Nell’edizione 2018 del festival Nei suoni dei luoghi, la più transfrontaliera delle manifestazioni musicali regionali, il violinista Stefan Milenkovich si esibirà venerdì 28 e sabato 29 settembre per due concerti di fila, prima da solo a Trieste all’Istituto Rittmeyer per ciechi e poi al Teatro di Latisana in coppia con il violoncellista Enrico Bronzi. Ovvio che, vedendo passare così vicino a noi una delle maggiori stelle del violinismo internazionale, Instart il giornale dell’arte, non si sia lasciato sfuggire l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con l’artista per inquadrare meglio il contesto delle sue esibizioni triestine e latisanesi.
Lo abbiamo quindi intervistato al telefono e il Maestro, che parla un italiano migliore della maggior parte degli italiani, si è dimostrato molto gentile e disponibile aiutandoci a capire alcune cose riguardo a questi due concerti.
Buonasera Maestro, potrebbe spiegare ai lettori di Instart come mai ha avuto l’idea di partecipare ad un concerto così particolare, al buio e in un istituto per ciechi?
L’idea è di Loris Celetto (direttore dell’Associazione Progetto Musica e organizzatore del festival Nei suoni dei luoghi, ndr) che me l’ha proposta un anno fa. Questa proposta ha stimolato la mia curiosità e il mio interesse. Penso che sia una cosa bellissima e decisamente inusuale che esalta l’idea del suono puro. Poi, poter suonare per un pubblico così particolare….bellissimo!!!
Certamente! Ma quali sono i criteri che l’hanno guidata alla scelta del programma?
Questo è un programma che, in realtà, ultimamente ho fatto spesso. È un programma che contempera il vecchio con il nuovo, in cui Ysaye nella sua sonata numero 2 prende spunto direttamente dalla partita n.3 di Bach, con Paganini che…..ci sta sempre e infine Kreisler, il grandissimo. È un programma che mostra i diversi stili della musica per violino.
Scorrendo il programma si nota che Bach è accostato ad altri autori, tutti violinisti. Quali, secondo lei, sono le differenze fra l’uso che fa Bach del violino e quello di autori come Paganini o Ysaye?
Dipende dal pezzo se è scritto con bravura o con altri intenti. Bach racchiude la bravura, ma l’accento è più sulla musica e sulla polifonia accompagnate da una naturale e geniale creatività, poi, naturalmente, ci sono le differenze di stile determinate dalla diversa epoca di composizione. Ysaye rappresenta una via di mezzo tra Bach e Paganini. In quest’ultimo c’è il virtuosismo, ma con una cantabilità operistica molto spiccata. Ognuno di essi si esprimeva tenendo in considerazione le possibilità del violino di quell’epoca. Anche Bach sapeva, eccome, essere virtuosistico, come Paganini sapeva essere lirico. In definitiva, quindi, è una questione di pezzo e dell’intenzione con la quale esso è stato scritto.
Maestro dopo il concerto al buio, lei sabato sarà di nuovo in scena con Enrico Bronzi. Come è nata la collaborazione con lui? Ha carattere episodico o continuativo?
A dire il vero non ho ancora avuto modo di conoscere Enrico Bronzi, lo conoscerò domani, quando avremo la prima prova. Per ora lo conosco solo di nome. L’idea è stata del mio manager, Valerio Novara. Trovo che sia una bellissima idea. Enrico Bronzi è un artista che rispetto molto e penso che ci divertiremo.
Due parole sul programma di sabato, che vedo ricco di trascrizioni, e in particolare su un pezzo di raro ascolto come la Sonata per violino e violoncello di Ravel.
Si, è un pezzo bello e particolare quello di Ravel, perché non esiste molta letteratura di alto livello per violino e violoncello e qui il trattamento dei due strumenti è tale che quando si ascolta questo pezzo i due strumenti sembrano un trio o un quartetto. Poi è molto bella anche la Sonatina di Artur Honegger, che non ho mai avuto modo di eseguire prima.
In chiusura di intervista mi dica, avremo nel prossimo futuro l’opportunità di ascoltarla da queste parti oppure i suoi impegni la porteranno lontano da qui?
Oh, io sono molto spesso in Italia, ma i miei impegni mi porteranno lontano da qui.
Beh, allora, Maestro, non mi resta che salutarla e complimentarmi ancora con lei per il suo italiano.
Sergio Zolli © instArt