Parlare di poesia in un film è sempre stato molto difficile a causa del pericolo di banalizzare l’argomento. Il film “Lontano da qui” ne parla per 96 minuti, ma lo trasforma in un dramma psicologico dagli esiti incerti. Siamo nella ridente  Staten Island una circoscrizione di New York e Lisa (Maggie Gyllenhaal) è una maestra d’asilo quarantenne  molto volonterosa e premurosa nei confronti della frotta di bambini a lei affidati dai genitori . Pur conducendo una vita agiata, nell’animo della maestrina serpeggia da tempo l’insoddisfazione. Tutt’intorno  ferve la vita frenetica della città dominata dal business e dal dio denaro. Non c’è più rispetto per la cultura e l’arte. Soprattutto è sempre più tenue l’attenzione verso la parola ispirata e  nessuno tiene più in considerazione la forma d’arte perfetta, la poesia. Questi sono i pensieri che frullano nella testa della protagonista ma in famiglia non c’è comprensione: il marito è distratto e i due figli adolescenti sono facile preda della cultura disordinata dei social e ritengono la mamma demodé.  Con l’intento di perfezionarsi nella scrittura, Lisa frequenta una scuola serale di poesia ma i suoi sforzi sono vani e così la sua frustrazione aumenta. Poi il colpo di scena: dalla bocca di un suo alunno  di cinque anni che non sa ancora leggere,  sgorgano per incanto alcuni versi intensi e sorprendenti. Da quel momento la vita di Lisa cambia totalmente : cercherà di mantenere intatta la prodigiosa creatività  del piccolo poeta prima che gli adulti e la società la possano mortificare. Il film prende così una piega inquietante con un finale drammatico, ma lasciamo agli spettatori i dettagli. E’ meglio cercare di capire il senso di questa pellicola e dove vuole andare a parare la regista esordiente Sara Colangelo. Siamo nell’ambiente alto borghese di New York, lo stesso in cui probabilmente è cresciuta la regista italoamericana e il film viene pensato e girato durante la campagna elettorale di Trump che prospettava molti tagli alla cultura.  La Colangelo prende contatto con due collaboratrici del film israeliano “Haganenet” che due anni prima aveva sviluppato lo stesso argomento della maestra e l’alunno poeta. Il gioco è fatto: si cambia contesto, si fanno emergere le istanze del femminismo, si fotografa la disillusione di alcuni ambienti americani nell’era di Trump e si parla di poesia come se dovesse riprendere vigore dal mondo innocente dell’infanzia. E’ appunto su questo concetto della poesia che il film della Colangelo vacilla.  Le parole poetiche possono zampillare dalle labbra di un bambino di cinque anni? Anche un nostro liceale negligente sa che la pratica poetica è faticosa e nasce da uno studio attento e lungo nel tempo. Le ”sudate carte” del Leopardi e il “vòlli, fortissimamente vòlli” dell’Alfieri lo attestano. L’atteggiamento donchisciottesco della protagonista nasce da un abbaglio che la porterà inevitabilmente ad un finale allegorico: oggi una  battaglia contro la società senza ideali è destinata a fallire.  “Lontano da qui” è stato premiato al Sundance film festival 2018 e gli Americani ne parlano come di un piccolo gioiello. In Italia la critica si astiene da dare un giudizio preciso anche se  “il Foglio” definisce la maestra una “matta da legare”.

©Marcello Terranova per instArt