Dice Pirandello, per bocca di Ciampa, protagonista de ‘Il Berretto a Sonagli’: noi tutti siamo pupi, fantocci, e abbiamo nella testa tre corde che tiriamo a seconda della circostanza che stiamo vivendo. La corda seria, quella con cui ragioniamo, la corda civile che utilizziamo in società e quella pazza che entra in azione quando le altre due non funzionano più. Il capolavoro di Pirandello è stato portato sul palcoscenico del Teatro Nuovo Giovanni da Udine dalla compagnia guidata da Gabriele Lavia, vero maestro del teatro italiano, che oltre a curare la regia veste i panni del protagonista Ciampa. Il Berretto a Sonagli racconta di una umanità falsa, tutta sorrisi ed ossequi quando passeggia sulla strada, ma dietro le quinte meschina e menzognera. È la storia di un tradimento.
La vicenda si svolge in un piccolo paese siciliano. La borghese Beatrice Fiorica è convinta che il marito abbia una tresca con Nina la bella e giovane moglie del segretario Ciampa. Decide di smascherarli e denunciarli. Allontana Ciampa con la scusa di recuperare a Palermo alcuni oggetti al banco dei pegni e nel frattempo, con l’aiuto del delegato Spanò, poliziotto di provincia, organizza la sua vendetta: un agguato per sorprendere i due amanti in flagrante. Il piano riesce, ma il reato non c’è. I due vengono arrestati, non per adulterio ma per intemperanza lui e per abbigliamento non consono lei. Ciampa, che ha sempre saputo e taciuto, è distrutto dalla notizia dell’arresto della moglie e a nulla valgono le rassicurazioni del delegato Spanò sul fatto che il verbale dice che il tradimento non è stato provato. La sua onorabilità agli occhi del paese è ormai compromessa e a lui non resta che vendicarsi, uccidendo i due presunti amanti. A meno che Beatrice non si dichiari pazza. Perché, si sa, ai pazzi tutto è concesso, anche gridare la verità. Ed è proprio con le urla di Beatrice che grida il vero, ma per mantenere la rispettabilità è costretta a ritirarsi in manicomio, che la storia giunge a conclusione.
Pirandello compose Il Berretto a Sonagli nel 1916 in dialetto siciliano e solo successivamente lo tradusse in italiano. Risale ai primi anni 80 la memorabile messa in scena del lavoro ad opera di Eduardo De Filippo che ambientò però la vicenda ai piedi del Vesuvio e utilizzò il dialetto napoletano. Lavia fa un’operazione ancora diversa: affida ai personaggi più popolari il dialetto siciliano e ai ‘borghesi’ l’italiano. La scena si svolge nel salotto buono della casa di Beatrice Fiorica. Mobili eleganti a testimoniare che in quella casa vive una famiglia ricca e rispettabile, con divani e poltrone di velluto rosso. Quei mobili, però, hanno i piedini storti; un salotto buono ma sbilenco, come in fondo è la famiglia che lo abita. Ad osservare la scena una serie di manichini, sapientemente vestiti dagli allievi della Accademia Costume e Moda, a ricordare la gente che, seppur muta, giudica e condiziona. Alle pareti del soggiorno di casa Fiorica un telo bianco sul quale con un gioco di luci ed ombre si stagliano ingigantiti o rimpiccioliti i protagonisti della storia. Beatrice, portata sulla scena da Federica Di Martino, è frenetica nel suo camminare senza requie avanti ed indietro e nel suo abbandonarsi sui divani e sulle poltrone. Ciampa è pervaso di amarezza a volte comica, altre disperata.
Da applausi, ma non poteva essere altrimenti, la prova di Gabriele Lavia e, con il maestro, di tutta la compagnia in particolare Federica Di Martino, Beatrice; Francesco Bonomo, suo fratello Fifì e Maribella Piana nei panni della cameriera Fana.
Laura Fedrigo