Dopo il grande successo de “Le olimpiadi del 1936” (portato a Trieste nel 2016), Federico Buffa raddoppia e torna a vestire i panni del narratore sportivo sul palco del Politeama.
Ancora una volta la data scelta è storica non solo dal punto di vista sportivo: il match di boxe tra Mohammad Alì e George Foreman a Kinshasa (nell’allora Zaire) nel 1974 ha avuto contorni molto più ampi e riguardanti i diritti dei neri africani in un mondo che ancora era attanagliato dalla morsa di un razzismo feroce. Un incontro fortemente simbolico, che metteva a confronto un Alì visto quasi come un salvatore della causa nera (e accolto dagli zairesi al grido di “Alì bomaye”, “Alì uccidilo”) contro un Foreman “nero venduto all’America”.
La formula è quella ormai ben collaudata dal volto di Sky e fortemente apprezzata dal pubblico: un rutilante racconto che va ben presto oltre i limiti dell’evento e dei suoi protagonisti per abbracciare tutto ciò che ha girato intorno ad esso. E’ sempre affascinante vedere come in questo modo Buffa riesca a calare perfettamente la platea nell’atmosfera dell’epoca e a far comprendere quali siano state da un lato le cause che hanno portato alla sua organizzazione e dall’altro le ramificazioni avute nella società.
Per riuscire in ciò Buffa non “segue” solo gli attori principali dell’evento (Foreman ma soprattutto Alì) ma entra nelle vite e nelle vicende di tantissimi altri individui le cui esistenze sono state toccate -a volte anche solo marginalmente- dall’evento. Quelli che in un film sono solitamente i piccoli comprimari: compaiono in una scena e poi magari non verranno mai più nominati, eppure nella narrazione di Buffa risultano sempre “forti”, ben descritti e importanti per delineare la vicenda nella sua complessità. Sono le pennellate piccole ma fondamentali che danno valore al quadro. Tra i più influenti nella narrazione certamente le due figure a cui si deve l’esistenza del match: Don King (spregiudicato impresario che ha nell’organizzazione dell’incontro l’ultima occasione di riscatto sociale ed economico) e Mobutu, il dittatore che stava cercando di puntare i riflettori mondiali sul “suo” Zaire e che dopo la cocente delusione della “sua” nazionale ai mondiali di calcio aveva più che mai sete di fama mondiale. Ed è da lui che Buffa parte per tratteggiare mirabilmente la storia di un paese straziato come tanti -troppi- stati africani, passato tra colonialismo, occupazioni straniere e -appunto- dittatori prima di un tentativo di democratizzazione e pace. E per cercare di far capire alla platea quanto quel match fosse importante agli occhi del dittatore: il giornalista di Sky risulta mirabile in ciò, riuscendo da un lato a condannare le gesta -anche estremamente violente- di Mobutu ma allo stesso tempo a permettere per un attimo di mettersi nei suoi panni e sentire l’eccitazione per un passo così importante per il suo paese.
Ma sono davvero molti altri gli attori che entrano nel racconto di Buffa: come David Frost, giornalista presente all’incontro che qualche anno dopo riuscirà grazie alle sue pressanti interviste a far chiudere scusa agli americani a un Nixon in lacrime. O come Tommie Smith e John Carlos, nel 1968 sfidarono il “white power” americano presentandosi a pugno alzato e guantato di nero sul podio dei 200 metri piani. O ancora Bob Kennedy, che poco prima di essere assassinato aveva predetto un presidente afroamericano entro quarant’anni, e che se fosse sopravvissuto avrebbe potuto vedere come proprio una borsa di studio per africani da lui fortemente voluta avrebbe portato in America uno studente keniota che sarebbe diventato il padre di Barack Obama.
Ovviamente la parte del leone spetta però a lui, Mohammad Alì, e alla sua storia. A come sia entrato nel mondo della boxe convinto che un giorno sarebbe diventato campione del mondo e di come presto la sua carriera sia diventata un simbolo per il riscatto dei neri africani. Una personalità che ha trasceso i limiti dell’atleta per lasciare un segno importante nella società e che ha visto nel “rumble in the jungle” (così è stato soprannominato il suo incontro con Foreman) la sua consacrazione.
L’avvicinarsi del match viene ben scandito sul palco, sia con una narrazione sempre più serrata sia con la disposizione di quattro corde -una a una- sulla quarta parete, quel muro immaginario che divide palcoscenico e platea, attori e pubblico, boxeur e tifosi. Ed è solo uno degli espedienti scenici usati per immergere il pubblico nell’atmosfera dell’evento. Fortemente d’impatto le luci fortissime (come quelle su un ring) accese d’improvviso sul pubblico, così come evocativi risultano sia i contribui video (a volte citazioni, a volte foto d’epoca) che gli audio originali dell’epoca. Ottimo anche il supporto musicale, affidato a Alessandro Nidi al pianoforte e a Sebastiano Nidi alle percussioni, che sa sempre sottolineare con competenza l’emozione o la sensazione principale di ogni momento.
Per assurdo il match non ha molto spazio all’interno dello spettacolo e viene descritto in modo decisamente più sbrigativo rispetto al resto. Per Buffa più che quegli otto round è importante ciò che essi hanno significato per il mondo e per gli stessi due protagonisti, che da acerrimi rivali trovano in quel match la scintilla che li trasformerà in amici. E che li porterà, anni dopo, fortemente cambiati, a reincontrarsi. Come nella telefonata (registrata per caso da Alì, che era solito farlo solo con le telefonate dei parenti) che chiude lo spettacolo e che fa sorridere e quasi commuove nella sua semplicità e nel modo in cui Alì sprona l’ex nemico -nel frattempo ritiratosi e diventato fortemente credente- a reindossare i guantoni.
Complessivamente lo spettacolo risulta forse lievemente sotto tono rispetto a “Le olimpiadi del 1936” e alla sua strabordante mole di contenuti, personaggi, eventi, dettagli. Ciò è assolutamente comprensibile se si pensa alla differenza (di tipologia e di numero di partecipanti) tra i due eventi, e va inoltre dato merito a Buffa e alla coautrice Maria Elisabetta Marelli di essere riusciti a portare sul palco una narrazione che rapisce, coinvolge, “avvolge” e affascina. A dimostrazione che il matrimonio tra informazione e intrattenimento intelligente è ancora possibile.
© Luca Valenta / Instart