Un’antica leggenda friulana racconta che le Agane, spiriti femminili che abitano le sorgenti, nascono dalle uova di una altrettanto mitica salamandra di colore argenteo. Queste presenze, insieme ad altre, fatte della stessa sostanza dei sogni, come noi, vegliano il territorio della Piccola Patria da Timau a Grado e dal Livenza a ben oltre l’Isonzo.
Fa parte di quella lunga serie di elementi naturali fantastici che la tradizione folklorica ha fatto arrivare fino a noi da tempi remotissimi. Uno studio prestigioso di Carlo Ginzburg (Storia notturna) individua nell’antico culto tributato ad Ecate, Diana e a divinità femminili ancestrali la sopravvivenza e il riaffioramento di questi lacerti di paganesimo nel cosiddetto occidente cristiano.
Nottetempo vicino alle fonti, ai ruscelli, intente ai lavatoi, l’immaginazione popolare individuava bellissime donne con i capelli lunghi sciolti, le vesti candide, lo sguardo ammaliante che lavavano i panni liete e sorridenti. Uno sguardo più attento individuava però i loro piedi ritorti e palmati e la loro propensione a masticare tenere carni di bambino. Anticamente una di loro era stata uccisa dagli uomini e loro si vendicavano in eterno divorandone la progenie. Ma le Agane sanno anche essere benefiche con chi le rispetta, sono loro ad aver insegnato l’arte della tessitura alle donne, a quelle cui tengono di più regalano un gomitolo di lana che non si esaurisce mai.
Di questo e altro parla Empatiar 2021 ispirandosi ad un racconto di Angelo Floramo e alla raccolta di racconti orali riguardanti Cividale dell’Istituto Tellini. E dove sarebbe la novità? Sulle splendide leggende popolari del nostro territorio, vero patrimonio culturale e sociale, è stato scritto e detto moltissimo sia in forma accademica, sia letteraria, artistica e teatrale. Dedicati in particolare alle aganis esistono racconti, romanzi e film.
Era proprio necessario ritornare ancora sull’argomento? La risposta a tutte queste domande, che si sarà capito sono retoriche, è di certo affermativa. L’esperienza multimediale di EmpatiAr non ha paragoni e porta ad un altro livello le modalità della narrazione, non necessariamente sostituendosi alle modalità tradizionali ma arricchendo l’esperienza e il piacere della rappresentazione di qualcosa di radicalmente diverso da quello cui siamo abituati.
Già lo scorso anno con la prima installazione avevamo avuto la possibilità di comprendere le potenzialità di questo tipo d’opera artistica multimediale e multisensoriale perfettamente confermata e forse resa ancora più immediatamente fruibile dall’ultima installazione.
Un anno fa era il flauto traverso di Massimo De Mattia che come Genius loci ci mostrava, guardandoci dritto negli occhi, alcuni dei luoghi più belli della città. Apparivano così evocati dalle note gli stucchi e i marmi meravigliosi del Tempietto longobardo e le seduzioni del greto del Natisone proprio sotto il Ponte del diavolo. Le riprese 360 cinematic Vr di Antonio Giacomin e i particolari visori regalano non solo una visione a 360 gradi dell’azione ma anche una sensazione di completa immersione in essa che non passa solo attraverso lo sguardo ma che coinvolge anche gli altri sensi. Certo si tratta pur sempre di un’illusione ma non è forse così per tutte le situazioni della nostra esistenza? Senza alcune necessarie illusioni e senza la speranza siamo poca cosa.
EmpatiAr 2021 cambia ancora una volta prospettiva, quest’anno lo spettatore può assistere in modo attivo e dall’interno ad una vera e propria performance artistica. Due splendide attrici Aida Talliente e Marta Cuscunà insieme al musicista Giorgio Pacorig, sotto le antiche, meravigliose volte della cantina Zorzettig tra botti, alambicchi, bottiglie e tini, mettono in scena il racconto delle Aganis. L’immagine che vediamo, assolutamente realistica, ha come baricentro noi stessi che guardiamo e possiamo scegliere a piacimento chi e cosa guardare e quando, durante la proiezione.
Un lavoro di post produzione ha elaborato le immagini in modo che, di tanto in tanto, si scompongano in tanti puntini luminosi e danzanti nello spazio per poi dare forma a figure geometriche. Queste poi si conglomerano in insiemi compatti che danno vita a immagini, un po’ come i semi (spermata) della filosofia presocratica, le omeomerie di Anassagora, gli atomi di Democrito, gli elementi di Empedocle che, unendosi e separandosi, continuamente darebbero vita al cosmo.
Accomodato su una semplice poltrona girevole, indossati i visori, lo spettatore è proiettato al centro della scena con la netta sensazione di essere sollevato di parecchi centimetri da terra e quasi fluttuante in mezzo agli attori e insieme a loro nell’ambiente delle cantine; ci si sente come una presenza fantasmatica in mezzo persone che non si accorgono di noi, siamo invisibili in mezzo a loro come i protagonisti delle antiche leggende che sparivano indossando un cappuccio magico (Sigfrido) o come quel Calandrino delle novelle di Boccaccio con la sua pietra Elitropia.
Aida Talliente racconta le proprie storie di terribili ninfe aiutandosi con piccoli strumenti idiofoni o con flauti, supportata dalle suggestiva basi elettroniche delle tastiere di Pacorig e dagli incisivi interventi della Cuscunà. Meraviglia nella meraviglia le riprese sono di una performance dal vivo senz’altri infingimenti; l’effetto è ancora più vivido e realistico. Si intuiscono gli sguardi d’intesa o d’esitazione tra i performer, la mano della Talliente che ad un certo punto guida le risposte della compagna, gli occhi di quest’ultima che cercano le parole dell’altra o l’attacco di un accordo. Vi è poi un leggero fuori sincro (forse non voluto) tra percezione delle parole e movimenti labiali, che genera la sovrapposizione occasionale delle voci che sembrano quasi rincorrersi, raggiungersi per poi superarsi a vicenda. Tutti elementi che contribuiscono decisamente a rendere la performance viva e palpitante, tutt’altro che ingessata.
L’intuizione di Luca A. d’Agostino, la mente pensante e creativa dietro a questo progetto, è stata decisamente straordinaria e lungimirante. Questo tipo di fruizione del patrimonio artistico attraverso video immersivi o realtà aumentata è davvero vincente non perché si sostituisca all’esperienza reale di visita ai luoghi o di partecipazione agli spettacoli, ma perché al contrario aggiunge a queste anche la nuova dimensione della virtualità che permette di approfondire certi stimoli e sensazioni che altrimenti si faticherebbe a cogliere. Basta guardare il programma di Mittelfest di quest’anno per capire quanto questa scelta sia in linea con le proposte artistiche del festival che, dedicato agli Eredi, guarda con grande profondità nel futuro.
Un plauso anche per il luogo scelto per queste particolari proiezioni che sono state accessibili per tutto il corso del festival. Le poltrone con i visori erano sistemate nella Sala dell’Eucarestia del Monastero di Santa Maria in valle. Secondo il Concilio di Trento le monache di clausura non potevano avere nessun contatto fisico con il mondo esterno, quindi venne ricavata un’apposita aula collegata alla chiesa principale del monastero solo da una grata attraverso la quale le religiose potevano assistere alle funzioni e ricevere l’Eucaristia. Un luogo di per se carico di storia e di emozioni sedimentate nei secoli, in cui riverbera un’energia fuori dal comune che viene dalle preghiere, dai rimpianti, dalle illuminazioni, dalle estasi ma anche dalle autentiche sofferenze e privazioni di tante donne ormai perse tra le pieghe del tempo.
In una piccola teca, quasi abbandonata in un angolo dell’aula, una meravigliosa scultura lignea della Madonna con bambino risalente al XIV sec di un ignoto intagliatore friulano. La fattura della scultura è molto semplice ma allo stesso tempo trasmette una religiosità schietta e popolare senza alcuna sofisticazione.
Nella chiesa adiacente la sala dell’eucarestia sono momentaneamente conservati i preziosi stalli lignei del Tempietto longobardo in fase di restauro, anche questi trecenteschi e davvero suggestivi. Tutte queste meraviglie sono disposte attorno all’antico chiostro, luogo di meditazione deambulatoria, di raccoglimento e di grandi gioie interiori; quando saranno terminati i laboriosi necessari restauri, si trasformerà ancora una volta in un luogo paradisiaco dalla bellezza quasi insostenibile con le sue antichissime stanze e con il fiume che scorre ai suoi piedi.
La tecnologia può essere infinitamente utile all’arte e alla rappresentazione della nostra immaginazione se utilizzata intelligentemente così come fa EmpatiAr che rende ancora più piacevole immergersi nelle acque cristalline della nostra storia facendoci percepire lo scorrere del tempo, guidandoci su per le scale della memoria e per i sentieri delle emozioni in modo nuovo e accessibile a tutti.
Un ultimo aneddoto ci convince ancora di più che la scelta di un monastero per queste visioni ipertecnologiche è quella giusta. Santa Maria in Valle fu abitato fin dal VII sec. dalle suore benedettine e poi fino al 1999 dalle Orsoline, milletrecento anni di preghiere e di visioni, come quelle che ebbe, in altro contesto, Santa Chiara d’Assisi, come racconta il suo biografo Tommaso da Celano e il capitolo XXXV dei suoi Fioretti. La notte di Natale del 1252 Santa Chiara era inferma nella sua cella e non potè recarsi alla santa messa ma le fu concesso il dono mistico della visione a distanza: “Tornate le monache (…) si le dissono: “O madre nostra suora Chiara, come grande consolazione abbiamo avuta in questa santa notte della natività di Cristo! Or fosse piaciuto a Dio che voi foste stata con noi! E Santa Chiara rispose: “Grazie e laude rendo al mio signore Gesù Cristo Benedetto, sirocchie mie e figliuole mie carissime, imperocchè a ogni solennità di questa santissima notte, e maggiore che voi non siete state, sono stata io con molta consolazione dell’anima mia però che (…) io sono stata presente nella chiesa del padre mio santo Francesco, e co’ mie’orecchi corporali e mentali ho udito tutto il canto e il sonare degli organi che vi s’è fatto”
Non stiamo assolutamente scherzando con i santi e lasciamo stare i fanti, ma come Santa Chiara protegge gli schermi televisivi per aver visto proiettate sulle pareti della propria cella le funzioni religiose così avrà un occhio di riguardo anche per questi visori di EmpatiAr che ci permettono di viaggiare nel tempo e nello spazio della nostra storia. Amen.
Flaviano Bosco © instArt