Lacci è un film del 2020 per la regia di Daniele Luchetti, prodotto da IBC Movies e Rai Cinema e tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Stannone del 2014, inserito nella lista dei migliori romanzi dell’anno secondo il New York Times.

Anni ‘80: Aldo e Vanda sono una coppia con due figli, Anna e Sandro, tutto sembra andare bene, fino a che il marito non confessa alla moglie di avere un’amante; sarà l’inizio di un dramma famigliare che si svilupperà su più piani temporali.
Guardando questo film non si può non pensare a una delle più grandi esperienze traumatiche della storia della cosiddetta “sinistra” italiana recente: il berlusconismo. Non per niente la pellicola inizia negli anni 80, il decennio della fine del monopolio Rai e della nascita delle televisioni private, con successiva differenziazione dei contenuti e conseguente assunzione semantica da parte dei media (la gente si chiede cosa sta guardando e può decidere cosa guardare).
Ecco quindi che i media diventano produttori di significato e i principali distributori d’informazione all’interno del film; la pellicola, quindi, si guarda e si ascolta, con i dispositivi mediatici che diventano fondamentali sia per la trama che per la forma del testo filmico in sé. La forma, per l’appunto, è importantissima: dal documentario che parla delle dinamiche all’interno del branco di leoni, si ha l’impressione di assistere ad un eterno valzer, ove i personaggi si sfiorano senza toccarsi mai. La loro non ricerca della verità è manifesta dal fatto che si ha a che fare con la loro dimensione bestiale più che personale; lo dimostra benissimo l’ultima scena quando i figli, alla verità preferiscono la ribellione, dando vita a quello che è pressoché un circolo infinito. Inoltre, il fatto che uno stesso personaggio si serva del corpo di due attori, assurge alla caratterizzazione di maschera, fatto che rimanda a una dimensione puramente teatrale, palesemente manifesta durante tutto il film; oltre a non dare un cognome alla famiglia, il ché garantisce al tutto un carattere prettamente universale.
Resta da analizzare la dimensione sociale ma, visti gli arredamenti e il linguaggio, non ci sono dubbi che la classe d’appartenenza è quella borghese medio-alta; parafrasando un personaggio di un noto cartone animato verrebbe quasi da dire: “Vi siete scelti una magnifica prigione, ma è pur sempre una prigione.”

Nicola Bertone / instArt 2020 ©