L’ultimo saggio del filosofo coreano Byung-Chul Han “Elogio della terra, un viaggio in giardino” è dedicato alle seduzioni letterarie e metafisiche dei fiori e delle piante in un ideale giardino fatto di essenze particolarissime ma anche dei più comuni alberi da frutto o more di rovo.
Nell’esergo, l’epicureo del 38° parallelo confessa la propria predilezione per il “Viaggio d’inverno” di Schubert, dice: “… mi è capitato spesso di cantare soprattutto il lied Frühlingstraum (Sogno di primavera).
Sognai fiori colorati come quelli che sbocciavano in maggio; sognai prati verdi, allegri versi d’uccelli. E quando i galli cantarono il mio occhio si destò; era freddo e buio i corvi gracchiavano sul tetto. Ma alle finestre, chi ha dipinto quelle foglie? Ridete forse del sognatore che ha visto i fiori d’inverno?”
In questo senso, qualche sera fa erano tutti sognatori, i presenti al concerto del Maestro Grigorij Lipmanovič Sokolov al teatro Bon di Colugna (UD). In quella fredda sera d’inizio febbraio tutti hanno potuto visualizzare e percepire, proprio davanti e intorno a se, meravigliosi colori e corolle delle più preziose infiorescenze. Scaturivano dalla tastiera dello Steinway & Sons gran coda dell’inarrivabile pianista russo che ancora una volta ha deciso di regalare al pubblico friulano una performance unica di bellezza autentica e sublime.
Nel parcheggio antistante il teatro era parcheggiato un enorme furgone Mercedes bianco con targa spagnola della ditta Hinves distributrice ufficiale per la Spagna dei sofisticati e celeberrimi pianoforti Steinway. Come molti tra i grandi pianisti anche Sokolov ha scelto di suonare solo sul proprio strumento tanto da essersi guadagnato l’appellativo di “Profeta dello Steinway”. Quindi ha la necessità di un trasporto e di un accordatore di assoluta fiducia (Patrick Hives di Madrid) che lo aiuti materialmente a creare le magie delle sue dita. Può sembrare un vezzo da superstar ma è perfettamente comprensibile che un esecutore così raffinato pretenda strumenti alla propria altezza, dalle perfette meccaniche e nelle condizioni migliori.
Non serve nemmeno dire quanto sia complessa una macchina come il pianoforte e quanto sia necessario al musicista fondersi con essa.
Certo esistono composizioni assolutamente prestigiose concepite perfino per pianoforti giocattolo di plastica dozzinale (dalla Suite for Toy Piano di John Cage del 1948 fino al Concerto for Toy Piano and Orchestra di Matthew McConnell del 2004 e moltissimi altri) ma quando si tratta del grande repertorio classico romantico la qualità dello strumento e la sua cura fanno la differenza e devono essere maniacali.
Si ricordi, in questo senso, la mania celeste di Benedetti Michelangeli o la ieratica fissazione compulsiva di Glenn Gould. Con il grande pianista di San Pietroburgo (già Pietrogrado e poi Leningrado) siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda. La brillantezza del suo tocco, l’impressionante virtuosistica velocità di certi passaggi, l’utilizzo ostentato del pedale, il vibrato e la percepita risonanza delle corde negli stacchi richiedono una macchina all’altezza della situazione. Riportiamo dal sito della Steinway & Sons tanto per capirci:
“Nel 2019, Steinway & Sons ha introdotto gli smorzi armonici, una caratteristica innovativa, unica al mondo e utilizzata in esclusiva per gli smorzi dei pianoforti a coda da concerto. Questa rivoluzionaria innovazione consente al/alla pianista di disporre di una varietà espressiva senza precedenti e di una precisione ottimizzata nell’uso del pedale durante l’esecuzione. Gli smorzi armonici permettono un’articolazione estremamente delicata in qualunque posizione del pedale.”
Detto questo ha davvero un certo fascino il lavorio di un accordatore che fino all’ultimo, con il pubblico che si accomoda in sala, continua nel suo impegno maniacale. Quelle note ripetute fino a che la tensione di ogni singola corda non risulta intonata in modo ottimale sembrano un buon caotico preludio dal quale scaturirà di lì a poco la “stella danzante” dell’esecuzione del Maestro.
Il concerto di Sokolov, ormai appuntamento fisso di ogni stagione del Bon, era un evento atteso con trepidazione soprattutto dopo le limitazioni, spesso assurde, che abbiamo dovuto subire a causa della maledetta epidemia in questi ultimi anni di “galera”. Le aspettative più rosee non sono andate per niente deluse, ognuno ha potuto portarsi a casa un pezzettino di paradiso.
L’incantevole relativamente piccolo spazio del Bon con un acustica particolarissima che accentua i toni metallici dello Steinway sfoggiava per l’occasione i nuovi fiammanti ordini di poltroncine appena allestiti, in verità, piuttosto angusti che richiedono al pubblico doti ginnico atletiche sul filo del contorsionismo, definirle comode è davvero un eufemismo. Comunque, è un sacrificio più che accettabile per tanta meraviglia paradisiaca.
Il Maestro è uso suonare nella semioscurità, la platea è al buio e solo un fascio di luce gli illumina debolmente il viso. Il pianoforte gran coda riempie quasi completamente il boccascena e sembra quasi emergere dalle tenebre animate di mistero e di attesa.
La musica che così scaturisce dalle tenebre inconsce ha una caratura del tutto fuori dal comune con una valenza e un significato che solo con il costante esercizio, lo studio approfondito e l’indiscutibile talento di un interprete meraviglioso come Sokolov, è possibile far germinare.
Il pianista russo è dotato di una tecnica prodigiosa che va ben oltre le carnevalate virtuosistiche comuni delle quali non ha certo più bisogno, almeno da quando giovanissimo si è trasformato da pianista da concerto in interprete e c’è una bella differenza.
Nel suo pianismo non vi è alcuna forma di esibizione muscolare e nessun tentativo di imbonire il pubblico con “effetti speciali”. La sua ricerca inesausta è quella verso un suono pulito e limpido, tutt’altro che irruento ma sonoro, brillante e mai fuori registro anche nei passaggi più briosi e d’effetto. Insegue sempre la perfetta misura e la temperanza senza cedere mai ai rigori dell’eccesso. La sua idea di Romanticismo in musica è rigorosa e determinata e non si lascia di certo sviare dalle sirene della sovra interpretazione e della drammatizzazione di certe degenerazioni che mirano solo a strappare applausi il cui fragore sopperisca alle approssimazioni interpretative dell’esecutore.
Una marsina stazzonata indossata su un corpaccione sgraziato e trabordante da mastro birraio con la testa piena di capelli più sale che pepe, è così che si presenta il Maestro che l’eleganza ce l’ha soprattutto nelle dita e possono vederlo tutti, basta che appoggi i polpastrelli sui tasti e la “magia naturalis” scaturisce sorgiva, impetuosa ed è una delizia bagnarsi nelle sue acque di vita. Tutto il resto non esiste ma viene creato in quel preciso istante. Il pianista spalanca davanti a noi una dimensione “altra” nella quale gli eventi sono ciclici e l’uguale eternamente ritorna.
A Sokolov, per continuare con dorate similitudini, s’attaglia il discorso che Alcibiade tiene nel Simposio di Platone (215a) per lodare il Maestro Socrate:
“Io tenterò, amici, di lodare Socrate così per immagini egli, dunque penserà forse che lo faccio per rendere il discorso più divertente, e invece l’immagine avrà come scopo la verità, non il divertimento. Affermo dunque che egli è similissimo a questi Sileni che si trovano nelle botteghe degli scultori, che gli artigiani ritraggono con zampogne o flauti, e che aperti in due, mostrano di avere all’interno delle statuette di dei.”
Ed è proprio una misteriosa forza Dionisiaca che si avverte durante l’esecuzione dell’intenso programma del Maestro che suona con una breve interruzione per ricaricare le forze anche nervose e affrontare le pagine pianistiche che ha proposto e i tanti bis che generosamente ha concesso alla sala che non smetteva di applaudirlo completamente soggiogata dall’eterea bellezza di quello che aveva ascoltato fino a quel momento.
Il Maestro, conclusa la propria proposta musicale, si è concesso al calore dei fan adoranti, ordinatamente in fila, per un autografo e perfino per qualche selfie, di certo sconveniente e fuoriluogo, ma si sa che nel nostro tempo il pudore e il buon gusto sono sempre più rari. Da vera “rock star”, bonariamente, il Maestro si è prestato al gioco dimostrando tutto il suo affetto per il pubblico friulano che lo ricambia con tutto il cuore.
A questo punto qualche ragguaglio sul prezioso programma eseguito di certo non guasta.
15 variazioni e fuga per pianoforte in mi bemolle maggiore op.35 di L. van Beethoven
In un suo scritto Beethoven ricorda: “Con le Grandi variazioni si è dimenticato che il tema è tratto da un balletto allegorico che ho composto Prometheus, o Prometeo come si dice in italiano” insieme queste composizioni sono considerate lavori preliminari per il finale della sinfonia “Eroica”. Possiamo ben comprendere l’importanza cruciale di queste pagine pianistiche dalle quali letteralmente scaturisce il mondo contemporaneo. Non solo per quanto riguarda la storia della musica la terza sinfonia rappresenta un crinale, una frontiera, un ponte che scavalca i secoli e le epoche. Sokolov proponendo queste variazioni ha voluto andare alle sorgenti del nostro tempo per farci scoprire il remoto futuro che ancora conservano.
Tre intermezzi op.117 di J. Brahms Come grande erede del sinfonismo Beethoveniano, Brahms ripensa al pianoforte le esperienze seminali della grande stagione del Romanticismo naufragata nelle rivoluzioni del 1848 miseramente fallite e idealmente nel 1892 chiude la parabola del grande pianismo ottocentesco.
Il primo dei tre intermezzi nella partitura originale riporta un epigrafe tratta dalla raccolta delle Canzoni popolari di Herder: “Dormi dolcemente, bimbo mio, dormi dolcemente e tranquillo! Mi da tanta pena vederti piangere. ”Gli intermezzi sono composti proprio in forma di canzone e sono evidentemente ispirati a quella particolare canzone della raccolta citata nella quale una giovane madre prima canta una ninna nanna al proprio bimbo e poi s’addolora pensando al tradimento del marito che le aveva giurato eterno amore e che l’ha abbandonata. E’ un monologo interiore che corrisponde a quello del compositore e degli altri grandi spiriti del XIX sec. che amaramente riflettevano sulla rovina del sogno romantico che tanto li aveva cullati e che si dissolse rapidamente alla luce del tragico mattino dell’età contemporanea.
Kreisleriana. Fantasien op. 16 (1838) di Robert Schumann
Lo scrittore E.T.A Hoffman creò un bizzarro personaggio di maestro di cappella dal nome Krisler, dal carattere sulfureo, tormentato, geniale ed estremo nel quale Schumann si riconosceva pienamente tanto da fargli con questa composizione un omaggio in forma di autoritratto. Gli otto brani sono “Fantasie” dedicate a Fredrick Chopin e sono permeati dalla passione dell’autore per l’amatissima Carla Wieck. Per questo esprimono a volte frenesia e desiderio, altre placida serenità e appagamento, fino alla malinconia e all’abbandono della solitudine. E’ proprio in questa atmosfera intima e tenera che Sokolov ha voluto trasportare idealmente il suo pubblico che si è deliziato nel seguirlo in queste astrazioni fatte di rarefatte sensazioni siderali come quelle che nella fantasia dei poeti si trovano nella coda delle comete.
Flaviano Bosco © instArt