Il disco volante dei Kraftwerk è atterrato nello spazioporto interstellare del Gran Teatro Geox di Padova direttamente dallo spazio profondo al palcoscenico dove una miriade di autostoppisti galattici ha avuto il gran piacere di ascoltarli e vederli nella fantasmagoria delle loro proiezioni 3D.
Un modo come un altro per dire che si è trattato di un concerto fantastico, divertente e immaginifico come pochi. La forza del gruppo ha attraversato indenne lo spazio-tempo e, con gli opportuni accorgimenti e riarrangiamenti in chiave tecnologica, appare meravigliosamente sfavillante ed attuale.
Il loro spettacolo è propriamente un’esperienza immersiva multisensoriale da togliere il fiato e da gustarsi dietro gli occhialini 3D in un orgia di beats techno, immagini pixellate da retrofuturo, astronavi, architetture futuriste e livide iperealtà cibernetiche.
La formazione attuale prevede: Ralf Hütter (tastiere, sintetizzatori, vocoder) Fritz Hilpert (drum machine, percussioni elettroniche) Henning Schmitz (sintetizzatori, tastiere, drum machine) Falk Grieffenhagen (proiezioni video).

Si presentano in scena frontalmente dietro a quattro consolle in linea, una a fianco all’altra, inguainati in tute aderentissime in neoprene che interagiscono con le proiezioni cambiando colore e persino consistenza e forma nel gioco di prospettive lineari. Se ne stanno praticamente immobili come androidi mentre tutto attorno a loro si scatena un universo di suoni e immagini quasi insostenibile che investe gli spettatori come un’esplosione stellare.
Di seguito alcune suggestioni che cercano, seguendo la scaletta, di dar conto di un’emozione davvero indescrivibile.
Meine Damen und Herren Una dolce melodia di cembali, atmosferica e sintetica, accompagnava l’entrata in sala degli spettatori del Gran Teatro Geox, un vero e proprio nuovo santuario tecnologico che da qualche anno è meta di un autentico pellegrinaggio per il culto dovuto agli dei della musica.
La serata era di quelle importanti ed attese e lo si capiva anche dal flusso di pubblico che fremeva per entrare in sala e intanto affollava gli stand di bibite e cibarie le più diverse nell’area prospiciente al teatro o nell’enorme foyer. Per alcuni critici piuttosto illuminati, per la musica contemporanea in generale, i Kraftwerk sono stati e sono un ensemble di musicisti tra i più influenti della storia della musica, secondi forse solo ai Beatles.
Comprensibile l’attesa per un evento a lungo sognato previsto già prima della maledetta epidemia. Nel frattempo la nera signora si è portata via Florian Schneider meraviglioso musicista membro fondatore del duo alla base dei “lavori in corso” insieme al nostro Ralf Hütter. Proprio quello Schneider delle V-2 di David Bowie che gli rese omaggio in uno dei suoi massimi capolavori (Heroes 1977).

Un brivido era corso lungo la schiena di milioni di fan in tutto il mondo sia per l’irrimediabile perdita, sia per la possibilità, non remota e plausibile, che il superstite Hütter non volesse più continuare il progetto musicale che, nel suo primissimo apparire, data 1969. Niente paura, come dimostrato a Padova, la strada dei Robot tedeschi è lontana dall’essersi esaurita, è ancora distante anni luce l’approdo del loro viaggio spaziale.
Numbers/Computer World 1-2: Cantare ispirati davanti alla sequenza numerica decimale sembra l’antitesi della musicalità e del piacere d’ascolto,. Battiato diceva che : “I numeri non si possono amare” e, con tutto il rispetto, si sbagliava di grosso. Hanno attaccato violentissimi per suoni, volumi e proiezioni in 3D i Kraftwerk di Ralf Hütter nella loro tappa padovana. Il loro sound attuale sembra essere virato verso la Techno-trance più contemporanea, quella delle performances dei D.J. più spiritati davanti a migliaia di persone scatenate, roba da giovinastri che però plagia completamente i suoni e i ritmi che i Kraftwerk si sono inventati 50 anni fa con le loro macchine pionieristiche. Quindi nessuna sorpresa se una giovane spettatrice ha scambiato anche il loro spettacolo come, testuali parole: “Una roba da discoteca all’aperto”. Anche se fosse così, vorrebbe solo dire che finalmente oggi i giovani ballano della gran musica magari senza rendersene conto.
The Man -Machine: Il brano che forse incarna più di altri lo spirito più autentico degli uomini macchina di Dusseldorf, fin dal titolo. Il suo riff ossessivo e martellante da l’impressione di essere del tutto disanimato e oltreumano. E’ perfino tagliente e acuminato nel suo incedere inesorabile, rigido, glaciale e perfino spietato, eppure risulta sempre anche infinitamente emozionante, luminescente, incalzante. Non si smetterebbe mai di farsi cullare dalla sua nenia meccanica e minerale.
Autobahn: a distanza di quasi 50 anni dalla sua prima pubblicazione questo brano non ha perso niente della sua forza rivoluzionaria. Vengono ancora i brividi quando si sente sbattere la porta del “maggiolone”, inserire le chiavi nel quadro, girare il motorino d’avviamento e poi il rombare del motore sull’autostrada e ancora il clacson, i camion in sorpasso, la velocità e il rumore della strada che prima riconosciamo come suono e poi lo vediamo con le nostre orecchie trasformarsi in musica. Nell’originale 22’40’’ di pura gioia automobilistica 1974. Medesima emozione dieci lustri dopo al “casello” Gran Teatro Geox sul grande raccordo autostradale del cuore, direzione “Futuro prossimo”.
Geiger Counter/Radioactivity: Questa canzone è per tutti quegli entusiasti che ultimamente, anche nel nostro paese, hanno ricominciato a parlare in modo positivo dell’energia nucleare. Ben prima dell’invasione dell’Ucraina e del conseguente problema energetico, riassunto dalla folgorante battuta di un grande statista “Volete la pace o il condizionatore?”, la solita avanguardia di sedicenti “scienziati” esprimeva senza alcuna vergogna opinioni di questo genere: “Cosa vi fa venire in mente la parola “Nucleare”? Ad essere conservativi direi che in testa avete immagini come i funghi delle esplosioni atomiche. Chernobyl, persone deformate o in tute protettive, una suggestione segnata da sensazioni come dolore, disagio e paura verso l’energia blu. Già blu, non quel verde fosforescente spesso usato per rappresentare le scorie – pensate al cartone The Simpson per esempio – che dà vita a quella così falsa immagine di liquido colante da barili crepati (quando in realtà hanno pareti a triplo strato progettate per resistere a terremoti, esplosioni, infiltrazioni e impatti aerei) che in verità altro non è se non la punta dell’iceberg di quella cloaca immonda di menzogne su cui si fonda il folle odio per l’energia nucleare”. (Matteo Poloni su www.economia-italia.it).
Proprio per loro i Kraftwerk hanno pensato fin dal live “Minimum Maximum” di modificare la loro hit aggiungendo al testo i luoghi dei peggiori disastri radioattivi di sempre: Fukushima, Tschernobyl, Harrisburg, Sellafield, Hiroshima, ricordandone gli effetti e non smettendo mai di gridare attraverso i loro computer: “Stop Radioactivity! Stop Radioactivity! Stop Radioactivity!”
The Model: In francese la la parola “Mannequin” che si utilizza per le fascinose modelle della moda significa anche “Manichino”. Niente di più adatto per descrivere la disumanizzazione del mondo consumistico che ha trasformato la bellezza in merce e le persone in oggetti senz’anima da esporre nelle vetrine dei nostri centri commerciali. Come dice il testo ironicamente: “Sie sieht gut aus Schönheit wird bezahlt, Sie stellt sich zur Schau für das Konsumprodukt, Und wird von Millionen Augen angeguckt” (Ha un bell’aspetto e la bellezza è pagata, si mette in mostra per il prodotto di consumo ed è guardata da milioni di occhi”.
Tour de France / Étape 1 / Chrono / Prologue / Étape 2: il primo archetipo dell’uomo macchina è il ciclista che fonde i propri muscoli e il proprio sudore con il telaio bicicletta e il grasso della catena. L’estasi della salita e la picchiata di una discesa pirenaica corrispondono alla trasformazione dell’atleta in un proiettile futurista lanciato lungo le strade di un avvenire d’asfalto e velocità. Il motore è l’apparato cardiocircolatorio, i pistoni sono le leve delle gambe con i quadricipiti e i polpacci che stantuffano sui pedali a ritmi forsennati esprimendo forze che si misurano in cavalli vapore.
La salita al Monte Ventoso inizia con Francesco Petrarca, continua con il Mount Ventoux di Eddy Merckx e prosegue con tutti i pazzi eroi all’inseguimento della maglia gialla: “Io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto. Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più dritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga ma più piana”. Galibier and Tourmalet, Dancing even on the top, Bicycling at high gear, Final sprint at the finish, come cantano pedalando i nostri eroi meccanici-elettronici.
Trans-Europe Express/Metal On Metal/Abzug:“From station to station, Back to Düsseldorf city, Meet Iggy Pop and David Bowie” sono versi immortali che descrivono un universo di creatività che ricorda gli anni decisivi della “Trilogia berlinese” di Bowie che fu fortemente affascinato dalla scena elettronica tedesca della fine degli anni ‘70; ispirato e ispiratore di quel movimento musicale e artistico che ancora oggi non finisce di meravigliare con la sua energia in continua mutazione.
The Robots/Robotronik: A metà del brano più celebre del gruppo gli interpreti in carne ed ossa abbandonano il palcoscenico, il fondale si abbassa e salgono a sostituirli inquietanti manichini robotizzati che ne riproducono le fattezze e i volti, paradossalmente con molta più espressività e partecipazione a livello scenico degli originali viventi. I pupazzi muovono le braccia, danzano al ritmo dei loro transistors e delle loro interfaccia grafiche. Sullo sfondo, luminescente e perlaceo, delle quinte, i simulacri appaiono più reali degli stessi artisti in un gioco di magia sintetica e di interpolazioni modulari che non smette di affascinare. Come in “Blade Runner” è davvero difficile distinguere cosa separi in queste condizioni il replicante dall’umano, il Cyborg dal vivente: “We are functioning automatic and we are dancing mecanich. We are programmed just to do anything you want us to do. We are the robots.”
In scaletta anche Home computer/It’s More fun to Compute; Spacelab, Airwaves/Tango, Planet of Visions, Mini Calculateur/Dentaku, Computer Love, Metropolis, Electric Café, Non stop/Boing Boom Tschak/Music Non Stop.

Il mondo di fuori, dopo il concerto, non sembrava più lo stesso, come in un racconto di fantascienza sovietico, nel frattempo gli alieni erano davvero scesi sulla terra, ma non gli era sembrato che ne valesse la pena e se n’erano andati in fretta e furia, lasciandoci solo rifiuti e qualche rottame, proprio quello che merita la nostra protervia.

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©