Un piccolo gioco di parole con un vecchio diario di viaggio dello stesso Zamboni per indicare una nuova avventura del chitarrista emiliano. Non c’è forse luogo migliore di Trieste per una nuova proiezione con musica dal vivo del capolavoro di Tod Browning dedicato al conte Vlad.
Il mitico Bela Lugosi, protagonista assoluto della pellicola, nella sua forzata migrazione verso gli Stati Uniti, scappando dalla Rivoluzione ungherese, s’imbarcò proprio a Trieste su un piroscafo che gli fece scavalcare l’Atlantico verso la terra promessa.
Il suo avventuroso viaggio per mare è assimilabile a quello del conte Dracula alla volta di Londra. Il mito stesso del vampiro nel mondo contemporaneo è più cinematografico che letterario; a renderlo un’icona immortale è stato, non tanto il testo di Stocker, ma lo sguardo profondo, lampeggiante e diabolico di Lugosi, l’ombra torva e inquietante di Max Schrek nel Nosferatu di Murnau (1922) e l’orrendo mistero di Vampyr di Dreyer (1931).
Proprio negli stessi giorni dell’esibizione di Zamboni al Miela, nei circuiti D’Essai italiani girava una versione restaurata in 4k del classico di Carl T. Dreyer a cura del Cinema Ritrovato di Bologna.
Il Zamboni Trio ha perfettamente indovinato un ritmo ossessivo e monotono per accompagnare le immagini patinate e pittoriche della pellicola di Browning che fin da subito appare come una favola da palcoscenico allo stesso tempo notturna e brillante. La sceneggiatura, infatti, approvata dagli eredi di Stoker, fu un adattamento dello spettacolo che dal 1924 furoreggiava sui palcoscenici di Broadway.
Non è stato un semplice lavoro di sonorizzazione, Zamboni ha deciso di suonare sulle immagini, anzi, con esse, azzerando il volume originale, isolando solamente alcune frasi significative e inglobandole nel flusso sonoro come fossero voci di un incubo, ricordi lontani di un naufragio, l’eco di uno sparo.
“Bela Lugosi’s Dead” dei Bauhaus è uno dei brani più importanti del panorama post-rock cui fecero riferimento le band di cui Zamboni fu mente creativa. I CCCP, i CSI e tutto ciò che ne consegue furono profondamente influenzati da certe atmosfere dalle quali scaturirono le loro più feconde “immaginazioni” attraverso la musica. Non c’è bisogno di dire che i Bauhaus trassero ispirazione per il loro celeberrimo brano proprio dal film di Tod Browning, per Zamboni, insomma, l’esibizione del Miela è stata una specie di “ritorno a casa” anche perché, come lui stesso ha dichiarato, da ragazzo scoprì la propria passione per il cinema frequentando la Cappella Underground, una delle istituzioni cinematografiche storiche della città giuliana.
Lo stesso chitarrista durante la proiezione ci introduce al percorso artistico che lo ha condotto dalle nebbie padane ai fumosi club berlinesi degli anni ‘80 fino alla luce di questi ultimi anni in cui la sua ispirazione non solo di musicista, ma anche di scrittore, poeta, didatta e scultore di parole sembra moltiplicarsi e riflettersi in mille significativi frammenti.
Tra le soluzioni ambient, noise e punk/gothic perfettamente in linea con i contenuti della pellicola, sono stati principalmente due brani a far da guida agli spettatori. Il primo riportava i versi più dolci di “Curami” dei CCCP edita nel seminale Affinità e Divergenze (1986)
“Prendimi in cura da te, Prendimi in cura da te, Curami, Curami, Curami, Che ti venga voglia di me, che ti venga voglia di me” che giocando un po’ con alcune seduzioni letterarie e cinematografiche sarebbero state bene anche alla piccola feroce vampira dell’inquietante romanzo horror di Lindqvist e dell’altrettanto angoscioso film di Alfredson (2008).
Il secondo, quelli ancora più rarefatti e atmosferici, di “A ora incerta” che fa parte di uno splendido album inciso con la “cant-attrice” Angela Baraldi (2013) che meravigliosamente lo accompagna in tante avventure, in sala di incisione e on stage, negli ultimi anni.
Il testo sembra scritto apposta per evocare le lugubri atmosfere del film di Browning e si sposa benissimo con gli sguardi tetramente ipnotici del Dracula di Lugosi che sono come: “Sogni che fanno urlare, scadono in ombre chiare, ora che lentamente s’alza. Scalata nella gola, cercare la parola, scarna gentilmente franca, un’infinita compressione precede lo scoppio, un’infinita compassione…”
La proverbiale irruenta grazia del chitarrista emiliano si sommava alle trovate ritmiche e sonore del percussionista Simone Benvenuto che tesse sopra le immagini una trama di suggestioni sonore davvero intriganti facendo risuonare anche una tavola di legno e sfregando una lamina di metallo con un archetto da violoncello.
Non da meno l’estro e la fantasia del tastierista e sound designer Cristiano Roversi in una continua serie di rimandi, evocazioni e indicazioni di una realtà onirica elettroacustica. Di certo le composizioni eseguite non possono essere considerate una mera colonna sonora di semplice accompagnamento o commento alla pellicola di Browning. La suite eseguita dal trio ha caratteristiche proprie che la emancipano dalla funzione di sostrato sonoro. Pellicola e sonorizzazione in questo caso si confrontano in parallelo diventando due opere d’arte che si compenetrano, interagiscono ma non si confondono e nemmeno sovrappongono. Questo è un tratto distintivo delle composizioni di Zamboni che ha una lunga esperienza sia nella musica da film che in quella per gli spettacoli teatrali propri e altrui.
Il chitarrista è propriamente uno scultore di paesaggi e da decenni ne da continuamente prova nelle sue calligrafie letterarie e sonore; tra i suoi polpastrelli e le corde delle sue tastiere s’insinua, fino a rendersi udibile, la polvere del tempo e del viaggio.
I fotogrammi della pellicola scorrono sinuosi e affascinanti sullo schermo alle spalle dei musicisti. Non si tratta certo di un capolavoro e nemmeno del miglior film di Browning ma di certo ha segnato la storia del cinema e il nostro immaginario con immagini che sono diventate assolutamente iconiche, incise per sempre nella memoria di ognuno di noi. Niente in comune con la Sinfonia delle tenebre del Nosferatu di Murnau (1922) o con l’esoterismo surrealista del Vampyr di Dreyer (1932) già citato più sopra. La pellicola di Browning è un adattamento cinematografico di uno spettacolo teatrale del 1924 in cartellone a Broadway con grande successo da quasi un decennio.
Assolutamente memorabili e sbalorditive ancora oggi alcune sequenze con i fondali dipinti a far da scenografia per evocare le aspre montagne dei Carpazi oppure quelle che riguardano le mogli del vampiro che sorgono dalle bare e vanno incontro al giovane avvocato Renfield che si occupa di transazioni economiche. L’intento è quello di cibarsene, ma per primo ne approfitta il Conte che ne fa un sol boccone per poi ipnotizzarlo e servirsene proprio come un burattino.
Molto suggestivo, completamente fantastico e irreale il maniero del conte i cui interni sono anch’essi costruiti di quinte di cartone con disegni ispirati alle opere di Piranesi. La scena poi si sposta sulla nave che porta il conte Dracula in incognito verso Londra, esattamente come nel romanzo. Il trasporto è sorvegliato dal giovane avvocato, ormai completamente pazzo e asservito al proprio padrone vampiro.
Alcune inquadrature che lo ritraggono nella sua follia colpiscono lo spettatore nel profondo, regalando attimi di puro stordimento. Seguono le vicende, a tutti ben note, che portano il conte ad invaghirsi della bella Mina e il professor Van Helsing a piantare un paletto di frassino nel petto del vampiro liberando il mondo dalla sua ferale presenza.
Naturalmente, la presenza e l’interpretazione di Lugosi si fanno ancora notare ma in certi momenti alla nostra sensibilità appaiono quasi grottesche e caricaturali, abituati come siamo a quasi cento anni di parodie e rifacimenti. Quel Dracula è ormai solo un signore azzimato con un aria un po’ flanè e decadente mitteleuropea.
Trieste in una sera di un inverno dalle temperature miti, con il mare a pochi passi dal teatro, di una consistenza che appariva oleosa senza nessuna increspatura per l’assenza di vento e la misteriosa oscurità del suo orizzonte marino punteggiato al largo dalle luci lontane delle navi da carico in rada è stato proprio il luogo ideale per la proiezione concerto.
La musica di Zamboni e dei suoi musicisti ha saputo sottolineare perfettamente quella che è stata un’esperienza cinematografica di ampio respiro, sempre più rara ormai in questo nostro mondo di piattaforme streaming e di quarantene sul divano di casa davanti ai maledetti devices che succhiano dai nostri occhi tutta l’attenzione e svuotano le nostre vene da ogni volontà, soggiogando il nostro desiderio. Per fortuna ancora niente può sostituire l’immenso piacere di vedere un film sul grande schermo in un bel teatro con straordinari musicisti che danno il meglio di se per poi fare una romantica passeggiata lungo le rive del mare, sotto le stelle, fino alla piazza più bella d’Italia.
Flaviano Bosco © instArt