Tratto da un testo di Sam Holcroft, al Teatro Comunale di Monfalcone, giovedì 30 e venerdì 31 gennaio 2020, è andato in scena Le regole per vivere: una produzione Gli Ipocriti- Melina Balsamo- Teatro Stabile di Verona in collaborazione con Teatro Ambra Jovinelli, per la regia di Antonio Zavatteri con Lisa Galantini, Alberto Giusta, Davide Lorino, Orietta Notari, Roberto Serpi, Mariella Speranza e Caterina Tieghi , mentre l’adattamento italiano è di Fausto Paravidino.

Durante il pranzo di Natale una famiglia si riunisce per la festa: quello che ancora non sanno è che salteranno parecchi coperchi durante il pasto.

Sembra diventata prassi comune quella di far mettere dei borghesi attorno ad un tavolo e far crollare loro il mondo addosso a poco a poco, in verità si crede sia stato inventato un nuovo canovaccio negli anni ‘10, in quanto partendo da Carnage di Roman Polansky datato 2011 (a sua volta tratto da Le Dieu du Carnage, andato in scena per la prima volta a Zurigo nel 2006), passando per Il nome del figlio (Francesca Archibugi, 2015), il quale è a sua volta tratto da Le Prenom e passando per il completamente autoctono Perfetti sconosciuti (Paolo Genovese, 2016), sono in molti ad aver usufruito di questa formula.

Cosa c’è di diverso allora nelle Regole per vivere? Semplice, alla scrittura c’è un britannico: come da ogni spettacolo british i personaggi vengono lasciati liberi di svilupparsi permettendo alle dinamiche interne di rivelarsi piano, questo contribuisce a regalare allo spettacolo naturalezza e veridicità; non solo ma mettendo in luce il loro ruolo sociale (i figli sono entrambi avvocati, ma con posizioni diverse) si può già cominciare ad intuire verso quale direzione volgerà la vicenda.

Se per gli altri esempi era necessario un elemento di disturbo dell’equilibrio (sia esso portato da un nome, un oggetto o una situazione) qui, non c’è niente di tutto questo: cosa interessa allora veramente all’autrice? Mettere in luce i personaggi e le loro nevrosi, con la verità che si scansa in questa danza di bugie, al pubblico viene affidato il compito di detection, essendo esso stesso già a conoscenza delle turbe psicologiche che affliggono i protagonisti; quello che traspare inoltre, è una fede incrollabile nella medicina e nei farmaci di alcuni personaggi, il problema semmai, sta nel fatto che non sia stata eseguita una diagnosi e l’autrice non lo fa, dà però degli indicatori su di essa che sono rintracciabili nei personaggi stessi e nelle loro dinamiche.

Assunte queste due chiavi di lettura, il finale può essere espressione di due risultati differenti, diametralmente opposti, ma non del tutto incompatibili: da un lato la verità viene a galla, con un pizzico di veridicità in più, ma anche di solitudine per tutti, dall’altro lato però, la malattia borghese non viene curata in quanto nessun personaggio risolve, fino in fondo, i propri problemi.

Ci si è soffermati poco a parlare della modalità di messa in scena: ma l’unica vera peculiarità è il simil cartellone pubblicitario sul quale vengono descritte fenomenologicamente le nevrosi dei personaggi, ma si pensa sia per mantenere la parvenza di una narrazione da cartolina.

instArt 2020 / Nicola Bertone ©

ph: Ada Masella – courtesy Teatro Comunale MOnfalcone