Tra gli appuntamenti più prestigiosi e imperdibili della prima parte della stagione 2024/2025 del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ormai ben oltre il giro di boa, è stato assolutamente memorabile lo spettacolo che ha visto brillanti mattatori Umberto Orsini e Franco Branciaroli in un’originale messa in scena di “I ragazzi irresistibili” di Neil Simon.
E i due “Enfants terribles” irresistibili lo sono stati davvero, rappresentando insieme, in questa e in altre recenti pièces, il meglio del teatro italiano degli ultimi sessant’anni e non è per niente un modo di dire.
Pochi, nel nostro paese, possono dire di aver influenzato profondamente l’immaginario collettivo come ha fatto Orsini incarnando il suo Ivan Karamazof e altrettanto pochi possono vantarsi di aver avuto uno dei più grandi drammaturghi dello scorso secolo come amico e collaboratore come può fare Branciaroli con Testori.
La grandezza dei due istrioni però non sta tanto nel loro pur glorioso passato, ma nella straordinaria voglia di futuro che hanno. Pur avendo raggiunto l’età dei patriarchi non smettono di mettersi in gioco con arguzia e ironia, ingaggiando sul palcoscenico nuove tenzoni e nuove sfide.
Li avevamo visti in straordinaria forma al Giovanni da Udine nella stagione 2021/2022 con “Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute, un gioco al massacro tra due vecchi amici che riflettono sull’ambiguità delle parole che si sono detti nei decenni senza venirne a capo. L’amicizia e la fraternità tra le persone non è una questione di significati o di intenzioni.
Non dissimile il significato profondo della pièce di Neil Simon che ha aperto l’ultima stagione di prosa del teatro udinese, nella quale si ride su un’infinità di doppi sensi e varie intonazioni, ma si riflette anche sul vero significato dell’amicizia e sulla caducità della vita. Una vecchia coppia, Willy Clark e Al Lewis, dimenticati da tutti, mal in arnese e infelici anche a causa dei dissapori che dopo tanti anni di carriera li avevano divisi, devono tornare forzatamente insieme per un breve sketch televisivo che celebra nostalgicamente l’arte del vaudeville d’antan.
Naturalmente i due anziani faticano a riconciliarsi, tra battute feroci e incomprensioni, per la felicità e tra le risa del pubblico, fino a quando la farsa mostra di avviarsi verso la tragedia. I bei tempi sono definitivamente andati e a loro non rimangono che ricordi dolci-amari e una certa verve che spezia la loro ritrovata complicità “in hora mortis”.
In “Luci della ribalta” (Limelight), fantastico capolavoro di Charlie Chaplin (Usa 1952), Calvero, un vecchio clown un tempo acclamato e famoso interpretato da Chaplin, si è ridotto ad essere un alcolista che nessuno vuole più. Per amore di una giovane ballerina si decide a rientrare sulle scene con la sua vecchia spalla comica (Buster Keaton). I due comici più grandi di ogni tempo si prestano ad una gag celeberrima tra il grottesco e il nostalgico di una poeticità inarrivabile che incanta il pubblico di ogni tempo.
Nel film, alla fine dell’applaudita esibizione, Calvero stremato cade nella buca dell’orchestra e mentre il pubblico ancora ride credendola una trovata, lui muore dietro le quinte sognando la sua ballerina. Sembra decisamente che Neil Simon abbia pensato a questo capolavoro della cinematografia quando decise di mettere mano alla sua irresistibile commedia (The Sunshine Boys) piena di gag esilaranti e di un ritmo che delizia il pubblico ad ogni latitudine ormai da più di cinquant’anni.
Ufficialmente l’autore s’ispirò alla vita di due veri comici del vaudeville americano Joe Smith e Charles Dale, ma in realtà il tema dell’attore anziano superato dal suo tempo è antica come il teatro stesso. E lo sanno benissimo i due vecchi lupi di mare Orsini e Branciaroli che hanno voluto imbarcarsi anche in questo ennesimo bastimento che solca i mari dei teatri italiani per la regia di Massimo Popolizio e per la produzione della Compagnia Orsini.
Tutti loro hanno visto, sotto le risate e i lazzi dei due comici decisamente ben incamminati sul viale del tramonto, il riflesso in uno specchio scuro del Canto del cigno di Cechov, il dramma nel quale un vecchio attore disilluso e amareggiato “…con l’anima fredda e buia come una cantina” rimane chiuso in teatro per la notte dopo lo spettacolo e condivide i suoi ricordi con il suo vecchio suggeritore che non ha altro posto per vivere che uno dei camerini abbandonati del teatro.
Allo stesso modo i due più grandi attori viventi del teatro italiano avranno potuto notare nella farsa americana qualche assonanza con la disperata surrealtà di “Finale di Partita” di Beckett.
Gran parte del pubblico, giustamente esilarato al Teatro Nuovo Giovanni da Udine e in tanti altri prestigiosi palcoscenici italiani, non si è davvero preoccupata di tanti e tali intrecci, ma non è stato per nulla necessario.
Lo straordinario carisma di Orsini e Branciaroli può benissimo farne a meno, vista anche l’incredibile carriera; la loro arte è talmente raffinata e solida da risultare leggera senza far pesare in nessuna occasione e tanto meno notare, la loro intima consapevolezza di fare parte di una tradizione talmente stratificata da avere le radici ben piantate addirittura nella tragedia attica e le fronde proiettate verso un insondabile futuro.
La prima scena si apre su una squallida camera in affitto, nella quale langue il vecchio, ombroso comico di vaudeville Will Clark in uno stato d’abbandono pieno d’amarezza, tra disilluse false speranze e una quotidianità miserabile.
Lo viene a visitare di tanto in tanto solo il fastidioso nipote che lo critica e che dovrebbe fargli da agente. La CBS vuole fare una serata speciale sui grandi comici della storia, vogliono ricostruire la vecchia coppia che Will aveva con Al Lewis logorata dal tempo e dissoltasi tanti anni prima per acidi dissapori.
Alla fine si incontrano nuovamente sempre in quella squallida stanza e si riconoscono come due vecchi insopportabili, rimbambiti e dementi che sono stati talmente amici da non poterne più. Il tempo li ha superati e si trovano “out of joint” come nelle tragedie elisabettiane.
Si ritrovano così a dover ripetere la loro gag più famosa in uno studio televisivo moderno che ne azzera e omologa le caratteristiche più originali.
Un dottore riceve un paziente nel suo ambulatorio “Toc toc toc, s’accomodi…avanti!” La comicità del duo è tutta da avanspettacolo centrata su fiacchi doppi sensi, allusioni e macchiette. C’è l’infermiera scollacciata e oca, il dottore ossessionato dal sesso e il vecchio paziente rimbambito e sordastro che capisce fischi per fiaschi.
A questo s’aggiungono le difficoltà a recitare in un moderno studio televisivo con risate registrate, finto pubblico e un regista piuttosto nervoso che deve dare spazio alle pause pubblicitarie. I due vecchietti Will e Al ne combinano di tutti i colori fino a quando Will stramazza a terra colpito da un collasso.
L’azione, si fa per dire, si sposta nuovamente nella desolata stanza di Will, con la salute definitivamente compromessa, assistito da un’infermiera. Il suo destino lo conduce verso la casa di riposo per attori dove incontrerà nuovamente il vecchio amico Al.
I due si riconcilieranno in una commovente scena finale che, evocando gli applausi entusiasti del loro pubblico d’un tempo, fa scoppiare davvero il lunghissimo, convinto e meritato battimani di quello attuale…la sala applaude, il sogno senile è finito o comincia?
Flaviano Bosco / instArt 2025 ©