Il teatrino di Polcenigo, foderato di rosso, è un piccolo scrigno di bellezza, incastonato tra le pietre dell’incantevole borgo medievale. Il boccascena è appena sufficiente per una capriola, lascia immaginare molto più di quello che mostra; il vibrafono di Pasquale Mirra e la batteria di Hamid Drake lo riempivano tutto. Di per se l’esibizione di un duo di percussionisti è cosa piuttosto rara sui palcoscenici italiani, grandi o piccoli che siano, quando si tratta di artisti di così alto livello diventa un vero e proprio evento.

Prima del concerto, i due musicisti si potevano vedere in un delizioso ristorantino del centro a pochi passi dal teatro alle prese con il tagliere di affettati, la cacciagione in umido con polenta tutto naturalmente annaffiato con dell’ottimo rosso. Il jazz sarà bello nei rinomati locali di New York ma a Polcenigo, oltre a suonare meraviglie, si mangia e si beve decisamente meglio.

Il teatro anticamente era lo spazio privato per i divertimenti dei nobili del paese e dei loro pari, non era aperto al pubblico. Caduto in disuso divenne prima deposito di cereali, poi sala da ballo e ancora “cinemino” di paese e poi di nuovo teatro sociale. Un piccolo palcoscenico che ha come quarta parete quasi trecento anni di micro e macro storia; prova ne sia che nello stesso edificio al piano superiore trova posto l’interessante e singolare Museo dell’arte cucinaria dell’Alto Livenza (ars coquinaria).

Tradizionalmente, infatti, la zona è rinomata per la valenza dei suoi cuochi che lavorano nei migliori ristoranti di tutto il mondo. La storia del nostro territorio regionale è stata fatta da migliaia e migliaia di emigranti che se ne andavano per potersi guadagnare quel pane e quel futuro che da noi scarseggiavano. Da tutto il Friuli partivano muratori, minatori, fornaciari, taglialegna, serve, balie ecc. tra questi c’erano anche i raffinati e fantasiosi cuochi di Polcenigo. Non era dunque un aneddoto peregrino quello dei due musicisti a tavola, per entrare nello spirito del luogo non ne potevano proprio fare a meno, sarebbe stato un vero peccato.

Lo spirito di “Jazz River”, piccolo, preziosissimo festival organizzato dall’associazione Controtempo, è proprio quello di legare intimamente la musica di derivazione afroamericana alle delizie del territorio di Polcenigo fatto di acque sorgive, eccellenti vini, cibi succulenti e un paesaggio pedemontano assolutamente unico.

Anche il concerto è stato davvero molto particolare, è consueto vedere un dialogo tra due percussionisti così ispirati e in grado di raccontare emozioni attraverso i loro ritmi.

L’ottimo critico musicale Flavio Massarutto, che ha brevemente introdotto la serata, dicendo con un gergo da appassionati che si sarebbe trattato di un “concertone”, non si sbagliava per niente. Le lunghe, distese vibrazioni dello xilofono di Mirra, dolci e melodiche, si posano sulle intuizioni rumoristiche della batteria di Drake, preparata in vario modo per smorzare l’irruenza delle pelli o dei piatti.

Quello che esprimono entrambi è un tessuto di suoni narrativi che insieme disegnano distanze e luoghi affascinanti che ci rapiscono anche se non riusciamo a capirne fino in fondo i significati reconditi e ci fanno abbandonare al sapore dei beat come quando eravamo bambini e ci raccontavano le favole più strampalate e noi chiedevamo: “Ancora mamma, ancora!”.

Allora come oggi forse non capivamo quasi per niente il senso di quelle parole ma percepivamo con il cuore il tono, le increspature della voce e la dolcezza dell’intenzione. Spesso erano solo parole alla rinfusa biascicate a modi nenia o salmodia. Ma perché ci lasciavamo irretire proprio dalla morbidezza di quei suoni? La risposta potrà sembrare troppo poetica ma ci sono pochi altri modi di esprimere determinate sensazioni se non con i versi: siamo creature fatte di acqua e di musica, le nostre prime impressioni sull’esistenza le abbiamo percepite quando ancora galleggiavamo nel liquido amniotico, dopo che l’ammasso di cellule che eravamo nelle primissime fasi della gravidanza si era già trasformate nell’embrione della nostra forma definitiva. Appena gli organi di senso cominciano a formarsi cominciamo ad avvertire il mondo esterno attraverso il liquido e il ritmo del cuore di nostra madre.

Continuando nella metafora, forse un po’ abusata, il piccolo teatro rosso di Polcenigo potrebbe rappresentare l’utero accogliente che ci avvolge e il battito di Drake e di Mirra quello della vita stessa.

Pasquale Mirra – Foto Luca d’Agostino / Phocus Agency © 2020

Non è difficile capire come tutti i presenti si siano lasciati irretire da quei ritmi, dalla morbidezza delle tonalità e dalla loro ineffabile rotondità e circolarità in grado di giocare con le latitudini dai Caraibi delle battute in levare, alle periferie urbane del Funky.

Il gioco di percussioni si è fatto via via più astratto, indefinibile, frenetico e nervoso tra i vocalizzi di Drake e i suoni a volte vetrosi del vibrafono; non sono mancati di tanto in tanto sapidi afrori reggae e momenti sospesi annunciati e sottolineati dalle frizioni delle bacchette sul metallo dello vibrafono che sembravano miagolii o cigolii dei cardini di una delle vecchie porte degli antichi palazzi del borgo di Polcenigo.

Mirra, con questo ed altri prodigi, ha fatto comprendere anche ai più duri d’orecchi che i metallofoni non sono per nulla strumenti dell’epoca aurorale del Jazz ma del suo futuro prossimo. Sornione e gattesco, l’ammiraglio Drake l’aspettava sempre al varco tracciando in autonomia evocative traiettorie che poi insieme percorrevano. Entrambi si sono impegnati in continui cambi di ritmo, tra accelerazioni e intrecci furiosi di battute che si chiamavano e si rispondevano, tra le pelli e il metallo armonico che garantiscono loro un sound incredibile denso e speziato come una nuvola di colore durante il Maha Kumbh Mela.

Come si sarà capito, è stato un concerto pieno di energia durante il quale si è creata una straordinaria alchimia tra i musicisti e il pubblico in un mutuo scambio di emozioni. Nel finale Mirra si è rivolto direttamente al proprio pubblico riconoscendo il grande debito artistico e creativo che ha nei confronti di Drake del quale è diventato allievo molti anni fa e che considera un padre putativo. Il loro sodalizio ha fruttato fino ad oggi più di ottanta concerti e una straordinaria affinità dal punto di vista musicale e un altrettanto importante amicizia sul piano umano.

L’ultimo brano ha visto Drake percuotere un grande tamburo a cornice, intonando un canto dalla potente energia sciamanica e dalla forza arcana e tribale, in uno scambio circolare con il vibrafono potenzialmente infinito che ha finito per dissolversi in un atmosfera sottile e sospesa che ha lasciato il pubblico completamente attonito ed estasiato.

Val la pena di citare un estratto da “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi” di Mircea Eliade dal paragrafo dedicato al simbolismo del tamburo sciamanico: “Il tamburo ha una parte di primo piano nelle cerimonie sciamaniche. Il suo simbolismo è complesso e le sue virtù magiche sono multiple. Esso è indispensabile per lo svolgimento della seduta, sia che conduca lo sciamano al “Centro del Mondo”, sia che gli permetta di volare, sia che chiami e “imprigioni” gli spiriti, sia, infine, che il suono da esso prodotto aiuti lo sciamano a concentrarsi e a riprendere contatto col mondo spirituale che egli si prepara ad attraversare…E’ da uno dei rami dell’albero cosmico, lasciato cadere dal Signore a tal fine che lo sciamano…forma la cassa del suo tamburo”.

I due percussionisti si sono, infine, sciolti in un lungo abbraccio, travolti dall’incanto sonoro che avevano saputo creare. Gli applausi e il calore del pubblico hanno suggellato un’esibizione stellare che ha regalato emozioni uniche e rare tanto che sembrava impossibile sperare anche in un bis che, invece, è puntualmente accaduto come un’epifania dello spirito del tamburo in forma di blues.

Hamid Drake’s Turiya: Honoring Alice Coltrane è il nuovo progetto musicale che condividono per celebrare la grande forza spirituale della grande artista afroamericana che Drake conobbe quando aveva solo 16 anni a New York. Alice Coltrane ha sempre utilizzato la propria musica come mezzo di ascesi spirituale influenzando prima di tutto la cosiddetta “svolta spirituale” del marito John e poi le speranze di legioni di musicisti in tutto il mondo.

Hamid Drake – Foto © 2019 Luca A. d’Agostino / Phocus Agency

Drake ha concluso ringraziando il discepolo dicendo che per lui è un: “Brother from another mother” (un fratello di un’altra madre) proprio come si dice in Louisiana e aggiungendo che in una situazione del genere, grazie alla sintonia e alla condivisione artistica, la musica finisce per suonarsi da sola mentre i musicisti sono solo strumenti del divino che si manifesta attraverso di loro. “La tecnica è alle nostre spalle siamo il tramite della vibrazione che viene dallo spirito infinito”. E così sia nei secoli dei secoli, Amen.

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©