Uno dei settori più falcidiati dalla pazza epidemia che ci ha investito è stato quello della cinematografia. I dati ai botteghini sono desolanti, le grandi catene di multi sale chiudono, i grandi blockbuster non vengono distribuiti o peggio nemmeno girati.

In questo panorama non certo incoraggiante per la VII arte ci sono alcune manifestazioni che, al contrario, da tutta questa vicenda, tutt’altro che conclusa, hanno saputo trarre vantaggio.

Certo Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone 2020 sono state ridimensionate di parecchio: infatti, questa edizione è dichiaratamente una Limited Edition nei due sensi che questa locuzione ha anche in italiano. Da una parte limitata nei numeri, dall’altra nel senso di edizione speciale, esclusiva. Lo è stata veramente, anche se è mancata moltissimo la parte conviviale del festival sostituita, in qualche modo, dagli scambi sulle chat e dai vari dialoghi on line (Masterclasses, Panels, presentazione di libri, gustosi commenti ai film) ma non è la stessa cosa.

Divertenti e leggere ma di certo puntuali e preziose le presentazioni en plein air del presidente delle Giornate Jay Weissberg prima delle “proiezioni” che davano un’idea degli spazi accoglienti del festival e della città di Pordenone che da decenni accoglie a braccia aperte i cinefili di tutto il mondo. L’augurio è quello che tutti possano tornare a godere di tutte queste bellezze in completa libertà in presenza già a partire dalla prossima edizione.

Per ora “accontentiamoci” di questa formula che potrebbe diventare un utilissimo supporto all’edizione standard dal vivo garantendo un supplemento di informazioni per gli appassionati e magari una possibilità in più per vedersi con tutta calma alcuni film cui non si è potuto assistere. La piattaforma streaming My Movies che ha ospitato l’evento permetteva di vedere e rivedere i film per ventiquattrore dopo la prima messa in onda.

Niente potrà mai sostituire il piacere di vedere un film proiettato sul grande schermo di una sala o meglio di un teatro prestigioso come il Verdi di Pordenone, con la pellicola nel formato originale, con un pianista o con una grande orchestra che commentano musicalmente; anche perché il cinema nel vero senso della parola è esattamente questo il resto che non è affatto disprezzabile, è un’altra cosa.

Il filo conduttore e tema principale dell’edizione di quest’anno era il viaggio sia come argomento generale dei film proposti sia come metafora del cinema che è un autentico viaggio da fermi. Attraverso quello che vediamo proiettato possiamo immaginare di spostarci non solo in tutto il mondo ma anche indietro e in avanti nel tempo. Con la settima arte nel periodo di totale lockdown il cinema ci ha dato la straordinaria, salvifica possibilità di evadere dal necessario autoisolamento impostoci dal famigerato virus. E’ un ‘altra delle magie del cinema.

Quella che si propone qui di seguito e che continuerà nei successivi due articoli, è una breve rassegna commentata di alcuni film; la pretesa non è quella di esaurirne i contenuti ma di sottolinearne alcune suggestioni rivivendo al contempo le emozioni che da essi sono scaturite.

  • Voglia di viaggiare/The Urge to travel (9 Shorts) 1911-1939, 58’

    Music: Josè Maria Serralde Ruiz

  • Un Voyage Abracadabrant (Fr. 1919) di Henri Monier. Cortometraggio animato, molto semplice ma interessante che a noi “moderni” fa subito venire in mente il Up di P. Docter della Pixar (2009) oppure Il castello errante di H. Miyazaki (2004) e perfino Macchine Mortali di C. Rivers (2018). Naturalmente, tutto è più semplice ed elementare ma l’idea di base è la medesima, antica come il cinema. Due inventori creano la casa semovente e volante e con quella si spostano in giro per il mondo: cacciano in Africa, pescano nell’Oceano. Tutte le ricchezze che catturano e caricano se le “mangiano” le loro mogli e i figli. La casa finisce su un vulcano e tutto salta per aria. Detto così non sembra molto divertente, in realtà si ride felici come bambini.

  • New York (Se 1911); Una finestra temporale aperta sulla Grande Mela d’inizio secolo. Cinema dal vero del più autentico, quando la macchina da presa riusciva a cogliere volti, luoghi, istanti di vita “reale” prima dell’avvento della civiltà dell’immagine e della società dello spettacolo di Debord che ha plasmato irreversibilmente il nostro modo di percepire l’ambiente dal quale siamo abitati. La rappresentazione dello skyline di New York è servita da modello architettonico per tutte le città del mondo ed ha un significato simbolico cruciale per il nostro immaginario con i suoi grattacieli e le sue masse in movimento, basta pensare allo shock che tutti abbiamo subito con il crollo delle Twin Towers l’11/09/2001. Questo breve cortometraggio ci mostra una città nella quale i grattacieli quasi non esistevano, l’Empire State Building è del 1931, e s’intuisce che la metropoli non era poi così diversa da qualunque città europea. A distinguerla allora il Brooklyn Bridge completato nel 1883, a lungo il ponte in acciaio sospeso più grande del mondo. Altra meraviglia dell’architettura d’allora, il Flatiron building di struttura angolare inaugurato nel 1902 e poi naturalmente le grandi Avenues. Vederle senza il grande traffico di oggi con un’urbanizzazione sostanzialmente concepita sull’orizzontale di un reticolo geometrico con praticamente solo le persone in giro per le strade fa un certo effetto. Una strada di un quartiere popolare (Brooklyn, Bronx, ?) sembra il modello utilizzato da Sergio Leone in C’era una volta in America (1984). Nelle strade affollate si vede solamente un afroamericano per un breve istante. Chiusura sulla Statua della Libertà.

  • Planty Krakowskie (Pl 1929) Giro turistico molto particolare e di grande fascino nell’enorme parco circolare lungo quattro chilometri che circonda la città vecchia di Cracovia e il suo splendido centro medievale, ricavato dalle vecchie mura. In sostanza, una semplice passeggiata, lieta e gioiosa, in un bellissimo giardino cittadino novant’anni fa.

  • Un Voyage au Caire (Nos vedettes à l’étranger) (Fr 1928) Un filmino delle vacanze in Egitto di una coppia di star d’allora del teatro leggero francese con bambina al seguito. Prima del turismo di massa, le piramidi e il tour in groppa al cammello molto Agatha Christie Assassino sul Nilo per restare agli stereotipi del nostro immaginario.
  • Over Besseggen pa Motorcykkel (No 1932) “Il tempo trascorso con una Tiedman è ben speso” è lo slogan di questo spot di sigarette norvegese in cui alcuni pionieri del motocross “scalano” con le loro due ruote rombanti le pareti di un fiordo in un paesaggio lunare tra pietre, mare e cielo. Arrivati sulla sommità del costone, con una vista magnifica, si fermano per una bella fumatina. Banale ma spettacolare ed efficace.

  • Belgique pittoresque: Ostende, Bruges (Be 1921) Anche questo uno spot turistico un po’ come quelli di promo turismo Friuli Venezia Giulia che sponsorizza le Giornate, ecco svelato un’altra motivazione “arcana” di questa edizione dedicata ai viaggi. Prima parte dedicata a Ostenda, città turistica e balneare allora deliziosa meta dei borghesi valloni per le vacanze estive. Sequenze di innocenti giochi sulla battigia di signore con il cappellone e bagni marini di fustacchioni che sguazzano. Dopo le cure elioterapiche e balneari, tutti alle corse dei cavalli a giocarsi anche l’ultimo spicciolo rimasto. Da questa prospettiva, non è affatto difficile pensare ad Anna Karenina di Tolstoj o alla Recherche di Proust. Seconda parte del corto è dedicata ad un placido percorso turistico in barca attraverso i suggestivi canali di Bruges, ancora intatti in una della più importanti città commerciali del nord Europa nel basso medioevo. Sembra un giro nei canali della vecchia Venezia popolare soprattutto quando da un basso edificio spunta l’insegna di una bettola da avvinazzati paradossalmente accessibile solo dall’acqua.

  • Svatojanské proudy (Cs 1912) di Antonin Pech Suggestiva e pericolosa navigazione lungo un selvaggio fiume cecoslovacco: rapide, canoe, stretti passaggi tra rocce e cascate e poi un grosso barcone a vapore. Quasi un documentario naturalistico, Rafting ante litteram, niente di troppo complicato a parte le riprese che allora devono essere state una bella sfida su una barca in movimento con una cinepresa a manovella.

  • Trieste Estate 1939 (It 1939) La costiera triestina dal Villaggio del Pescatore, al castello di Miramare fino alla riviera di Barcola e ancora più su fino agli stabilimenti balneari dentro la fascistissima città nella cui piazza principale solo qualche mese prima erano state proclamate le famigerate leggi razziali, acclamate da tutta la popolazione, a parte naturalmente quella di origine ebraica, slava, rom e sinti. La stessa città sull’orlo dell’abisso della Seconda Guerra mondiale che la strazierà, nella quale si stava già pensando di trasformare un vecchio stabilimento per la lavorazione del riso in un efficiente campo di sterminio. E’ la fotografia di una città che si diverte a fare tuffi, a prendere il sole, a giocare a palla e racchettoni in riva al mare mentre un autentico abisso di morte e distruzione sta per spalancarsi nel cielo.

  • Taylor Fran London (Londonerbilleder) (Se 1922) di Julius Jaenzon Cartoline souvenir di una splendida città letteralmente “inquadrate” in una cornice. Si vedono Trafalgar Square, l’intenso traffico veicolare che tanto stupiva gli spettatori dell’epoca, i famosi autobus DoubleDekers, la guardia reale a Buckingam palace, il Tower Bridge; le immagini passano dentro un quadro appeso alla parete come si usa ancora oggi nelle mostre di videoarte con gli schermi digitali appesi come dipinti. Non ci siamo inventati niente a parte una tecnologia sempre più raffinata, invasiva e spesso inutilizzabile.

  • Penrod and Sam di William Beaudine, US 1923, 84’

  • Music di Stephen Horne

    Questo lungometraggio realizzato con evidente larghezza di mezzi a disposizione e con una certa cura, è una delle tante varianti ispirate alla serie cinematografica Our Gang (Simpatiche canaglie) di Hal Roach basata sulle comiche avventure di un gruppo di ragazzini di strada che allora furoreggiava nelle sale americane, uno dei più straordinari e duraturi successi del cinema popolare a stelle e strisce. Durante le Giornate del 2012 venne celebrato al Teatro Verdi di Pordenone, sede storica delle proiezioni, il novantesimo compleanno di una fedelissima frequentatrice del festival e autentica icona della Hollywood del muto e oltre: Jean Darling che fu la piccola femme fatale bionda delle Simpatiche canaglie dal 1927 al 1929.

    Anche Penrod e Sam racconta le avventure di due bande di ragazzini in un quartiere residenziale della tipica cittadina della provincia americana che la VII arte ha scrutato in ogni modo possibile fin dalla sua epoca aurorale per passare alle screwball commedies fino alle dissezioni autoptiche alla David Lynch.

    Questa in particolare ha qualche tratto in comune con lo scenario in cui sarà ambientata il classico It’s a Wonderful Life (La vita è meravigliosa) di Frank Capra (1946) punto d’arrivo insuperabile e canone della narrazione del sogno americano del quale potrebbe perfino sembrare un prequel. Bits, un ricco, avido e spietato immobiliarista possiede l’intera città e fa il buono e il cattivo tempo. Il figlio di tanto padre è Roddy Bits, bulletto piagnone con la sua banda di strada che si fa difendere dal genitore non appena si caccia in qualche guaio. A fare da contraltare il vero protagonista dell’intreccio, Penrod, figlio di un piccolo e onesto uomo d’affari che si sta facendo strada in città. Anche Pernod ha la sua banda che è acquartierata in una baracca al centro di un terreno abbandonato ma speculativamente interessante nel bel mezzo del quartiere residenziale.

    Il film, divertendoci con le classiche gag slapstick della gazzarra tra ragazzini che s’inzaccherano, inseguono, picchiano, piangono, ridono e tutto il resto del bric a brac comico cinematografico dedicato “allo spirito della fanciullezza”, ci mostra il modello della famiglia borghese americana da manifesto di propaganda: la mamma comprensiva e rigorosamente felice ai fornelli della sua bella cucina, l’onesto padre di famiglia rigido ma giusto, la sorella più grande (fidanzatina d’America) che amoreggia con il giovane studente, il piccolo di famiglia (Penrod) discolo ma di buon cuore e poi c’è il cane, gioia di tutti, compagno di avventure e chiave di volta narrativo di tutto l’intreccio. Ad un certo punto, la povera bestiola viene investita dall’auto del riccastro Bits. Penrod e la sua banda, in quel momento, desolati e affranti come tutti gli spettatori della pellicola, dopo un tristissimo funerale lo seppelliscono nel terreno abbandonato dei loro giochi. Proprio quel luogo in seguito diviene teatro di una contesa immobiliare tra il solito riccastro e il padre di Penrod che decide bonariamente di rinunciare ad un alto profitto per restituire al figlio il terreno dei suoi sogni con la sua povera bestiolina interrata. Tutto buoni sentimenti e finalino strappa lacrime. Il film però contiene anche una morale borghese tutta incentrata sui diritti di proprietà, sull’educazione alla cittadinanza dei ragazzi e sul valore del profitto nella società americana. Si racconta, in sintesi, che gli Stati Uniti sono la casa dei coraggiosi e degli onesti dove la verità trionfa sempre sull’arroganza. Si fa per scherzare, insomma, non è una cosa seria, è solo un bel film.

Concludiamo questa prima parte della rassegna dedicata alle proiezioni, anche se in streaming, delle Giornate del Cinema Muto 2020 con una doverosa citazione dall’autobiografia di Charlie Chaplin in cui si parla della nascita di un’autentica icona universale:

Mack Sennett -“Qui occorre qualche trovata” disse, poi si rivolse a me: “Prova un travestimento comico, uno qualsiasi” Non sapevo a quale travestimento ricorrere. Il personaggio…non mi piaceva. Mentre puntavo verso il guardaroba, pensai di mettere un paio di calzoni sformati, due scarpe troppo grandi, senza dimenticare il bastone e la bombetta. Volevo che fosse tutto in contrasto: i pantaloni larghi e cascanti, la giacca attillata, il cappello troppo piccolo e le scarpe troppo grandi”.

Per ora non serve aggiungere altro (To be continued)

© Flaviano Bosco per instArt