Appuntamento di altissimo spessore culturale venerdì 20 dicembre alla sala San Pio X (inizio alle 21 – ingresso libero); sul palco, nell’ambito del Natale a Staranzano 2024, Moni Ovadia, scrittore, attore, autore, intellettuale di vaglia, con il suo reading “Laudato sì”, ovvero la seconda enciclica scritta da Papa Bergoglio nel suo pontificato (2015), sulla cura della casa comune, dedicata ai temi ambientali e ai problemi del pianeta, che Ovadia commenterà coadiuvato da Stefano Alberello all’Oud (un suggestivo liuto antico di origine nordafricana).
Il suo sguardo acuto sarà dunque rivolto all’attuale situazione ambientale, al rapporto che lega l’umanità alla salute del pianeta, alla gestione internazionale politica e amministrativa dei problemi climatici e ambientali.
Lo spettacolo fa parte delle anteprime del Festival dell’Acqua di Staranzano che nel 2025 vedrà la sua terza edizione dal 22 al 25 maggio mentre le manifestazioni del Natale sono curate dall’Amministrazione Comunale con la preziosa collaborazione delle Associazioni del territorio e il determinante sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, della Camera di Commercio della Venezia Giulia – Fondo Gorizia e dell’Ascom.
Moni Ovadia ha rilasciato a Marina Tuni di instArt questa intervista:
-MT: «Il suo approccio da agnostico conferisce una prospettiva particolare alla lettura dell’enciclica. Come si confronta con il linguaggio spirituale e religioso del testo e come ha lavorato per dare forma, nel suo reading, alla “forza rivoluzionaria” dell’enciclica attraverso la sua voce e il suo commento?»
MO: «Sì, sono agnostico ma credo profondamente che una cosa sia la religione e un’altra la spiritualità. Ho molto rispetto per tutte le fedi: chiunque ha diritto di viverle ed esprimerle.
La spiritualità però è una cosa diversa: essa riguarda tutti, non dipende dalla fede in uno o nell’altro Dio. È la ricerca interiore del senso dell’esistenza, è un processo necessario a tutti. Sono convinto che non ci sarà mai una trasformazione in direzione della pace e dell’uguaglianza se questa convinzione non verrà sentita, processata e vissuta a livello interiore.
Perciò quest’Enciclica è rivoluzionaria: non parla in termini prettamente religiosi ma totalmente spirituali: io non credo alle “toppe” messe dai politici, da chi si riempie la bocca di retorica. Credo, invece, a questo tipo di rivoluzioni (perché l’enciclica è rivoluzionaria). Le rivoluzioni non sono per forza violente o armate, anzi: basti pensare a Gandhi, e non solo a lui. Anche Papa Francesco è un rivoluzionario. Attraverso i dettami dei Vangeli arriva alla coscienza delle persone e va oltre alla religiosità. Lo stesso Gesù era rivoluzionario: ha fondato il suo cammino sugli ultimi, sui diseredati, sui vinti; e nella Roma di quel tempo non era facile. E se oggi tornasse al mondo, lo arresterebbero subito!»
-MT: «Lei, come si evince anche dalla sua risposta, è sempre molto vicino alle questioni della giustizia sociale. Come interpreta il legame tra crisi ecologica e disuguaglianze sociali, tema centrale dell’enciclica?»
MO: «La crisi ecologica è dovuta alla scelta di capitalizzare il mondo, di credere la terra una proprietà di pochi. “Privato” significa “tolto a qualcuno”. E questo ricade per forza sui poveri, su chi non ha strumenti. Pensiamo alla devastazione delle foreste, all’acqua che genera siccità o alluvioni. Pensiamo, per esempio, alla devastazione del Mato Grosso (una su tante): tutto sulle spalle degli indifesi.
Quando sentiamo le dichiarazioni dell’Occidente a me fanno tanta rabbia: tanta “fuffa” travestita da democrazia, che democrazia non è. In una società tanto diseguale, tanto squilibrata, una vera giustizia sociale non ci sarà mai.
L’umanità, nel suo cammino pieno di violenza, di lotte, di morte, deve dirigersi verso l’uguaglianza come scopo principe. L’uguaglianza non è uniformità ottusa; è la garanzia di uguali diritti per tutti, è possibilità di avere accesso ai beni primari ma anche all’eccellenza della conoscenza. Invece il nostro mondo ha persone che possiedono da sole i beni equiparabili a quelli di un intero continente, al fianco di persone che non arrivano a fine mese o – peggio – che vivono in disperazione e miseria. Papa Francesco segnala chiaramente questi problemi e dichiara anche l’irrazionalità dell’iper-capitalismo liberista che costringe alla disuguaglianza».
-MT: «Qual è il punto dell’Enciclica che ritiene più deflagrante?»
MO: «Il capitolo sulla Casa Comune. Il pianeta è la casa di tutti gli esseri viventi, coloro che lo abitano.
Questo concetto ha una forza inopponibile; chiunque deve riconoscere che tutti hanno diritto a una vita dignitosa e buona, ad una alimentazione corretta, all’educazione, alla civile convivenza. TUTTI.
Su questo Papa Francesco è inequivocabile. E sono questi i valori del cristianesimo, quello vero. Questo implica anche la cura del pianeta, il riconoscimento del suo valore, l’attenzione per il proprio ambiente e soprattutto per il prossimo: l’attenzione agli ultimi davanti a tutto. Francesco è un cristiano vero, anche se da molti è malvisto e discriminato, in particolare da quei cattolici integralisti che chiedono supremazia, più che uguaglianza.
E pensare che “cattolico” deriva dal greco Katà Òlos, VERSO tutti … non SOPRA tutti, come alcuni vorrebbero.
Cito un’altra bellissima frase, che diceva il mio carissimo amico Don Andrea Gallo, anch’egli ebreo agnostico, cui ero molto legato: “la coscienza personale è dottrina certa”. Non serve convertire nessuno. Serve dare dei messaggi che arrivino al profondo e che poi ciascuno elabori.
Ho spesso rapporti molto stretti con sacerdoti e religiosi: domani, per esempio, vado a colloquio con uno di loro per parlare del Messiah. Per noi è simbolo di giustizia sociale che arriva sulla terra ed è interessante ascoltare la visione di altre persone votate alla religione.
C’è un racconto hasidico mistico ebraico che risponde alla domanda “Maestro cosa può fare un ebreo per accelerare la venuta del Messiah”?
Il rabbino risponde che si deve salire una scala d’oro e ogni gradino dà prova di fede e carità in più. Ma il vero traguardo è arrivare al gradino in cui non c’è più bisogno di disseminare il verbo perché la carità è già nella vita di tutti. In ebraico carità è Zedaqah e ha delle radici comuni con la parola fede».
-MT: «Che tipo di reazione ha suscitato e vorrebbe suscitare nel pubblico? Emozione, riflessione o anche un impegno concreto?»
MO: «Il pubblico ha sempre dimostrato grande apprezzamento per questi temi, sono urgenti. Su come reagisce è difficile dire: noi non siamo “guardiani” della coscienza degli altri. Chi sente queste cose, chi ha necessità di parlarne lo deve fare, finché ha fiato in corpo. La cosa importante è confidare nel fatto che i propri simili ne capiscano profondamente l’essenza e che possano interpretarle con i propri strumenti, che possono essere diversi e magari anche più efficaci e profondi di quanto noi stessi – che stimoliamo queste riflessioni – potremmo immaginare».
Marina Tuni © / instArt 2024
instArt ringrazia Clara Giangaspero e Roberta Sodomaco per la collaborazione