ha pensato bene di riarrangiare radicalmente le composizioni originali alla ricerca di quello spirito autentico che ne costituisce la spina dorsale senza facili ammiccamenti che avrebbero banalizzato e involgarito il risultato.

Molti di quelli che si accostano a quelle musiche da film credono che basti rifarsi alla “maniere de” Rota al limiti del plagio, per farne risuonare le segrete corde. Quelle opere d’arte da pentagramma al contrario per dirci ancora qualcosa di comprensibile devono potersi trasformare in qualcosa di nuovo, devono travasarsi nel talento e nel carisma di chi li sa rendere nuovamente contemporanei.

Un ensemble di sei tromboni sostenuti da chitarra e sezione ritmica che ne accompagnano l’incedere è sembrata la scelta adatta all’impresa e i risultati sono di sicura eccellenza. Poco più di trenta minuti di musica bastano al Maestro Ravanello e ai suoi fidati fratelli in musica per costruire un orizzonte tra nostalgia e sol dell’avvenire.

La sua è una danza dalle movenze latine i cui passi lanciati all’indietro servono a balzare in avanti, in un vorticoso tango che sa smorzarsi ai tempi dello swing nella luce di una vecchia balera nella quale non sono sconosciuti i tempi fragranti della Rumba, le acque profonde e blu del valzer fino alle estenuanti note vegetali della milonga.

Il compositore trombonista non ripete, non plagia, non interpreta ma intelligentemente assimila e trasforma ridonando freschezza e prospettiva anche al più noto refrain; la sua è una vera e propria nuova orchestrazione di brani scolpiti nella nostra memoria che riscopriamo e apprezziamo in una nuova luminosa prospettiva.

L’organico della sua band è così composto:

Musicisti Trombone e arrangiamenti – Max Ravanello.

Tromboni – Massimo Morganti, Federico Pierantoni, Sergio Bernetti, Lorenzo Manfredini Trombone basso – Athos Castellan

Piano el. – Francesco De Luisa (1,4)

Chitarra el. – Filippo Ieraci (2,3,5)

Contrabbasso – Simone Serafini

Batteria – Marco D’Orlando

La musica di Nino Rota è indissolubilmente legata all’immaginario cinematografico in generale e felliniano nel particolare. Ogni sua nota evoca un fotogramma, ogni accordo ricorda una sequenza, ogni melodia riguarda un universo di desideri ed emozioni.

Fellini e Rota non sono stati solamente dei grandi artisti ma autentici demiurghi creatori di mondi. Il regista de La Dolce Vita non solo ha messo in scena un fenomeno sociale, un evento mondano, una realtà, ma lo ha prima sognato, poi immaginato attraverso la macchina da presa e, infine, lo ha reso reale e immanente attraverso la fantasia del proprio sguardo.

Per restare agli strumenti musicali basta pensare alla tromba di Gelsomina ne La Strada o a quella del Clown Polidor in una delle sequenze più romantiche e sognanti de La Dolce Vita.

Allo stesso modo Rota ha permesso che attraverso le sue note si manifestassero e prendessero forma le immagini oniriche del regista fino ad “infigurarle” come dice Auerbach dei personaggi danteschi.

La colonna sonora, nei film del riminese, non è mai servita solamente a sottolineare, accompagnare in modo decorativo l’intreccio e l’azione. In questo caso, non è proprio possibile scindere un elemento dall’altro e non è una prospettiva del tutto reversibile. Le musiche di Rota funzionano anche da sole senza le immagini del film a differenza del contrario che è decisamente impensabile.

In questo senso, gli arrangiamenti del Maestro Ravanello dimostrano la grande duttilità di quelle composizioni che sopportano e anzi “chiedono” rielaborazioni, adattamenti e rivisitazioni. Con le musiche del compositore si sono confrontati tutti i più grandi musicisti italiani e non degli ultimi decenni.

Non è proprio possibile esimersi dal farlo, sarebbe come trattare della nostra letteratura escludendo ogni riferimento alla Commedia di Dante, non avrebbe alcun senso, così come non ne ha alcuno la nostra tradizione musicale senza i fiati nelle composizioni di Rota.

Ravanello da compositore di razza, intelligentemente, non fossilizza l’immensa creatività di Rota alla sua pur fondamentale simbiosi con Fellini. La sua creatività è stata talmente enorme che ha potuto contribuire a rendere tali altri capolavori del cinema italiano.

Il trombone che anche iconograficamente è lo strumento musicale degli angeli e dei pagliacci al pari di tutti i labiofoni, ha una parte fondamentale nella poetica e nell’estetica felliniana, lo vediamo bene in uno dei momenti più emozionanti di Prova d’Orchestra.

Gli orchestrali trombonisti descrivono ad un giornalista il proprio strumento: “Il trombone è uno strumento unico, quella sua voce grave che sembra ammonire con dolcezza, ma può essere comicissimo…basta ricordare i clown del circo quando schizzano acqua e fanno i loro pernacchioni. Ma è anche lo strumento degli angeli, infatti, è vero, se ha notato nei quadri del Rinascimento non suonano il trombone?…Embè, Perchè? A essere ricevuto dal Padreterno al suono dei tromboni non è gagliardo? Io trovo che la voce del trombone è la voce di una creatura solitaria mi piace da matti a me ascoltarla in riva al mare d’inverno quando non c’è nessuno.”

Ascoltare il disco di Ravanello è un viaggio nella memoria del futuro di brani immortali che risplendono ancora una volta nel soffio vivificante e limpido di note che sembrano ricordi. Apriamo allora la porta a questi brani e cominciamo a sbirciarne i segreti.

Incontriamo subito…

1) Romeo e Giulietta. La storia dei due amanti di Verona è per definizione un’elegia dell’amor tragico, il film che ne trasse Zeffirelli nel 1968 non brilla certo per rigore storico filologico, è una messa in scena caramellosa tutto zucchero filato, in una reinvenzione piuttosto stucchevole dell’ambientazione. Nonostante ciò la pellicola è gradevole ed è passata alla gloria delle cineteche anche per la deliziosa colonna sonora.

In quanto all’intreccio dell’originale tragedia del Bardo inglese, gli studiosi hanno acutamente sottolineato come una nuova, ulteriore fonte di Romeo e Giulietta, sia una novella comica, una storia privata, del Decameron, quella di Caterina e Ricciardo, la quarta della quinta giornata: la novella dell’usignolo. Caterina, alla fine della storia, viene trovata mentre, addormentata, tiene dolcemente in palmo di mano l’uccellino che tanto ha desiderato. Assume così un nuovo significato, molto più spregiudicato e allusivo, il celebre dialogo shakeaspeariano dei due amanti che hanno passato la notte amoreggiando sul balcone (GR Atto III, scena V)

GIULIETTA:Vuoi andare già via? Ancora è lontano il giorno:non era l’allodola, era l’usignolo che trafisse il tuo orecchio timoroso:canta ogni notte laggiù dal melograno;credimi, amore, era l’usignolo.

ROMEO: Era l’allodola, messaggera dell’alba, non l’usignolo. Guarda, amore, la luce invidiosa a strisce orla le nubi che si sciolgono a oriente; le candele della notte non ardono più e il giorno in punta di piedi si sporge felice dalle cime nebbiose dei monti. Devo andare: è la vita, o restare e morire.

La musica di Ravanello in questo brano contiene calde e avvolgenti note nell’avvicinarsi della sera che ci introducono, anche attraverso l’assolo suadente di Massimo Morganti, a quelle bellezze misteriose e tepide cui è bello abbandonarsi. Ottimi gli interventi delle percussioni di Marco D’Orlando dal timbro metallico e sferragliante. Sono attimi di grande dolcezza e fantasia che ci guidano verso un imperioso refrain fino alle suggestioni “analogiche e valvolari” della tastiera di Francesco De Luisa che regala al brano un’atmosfera di vetro colorato, in un caleidoscopio di frammenti sonori e luci. E’ un uccello dalle piume di cristallo che sgargiante vediamo volare nel mattino dei nostri desideri.

2) D’Amore e D’Anarchia

Max Ravanello rielabora gli accordi di una canzone che Rota originariamente scrisse per il film “Fantasmi a Roma” di Antonio Pietrangeli e che riutilizzò nella ‎colonna sonora di “Film d’amore e d’anarchia ovvero: stamattina alle 10, in via dei Fiori, nella nota ‎casa di tolleranza…” diretto nel 1973 da Lina Wertmüller.

Il pessimo film della pessima regista si salva solamente per la magnifica colonna sonora di Rota che rende meno indigesta la visione di una storia potenzialmente molto avvincente e tragica, il fallito attentato a Mussolini da parte di un anarchico, trasformata in volgare avanspettacolo dalla ex regina dei paracarri del cinema italiano. Ravanello compone ed esegue un omaggio piacevole e disincantato ad un film che poteva essere migliore.

Canto per chi non ha fortuna

Canto per me

Canto per rabbia a questa luna

Contro di te

Contro chi è ricco e non lo sa

Chi sporcherà la verità

Cammino e canto

La rabbia che mi fa

Penso alle illusioni dell’umanità

Tutte le parole che ripeterà

Canto alla rabbia che mi fa.

Canto a quel sole che verrà

Tramonterà, rinascerà

Alle illusioni

Alla rabbia che mi fa

Si comincia con un glissando che sembra annunciare una triste marcia funebre e si prosegue con i vibranti accordi del contrabbasso di Simone Serafini come sempre intensi e pieni di fascino. E’ un mesto diminuendo che traghettato dai ritmi del contrabbasso e dei tamburi si trasforma in un guizzo in una melodia allegra e sbuffante e sognante con i tacchi e le calze a rete. Ci si ritrova trascinati nelle giravolte di una danza indiavolata nella quale torna una lontana nostalgia che il solo trombone di Federico Pierantoni sottolinea e assapora, aiutato dalla batteria di Marco D’Orlando che s’inventa nevrotiche ossessioni in sottofondo. Ma è solo un attimo prima che il bastimento ubriaco riprenda il largo nell’oceano mare della musica per filare liscio a pelo d’acqua verso il sole delle emozioni di ieri sulle quali ragionano e meditano anche le corde della chitarra di Filippo Ieraci.

3) La Dolce Vita. Il 1960 fu un anno assolutamente memorabile per il grande cinema italiano a livello internazionale. Ancora oggi la qualità delle pellicole che uscirono in sala in quel periodo è inarrivabile. Nino Rota quell’anno firmò quattro colonne sonore, due delle quali sono classici moderni che hanno fatto epoca.

Basta sentire le prime note del tema de La Dolce Vita perché al nostro cuore si spalanchi tutto un mondo di immagini nelle quali siamo in grado di riconoscere un pezzetto della nostra identità di italiani. Quel film e quella musica fanno parte di quelle cose che, nonostante tutto, ci dicono a cosa apparteniamo e da dove veniamo. Nella rivisitazione di Ravanello il trombone con la sordina di Sergio Bernetti, gli accordi un po’ malinconici della chitarra ci regalano uno scorcio di Via Veneto gremita di bella gente come solo nella fantasia di Fellini poteva essere, tra paparazzi, maggiorate svampite, nani e ballerine.

Una magia dolce-amara come solo la vita sa essere. Se qualcuno crede che il film di Fellini sia solo una fotografia grottesca di certi vizi degli italiani si sbaglia di grosso. Al contrario è un viaggio doloroso verso la consapevolezza della fragilità e la vacuità dell’esistenza. Come dice Steiner l’intellettuale suicida della pellicole: “Qualche volta la notte, questa oscurità, questo silenzio mi pesano. E’ la pace che mi fa paura, temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un’apparenza e che nasconda l’inferno. Pensa a cosa vedranno i miei figli domani…”Il mondo sarà meraviglioso”, dicono, ma da che punto di vista, se basta uno squillo di telefono ad annunciare la fine di tutto? Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato. Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati…distaccati” Niente di meglio della voce del trombone per cantare questa malinconica angoscia.

4) Rocco e i Suoi Fratelli (solo di Max Ravanello) Il classico immortale Rocco e i suoi fratelli è nell’immaginario di ogni cinefilo, naturalmente, anche per le note di Nino Rota. Sempre nel 1960 Luchino Visconti trasse la sceneggiatura del suo film da alcuni racconti di Testori pubblicati ne “Il ponte della Ghisolfa” aventi per tema la vita amara e sfortunata di una famiglia di sette fratelli immigrati nella Milano del miracolo economico dalla Lucania. Tutta la vicenda ruota attorno al mondo miserabile della boxe e i pugni che prendono i fratelli sul ring e nella vita fanno davvero male.

Sontuoso l’insieme orchestrale che apre il brano e lascia lo spazio via via alla voce del trombone dello stesso Ravanello: l’effetto è quello di una ripresa cinematografica che alterna momenti esuberanti di riprese in esterna nel traffico e nella luce di una caotica città a quello di scene di interni nella semioscurità. Splende nell’assolo la vitalità di una corsa a perdifiato che si sfianca nelle vertiginose scale della tastiera elettronica di De Luisa. E’ questo forse il brano dal respiro più ampio di tutto il disco quello che fa presagire le meravigliose emozioni che l’ensemble potrà regalare durante le sperabilmente prossime esibizioni.

5) Anche il Casanova di Fellini perderebbe senso senza le seduzioni musicali che la colonna sonora gli regala. La sceneggiatura vide la preziosa, impagabile collaborazione del poeta di Pieve di Soligo, Andrea Zanzotto che, tra l’altro, scrisse una nenia onirica, infantile e birichina che servì a Rota come base per le sue composizioni e che Max Ravanello rielabora sapientemente.

Canto Della Buranella (N. Rota – A. Zanzotto)

Pin penin, Valentin, pane e vin, pin pedin, Valentin, fureghin. La xe le vogie, i caprissi de chea, che ieri la gera, la gera putea. La xe le vogie, i caprissi de chea, che ieri la gera, la gera putea (Sono le voglie e i capricci di quella che fino a ieri era una bambina)

Nel disco di Ravanello, placidi e sornioni i tromboni annunciano una progressione di ritmi tutta swing e rimbalzi di una lontana melodia infantile profumata di spezie ma che sa anche di inseguimento e di fuga precipitosa. Incalzante, il trombone di Lorenzo Manfredini viaggia tra le note blu come solo negli anni ‘50 delle big Band di Gil Evans si sapeva fare, fino a precipitare in un ingorgo dove tutto sembra spegnersi per poi ripartire immediatamente sul filo di ricordi felici. Poi tutto finisce proprio lì dove era iniziato, in un sogno morbido e ovattato dove è un vero piacere perdersi lasciandosi andare.

Tutte le pagine orchestrali e solistiche di questa incisione di Max Ravanello e dei suoi fratelli in arte sono davvero emozionanti e costruiscono un breve ma intenso itinerario tra musica e cinematografia. Un ascolto davvero piacevole sotto le stelle del Jazz.

Il disco è disponibile dal 9 aprile 2021 su tutte le piattaforme digitali (link per ascoltarlo: https://tag-lnk.to/sixbonesfornino) oppure è acquistabile dalla pagina Bandcamp di Max Ravanello (https://maxravanello.bandcamp.com). Contatto: Max Ravanello // E-mail: max.ravanello@gmail.com // Telefono: +39 3492777464

Crediti Registrato e mixato al ”Magister Recording Area” (Preganziol, Treviso) da Massimiliano Picozzi. Masterizzato al ”Bauer Studios” (Ludwigsburg, DE) da Johannes Wohlleben.

© Flaviano Bosco per instArt