“Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati inizia così:
“Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c’era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.
Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all’Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l’incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai”.
E’ uscito su You Tube “Padua”, il nuovo videoclip di DJ Tubet, primo singolo del suo album “Fin Cumò”, che esalta lo stile dell’artista di Nimis (UD) che contamina la tradizione musicale friulana con la modernità della cultura Hip Hop. Il divertente video è stato presentato con successo anche al pubblico del cinema Visionario di Udine.
Dj Tubet ha il grande pregio, in questa come in altre sue opere, di utilizzare la lingua friulana molto spesso a proprio volta “mescolata” ad altre lingue, in un creativo gramelot che rispecchia perfettamente la nostra contemporaneità stratificata e multietnica.
A partire da questa prospettiva, in “Padua” il cantante rilegge anche il nostro recente passato, facendo emergere situazioni ed emozioni davvero poco indagate e raccontate, soprattutto nella nostra lingua.
La nostra Regione è stata, nell’ultimo secolo, frontiera prima del Regno d’Italia e poi della Repubblica e dell’intera Europa; la linea immaginaria da Trieste a Tarvisio, divideva l’Occidente capitalista e l’Oriente comunista; la Nato dal Patto di Varsavia si toccavano e contrapponevano in armi. E’ nota perciò la militarizzazione di tutto il territorio durante la cosiddetta “Guerra fredda” tra caserme, depositi, polveriere, campi di manovra e d’esercitazione e quant’altro. A volte nei nostri paesi c’erano più militari che abitanti, animali compresi.
L’Associazione per lo Studio e la Salvaguardia delle Fortificazioni a Nord-est si occupa in particolare di catalogare, studiare e valorizzare le centinaia di bunker realizzati dopo la Seconda Guerra Mondiale per rendere inespugnabile la zona di confine e il territorio tra il monte Lussari e il Tagliamento.
Ogni infrastruttura strategica militare, civile o viaria (ponti, strade, sopraelevate, ecc.) poteva vantare il proprio bunker con cannone e mitragliatrici presidiato da truppe scelte, pronte a contrastare l’invasore “comunista” fino distruggerlo sabotandone l’avanzata.
Il videoclip, molto affascinante e straniante, che mostra per la prima volta l’interno di uno dei tantissimi bunker della Guerra Fredda situato al confine tra Italia e Austria, è stato realizzato dall’antropologo visuale Stefano Morandini che sa trovare prospettive sempre nuove per guardare alla storia sociale del nostro territorio.
Il Bunker Cherso 1 di passo di Monte Croce Carnico (Paluzza) nel video appare in perfetta efficienza, restaurato e riportato alle proprie originarie funzioni. Si vedono i posti d’osservazione armati, i cunicoli, la camerata centrale che ospitava i soldati, i mezzi di comunicazione che collegavano la fortificazione all’esterno e le porte blindate che isolavano la struttura.
Purtroppo, durante gli anni ’90 moltissime fortificazioni della fitta rete di difesa del confine orientale sono state prima abbandonate a se stesse e poi smantellate. Solo recentemente si è pensato di valorizzare anche a livello turistico quello che è rimasto, si dirà “meglio tardi che mai”, ma in realtà, quando si tratta del patrimonio storico sarebbe meglio prima.
Di certo il bunker offre una scenografia claustrofobica e perfetta per l’ambientazione della storia di Dj Tubet ed è piacevolmente in contrasto con il suo concitato rappare in lingua friulana che si ispira alle antiche villotte. Se però si presta un po’ di attenzione a quello che si vede e si sente, si capisce subito anche il portato antimilitarista del brano e del video.
Le villotte sembrano riferirsi solamente ad amorazzi e balli campestri, ma al contrario esprimono una vitalità e una nostalgia per l’amato del tutto opposta a quella distorsione patriottesca in chiave nazionalista che aveva riadattato le fortificazioni di confine mussoliniane in chiave anticomunista.
La gente che ha abitato la frontiera e ha sofferto per i micidiali giochi del potere sui confini ha sempre avuto una grandissima aspirazione alla pace e alla fratellanza. Nella recente commemorazione della Resistenza sulle montagne della Carnia, il Capo dello Stato Mattarella ha affermato:
“Rendiamo Onore ai Friulani che, con la Repubblica Partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, vollero battersi per la loro terra, per la loro dignità, per le loro radici, per quei valori di solidarietà che hanno sempre caratterizzato la convivenza tra queste montagne. Una Repubblica, anello di quella corona di “zone libere” che avrebbe contribuito a dare il senso della nascita, dopo quello dissoltosi nell’estate del 1943, di un nuovo Stato, con un ordine costituzionale che non vedeva più sudditi ma bensì cittadini”.
Sappiamo bene che negli ultimi ottant’anni non sono state sempre rose e tulipani e di bocconi amari ne abbiamo dovuti trangugiare parecchi, ma lo spirito di quei valori e sacrifici rimane di certo intatto e lo dimostrano lavori come quello di Dj Tubet e Morandini che sanno divertire e far pensare allo stesso tempo, facendoci scoprire frammenti della nostra storia che conosciamo davvero poco.
Come dice il comunicato stampa divulgato dall’artista:
“La storia raccontata (dal video) si ispira alle implicazioni psicologiche degli Alpini d’Arresto che presidiavano queste fortificazioni durante il conflitto, con particolare attenzione alle emozioni e ai pensieri legati alla guerra: la noia, la paura costante di un attacco imminente, e il desiderio verso le fidanzate lasciate a casa. Centrale nella trama è la rievocazione di una storia d’amore tra un militare e una ragazza, un tema che richiama anche alcune villotte ottocentesche tradizionalmente incentrate sull’amore…Il videoclip è una delle opere realizzate nell’ambito del progetto culturale “W.A.R.S. – Where Are Real Stories. Luoghi, vicende e arti per conoscere la Storia del Novecento”, curato dall’associazione Espressione Est, che celebra quest’anno il suo trentesimo anniversario. Il progetto, sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ha come obiettivo la valorizzazione del patrimonio storico e umano, legato soprattutto alle vicende belliche del secolo scorso”.
Le due guerre mondiali hanno lasciato profonde cicatrici nel nostro territorio, non serve nemmeno dirlo. La nostra Regione prima e dopo quei sanguinosi, crudeli, inutili conflitti ha cambiato fisionomia per sempre dal punto di vista sia culturale che geografico. La questione dei confini e delle frontiere ha lacerato la nostra cultura e le nostre genti.
Fino alla caduta della “Cortina di ferro” però le barriere con i nostri fratelli yugoslavi erano ben solide e la propaganda davvero pervasiva e onnipresente. Sembrava che poco oltre Gorizia iniziasse una landa desolata di lupi famelici e senza dio pronti a ingozzarsi sulle ricche mense europee, proprio come ne “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati. La prima barriera era quella nel cervello di tutti noi che finivamo per credere alle baggianate anti-comuniste, cui qualcuno ancora oggi crede, fino a costruirci sopra intere campagne elettorali e carriere politiche.
Chi scrive queste righe ha avuto il discutibile privilegio di prestare servizio come sottotenente di complemento nel 52° battaglione Fanteria d’Arresto “Cacciatori delle Alpi”, il reparto dalle cravatte rosse che fu erede di quello fondato dall’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi.
Il battaglione di stanza alla caserma “Mario Grimaz” di Attimis (UD) presidiava una serie di “opere difensive” (bunker) collegate tra loro, poste sulla linea di confine dell’allora Yugoslavia.
Le cosiddette “opere” erano fortificazioni sotterranee proprio come quella che si vede nel video girato da Stefano Morandini.
Teoricamente, le truppe asserragliate all’interno avrebbero dovuto rallentare e ostacolare l’avanzata dell’agente “arancione”, l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia che, in ogni momento, potevano dilagare nella pianura friulana rompendo la “Cortina di ferro”.
La Guerra Fredda aveva spinto i governi a continuare a irrigidire i confini della “Fortezza Europa” di sinistra memoria.
Certo, non si scherzava nemmeno dall’altra parte dell’immaginario filo spinato dove garrivano le rosse bandiere. Sempre lo scrivente ricorda le ronde nel bosco dei “Graniciari”, le guardie di confine yugoslave con il loro Zastava M70 (lo Yugo-Kalashnikov) e i cani da pastore tedesco.
Capitava a volte che qualche intrepido soldato di leva italiano si azzardasse a varcare clandestinamente l’invisibile confine, attratto semplicemente dallo spirito d’avventura, di trasgressione o semplicemente perchè si era perso nel bosco. In quei casi era necessario recuperarlo nella prima caserma della guardia di confine yugoslava e non sempre era piacevolissimo.
Sembrano passati secoli, invece è questione relativamente recente che molti ricordano perfino con nostalgia. Le esercitazioni spesso consistevano in giornate intere, col sole o con la neve, in mezzo ai boschi, dentro cunicoli e postazioni, a lucidare cannoni, a tenere in efficienza i sistemi di comunicazione e di difesa in cervellotiche simulazioni d’attacco dell’Armata Rossa.
A volte le simulazioni prevedevano anche di dormire nelle anguste camerate sotterranee con la fortificazione completamente sigillata e blindata, un’esperienza claustrofobica davvero indimenticabile che evocava gli spettri della guerra nucleare.
Al buio, nelle brande, sotto le volte blindate e lo spesso cemento armato dei bunker tanti ragazzi sognavano le loro morose, oppure la mamma, casa loro e tante cose che coincidevano con la libertà che gli mancava.
Tanti di quelli che oggi rimpiangono e ripropongono la “maledetta” Naja (leva obbligatoria) è perchè o non l’hanno mai fatta o perchè sono diventati vecchi e idealizzano la loro perduta gioventù. L’esercito moderno ha bisogno di professionisti perfettamente formati, equipaggiati e capaci e non di ragazzoni strappati a forza alle loro professioni, alla scuola e alle famiglie, ma soprattutto il nostro mondo ha bisogno di Pace, Amore e Musica, esattamente quello che canta DJ Tubet.
Il romanzo di Buzzati si conclude con queste righe e così finisce l’avventura di Giovanni Drogo nella fortezza Bastiani davanti al deserto dal quale non è mai arrivato nessun nemico:
“La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna.
Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po’ il busto, si assesta con una mano il colletto dell’uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.”
Le fortezze del confine orientale, per fortuna, non servirono mai assolutamente a niente, l’invasione non ci fu e oggi possono essere un’interessante attrattiva turistica e paesaggistica, molto meglio così.
Flaviano Bosco / instArt 2024 ©