No Time to Die è un film del 2021 diretto da Cary Fukunaga con Daniel Craig, Jeffrey Wright, Lea Seydoux, Christopher Walts, Naomi Harris, Lashanna Lynch, Ben Whishaw, Ralph Fiennes, Ana de Armas e Rami Malek nel cast principale.
James Bond è in pensione, tuttavia, quando Felix Leiter, lo cercherà per una questione che si potrebbe definire privata, non esiterà a ributtarsi nella mischia.
È lecito chiedersi a cosa si è assistito visionando l’intera ultima cinquina di film bondiani? La risposta è semplice: a un comune, quanto ben costruito, romanzo di formazione di James Bond; per dare dei punti di riferimento questi film sono, in ordine cronologico: Casino Royale (Martin Campbell, 2006), Quantum of Solace (Marc Forster 2008), Skyfall (Sam Mendes, 2012), Spectre (Sam Mendes, 2015) e infine proprio No Time to Die che chiude degnamente l’intero ciclo.
Ora, per comprendere appieno l’operazione attuata sulla spia britannica, interpretata da Daniel Craig, è opportuno immaginare il personaggio di Bond come fosse un pendolo che oscilla costantemente tra due poli: quello dell’Amore e quello della Morte; l’amore, manco a dirlo, è rappresentato dalle donne, che per inciso, non sono più dei meri oggetti sessuali, ma diventano centrali all’interno della trame e con cui Bond sperimenta tre, o se si vuole quattro, livelli diversi d’amore ossia, quello ossessivo adolescenziale (Vesper Lynd), quello materno e conflittuale (M), quello fedele e coniugale (Madeleine Swann) e infine quello genitoriale (Matilde).
La morte poi è uno spettro sempre presente: è un caso che Casino Royale si apra con l’uccisione dei due agenti traditori al fine dell’ottenimento della licenza doppio zero? Ed è un caso che Skyfall si apra con la morte apparente di Bond e che a sparargli sia una donna? Ed è ancora un caso che la sequenza iniziale di Spectre sia ambientata durante el dia de los Muertos in Messico?

Le varie problematiche geopolitiche che si sviluppano all’interno dei vari capitoli (il rapporto tra denaro e terrorismo, lo sfruttamento delle risorse naturali, l’uso di Internet, la videosorveglianza, il target killing e le nanotecnologie), assumono quasi dei contorni da incubi cronenberghiani, non capita di rado infatti che la cinepresa indugi su ferite, mutilazioni e menomazioni, topoi da sempre cari al regista canadese, senza contare le riflessioni sul regime tecnocratico degli ultimi tre film, ove, tra l’altro, Bond assume un’ulteriore dimensione cristologica.
In No Time to Die, tutto questo, viene riportato alla sua essenza: non è un caso infatti che, l’intera sequenza d’apertura del film sia occupata interamente da Madeleine, e non più da Bond, che ormai è sempre più sullo sfondo; o che la tomba di Vesper gli esploda sotto i piedi non appena vi getta una rosa (con le sue spine); non solo, tutto ciò che tocca o muore o gli viene negato come se fosse un portatore di morte, ed è in quest’ultima danza macabra, che, un ulteriore nucleo compositivo che non si era risolto precedentemente, la scacchiera presente nel rifugio di Mr. White in Spectre, trova il suo ideale compimento nell’interiorizzazione del modello bergmaniano per eccellenza: Il settimo sigillo (1958); d’altronde, l’intero ciclo craghiano non è stato, forse, nient’altro che un’estenuante partita a scacchi e un’unica cavalcata di Bond verso la Morte e si sa che alla Morte non sfugge niente e quindi nemmeno lui, ma d’altronde, Bond, è l’inizio e la fine di tutto. Leggendo altre recensioni, ci si è imbattuti nel concetto secondo il quale, questo film sarebbe più intimista rispetto agli altri 4, ed è quindi lecito chiedersi cosa abbiano visto questi recensori in Bond negli ultimi 15 anni? Si è visto piangere, si è vista la sua casa natale, si è visto dove vive, si sono viste le tombe dei suoi genitori, insomma, più intimo di cosi si muore… appunto.
Si è discusso malamente su come debba continuare la saga, ma vista la sua natura squisitamente geopolitica è normale che rifletta i cambiamenti che avvengono all’interno di essa.
Non si sa ancora come proseguirà la saga ma abbiamo tutto il tempo del mondo per scoprirlo.

Nicola Bertone © / instArt 2021