Cover di “O”

Massimo Silverio è un artista che merita attenzione per ciò che sta creando nel panorama della musica d’autore friulana. Sa quanto sia importante il fascino della terra di confine dove è cresciuto, la Carnia, e il suo personalissimo linguaggio artistico fonde l’antica parlata con sonorità moderne, il canto popolare con la poesia. Quest’ultima richiama il simbolismo, traendo linfa da una serie di espressioni della vita interiore e ridotte a immagini (simboli) per evocare andare al di là delle apparenze del reale. Ha collaborato con diversi esponenti della musica friulana come Giulio Venier, Emma Montanari, Lino Straulino, Paolo Forte. Lo abbiamo ammirato qualche mese fa al bellissimo concerto udinese di presentazione del nuovo album di Loris Vescovo “Adalt“, nel ruolo di violoncellista. Dopo la pubblicazione del suo primo EP intitolato “Ø“, nel 2021 ha pubblicato la sua seconda opera, “O”, registrando canzoni scritte molti anni prima, che secondo l’autore sono “manifesti di una viscerale ricerca di tutto ciò che si trova al di fuori dal tempo e dagli schemi di genere, una musica di profonda discesa nell’animo umano, nella desolazione e nei recessi dei sentimenti”. Abbiamo ascoltato a fondo “O” (pubblicato anche in versione CD), che contiene 5 tracce: “Criure”, “I”, “II”, “Nijo” e “O”. La confezione digipack è caratterizzata da uno stile minimalistico: una bella immagine di copertina di Anna Marta De Marchi in bianco e nero senza titoli e un foglietto che riporta i credits e i testi delle canzoni con le traduzioni in lingua italiana e inglese. Colpisce la raffinatezza dei brani, spesso sussurrati e poggiati su melodie eteree che richiamano alla mia memoria artisti come Jeff Buckley e certa produzione di Damien Rice (solo per citare alcuni possibili riferimenti). In studio Massimo (che oltre alla voce ha suonato chitarre e violoncello) è stato affiancato da Leo Virgili (tastiere, campionamenti e trombone), Davide Raciti (violino), Nicholas Remondino (batteria, percussiioni) e Manuel Volpe (Basso e piano). Tutte le canzoni portano la firma dell’autore. I testi mi hanno portato anche nell’universo di Impasse, album di Richard Buckner, a me molto caro. La poesia non va svelata, è un fiume che scorre e ognuno di noi può interpretare il testo sulla base delle proprie emozioni personali e, quindi, uniche. Come nel brano di apertura, “Criure“, scritto in lingua friulana e qui riportato nella traduzione dell’autore:

 

Possa questa scaglia di voce / Scaldarti velocemente / Io – tuo abete rosso e tu – mio abete bianco / Noi – travi di un mondo sottosopra / Ferma la pece, prima / Lascia il diavolo alla secca / Steso tra il suo zolfo / E che il pallore arrivi alla bocca / Piangi fuori tutta la pece, presto / Del diavolo in secca, ridi / Sta soffocando nel suo zolfo / Rosicchiato dall’arido gelo che ora punge / Stammi vicino, qui / Sotto questo ramo / Ogni primavera sarà fredda / Quando non ti vedrò più la sera / Vieni qui vicino, presto / Riempi questo ramo / E i fuochi di tutte le primavere saranno / Come noi – cenere – nella sera

Non c’è alcuna ricerca di facile ascolto nelle canzoni di Massimo Silverio. Anzi, al contrario, c’è un invito esplicito all’attenzione, alla lentezza, al fermarsi per riflettere. E‘ una dota rara, questa, quasi introvabile nella maggioranza delle attuali produzioni. Ci siamo incontrati durante una sessione di prove dello spettacolo “Lis lotis dal Cormor“, opera collettiva più volte rappresentata in forma di concerto con la partecipazione di diversi musicisti friulani, ed è nata questa intervista.

Massimo, raccontami come è nata la tua passione per la musica e quando hai scritto le tue prime canzoni in terra di Carnia.

Fin da quando ero piccolo ho sempre ascoltato “tanta” musica, e uso le virgolette perché in realtà non erano poi tanti i dischi che avevamo in casa. Ricordo che mio padre, durante i primissimi anni delle elementari, mi diede un walkman con alcune cassette compilation fatte da lui e alcuni anni dopo, quando avevo otto anni circa, mi regalò un vecchio lettore CD portatile e tre dei suoi dischi che ricordo molto bene: Storia di Un Minuto della PFM, il live di De André + PFM vol 1 e Burn dei Deep Purple. Per tornare al “tanta” virgolettato, quei dischi mi facevano sognare ad occhi aperti e li ascoltavo così tanto che mi accompagnavano anche durante la notte. Mi ricordo che addirittura mi svegliavo se per sbaglio nei movimenti del sonno, urtavo il lettore CD privo di anti shock.
Nel corso degli anni riuscii a comprarmi un piccolo stereo e qualche disco della musica che mi appassionò durante la crescita. Iniziai a cantare per pomeriggi interi davanti a quelle piccole casse, mi faceva stare bene. Il punto è che non ho mai preso vere lezioni di musica nella mia vita, iniziò tutto per belle coincidenze legate al mio passatempo pomeridiano e, dopo aver iniziato timidamente a suonare la chitarra, iniziai col tempo a scrivere le mie prime canzoni. Purtroppo non ci credevo veramente, sentivo che era un modo per esprimere un mondo interiore ma provavo tanta vergogna, non avendo un briciolo di autostima. Oggi la situazione non è cambiata di molto, però posso dirti che tutte le canzoni presenti nei due EP ‘Ø’ e ‘O’, contengono canzoni che scrissi o pensai tra i 16 e i 23 anni e che poi accantonai.

Si dice spesso che la vita e la mentalità di chi vive in montagna è aspra e dura ma spesso le proposte più creative provengono proprio da queste terre…

Non lo so se c’è un luogo specifico per la creatività. Credo ce ne sia tantissima nelle città, nonostante secondo me siano di gran lunga più aspre e dure della montagna, ma qui si apre la voragine del soggettivo e non trovo necessario argomentare qualcosa di intrinseco e proprio in ognuno, ahah!

Quali sono i riferimenti musicali e letterari che hanno influenzato la tua opera?

Attivamente non ne ho idea ma retroattivamente sicuramente troppi, posso dire che tra la musica che mi ha in assoluto più segnato, e che mi viene ora in mente in seguito alla tua domanda, c’è il disco ‘Laughing Stock’ dei Talk Talk, ‘Heligoland’ dei Massive Attack e ‘Manafon’ di David Sylvian. Per i libri sicuramente ‘Voyage au bout de la nuit’ di Céline, ‘Storia Notturna’ di Ginzburg, ‘Livro do Desassossego’ di Pessoa e la poesia di Dylan Thomas.

Che musica stai ascoltando adesso?

Gli ultimi dischi che ho ascoltato sono per l’ennesima volta ‘Phoenix: Flames Are Dew Upon my Skin’ di Eartheater ed il bellissimo ‘The Liquified Throne of Simplicity’ degli sloveni Širom.

Sei un pluristrumentista, componi e canti. Quali sono le cose che ti piace di più fare?

 Tutto quello che faccio si condensa sempre nella voce. Ovviamente mi piace tutto ciò che è parte della genesi di una canzone, ma il canto è l’unica cosa che trasporta veramente quello che ho nel cuore.

Per te i sogni sono importanti?

Sono fondamentali. Sia quelli del sonno che quelli del giorno, ad occhi aperti e cuore altrettanto.

Spesso le canzoni cambiano vestito. Si parte con un’idea e poi si cambia. Come hai vissuto la trasposizione in studio di registrazione delle canzoni che hai scritto?

Il decidere quale vestito è definitivo per una canzone è sempre una grande impresa. Sono poche quelle che escono così, spontaneamente. Altre sono invece la conseguenza di una serie di tentativi che ti portano ad una determinata condizione dove il tutto viene in qualche modo rivelato.Il gradino successivo, ovvero quello dello studio, può mettere tanto in discussione il punto raggiunto ed il lavoro svolto in solitaria, ma è così bello fidarsi di chi lavora con te e mettersi in dubbio che posso risponderti con sicurezza che è un processo da me vissuto sempre con molta trepidazione. In genere, comunque, ho delle idee sempre più o meno chiare quando si arriva alla fase di registrazione.

Ti sei circondato di ottimi musicisti. Ci puoi raccontare qualche aneddoto, qualcosa di loro?

Mi ritengo estremamente fortunato. Prima ancora di prendere la decisione di coinvolgerli ammiravo già tantissimo sia Leo Virgili che Nicholas Remondino, e non avrei mai pensato avrebbero accettato la mia proposta. Da questa collaborazione sono nati questi due primi EP, una grande amicizia che percepisco come fratellanza e un profondo senso di gratitudine per quanto io stia costantemente imparando musicalmente e umanamente da loro. Pensa che Leo, nonostante lo conoscessi da anni, decisi di contattarlo soltanto dopo averlo visto ad un concerto di Matt Elliott all’Astro Club di Pordenone. Nic, invece, lo conobbi grazie ad una amica di Asti, la quale mi presentò il suo amico Andrea Dellapiana, il quale mi invitò per un concerto nelle Langhe e prima del mio set suonò con il suo duo con Nicholas chiamato Byenow. Fu per me un colpo di fulmine.

Quanto c’è di autobiografico nelle tue canzoni?

Praticamente tutto, ogni parola.

 L’ultima traccia dell’album, “O“, che dura circa 10 minuti, può essere considerata una sorta di rapsodia. E‘ corretto?

Non l’ho mai accostata a questo termine, ogni volta che definisco una canzone conclusa lascio tutte le impressioni e i giudizi all’ascoltatore. Diciamo che la durata e lo svolgimento è sempre relativa all’urgenza di comunicare qualcosa in un determinato modo, senza nominarla troppo. In conclusione, essendo che per me non ci sono interpretazioni realmente sbagliate, qualunque cosa senta l’ascoltatore è corretta.

Ambrosia J.S. Imbornone, nella recensione dell’album pubblicata su Mescalina, descrive così l’atmosfera di “O“: “Vibra un’intensità quasi sacrale, atemporale, poetica ed emozionante“. Mi pare un’osservazione molto calzante, cosa dici?

Attingo dalla risposta superiore e ribadisco il sentirmi onorato nell’aver evocato con ‘O’ delle così belle parole.

Come valuti l’attuale scena musicale locale e, più in generale, italiana?

Non posso esprimere valutazioni su qualcosa che non conosco a fondo. Vivo molto isolato e di conseguenza le poche volte che assisto a dei concerti in zona rimango sempre molto stupito. Sono certamente felice di vedere delle band giovanissime nella città dove abito, ma allo stesso tempo estremamente triste perché Udine, e il Friuli in generale, sono praticamente privi di palchi e realtà capaci di convogliare le giuste orecchie per chi sta cercando di emergere. La situazione italiana, invece, mi è talmente sconosciuta che non so proprio cosa dire.

Stanno cambiando tantissime cose nel mondo discografico, soprattutto nella fase di transizione alle piattaforme digitali. Non ti sembra che sia in atto un processo di impoverimento, che sia sempre difficile proporre musica di qualità?

Non lo definirei impoverimento, ma la facilità con la quale è ora possibile distribuire digitalmente la propria musica ha chiaramente svelato oceani di musica che porta con sé ogni tipo di intenzione. C’è sempre una diversità di intenzione e la qualità è sempre relativa al piacimento. Probabilmente, in mezzo all’oceano, è più difficile trovare ciò che incontra il nostro gusto, ed è certamente diventata anche un’ impresa farsi notare, ma è nostra la responsabilità di consultare al meglio le miriadi di questa marea ormai perennemente alta di pubblicazioni e di mantenere la propria unicità che ci contraddistingue, qualora volessimo trovare il nostro di posto in quelle acque.

Massimo Silverio e Paolo Forte

Quali sono i tuoi progetti nell’immediato futuro?

Attualmente sto registrando il mio primo disco effettivo e di lunga durata. Non vedo l’ora di condividerlo con tutti.

Puoi dare qualche informazione a chi vuole acquistare il CD o ascoltare la tua musica?

I due EP sono disponibili sulla mia pagina Bandcamp e per l’acquisto delle copie fisiche è possibile contattarmi direttamente sulla mia pagina Instagram, o Facebook.

IG: https://www.instagram.com/massimosilverio/
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Bandcamp: https://massimosilverio.bandcamp.com/