Parafrasando Enzo Tortora: Dove eravamo rimasti? Prima del totale lockdown, il cinema Visionario di Udine aveva combattuto con tutte le proprie forze per continuare a garantire agli spettatori la fruizione delle proprie storiche sale. Ma, dopo una trionfale proiezione della versione restaurata di 8½ di Federico Fellini, fu costretto a capitolare. Con le struggenti note dell’orchestrina di Rota se ne andarono tenendosi per mano, per più di tre mesi, anche i sogni dei cinefili udinesi abbandonati alle piattaforme streaming e alle sale cinematografiche virtuali, strumenti d’audiovisione davvero utili e dilettevoli ma il cinema sul grande schermo è tutta un’altra cosa, liturgia di una religione che non ammette altri simulacri che ombre di luce
Per fortuna, l’esilio forzato su divani abbandonati a telecomandi in mano dei cinefili comincia a far parte dei tristi ricordi di questo primo funesto scorcio dell’anno di Cristo 2020. Tra i primissimi in Italia, il cinema Visionario ha ripreso le proiezioni
Allora, prima che gli spettacoli fossero messi al bando, i grandi manifesti in bacheca annunciavano l’imminente uscita di un attesissimo film francese che aveva convinto la giuria di Cannes a conferirgli il suo Grand Prix nell’edizione 2019
Si sa che le uscite nelle sale italiane hanno cronologie del tutto imprevedibili e arbitrarie (Time out of Joint) ma il capolavoro di Ladj Ly, I Miserabili, ha davvero rischiato di essere un’altra delle vittime illustri del morbo. Bene hanno fatto dunque i ragazzi del Visionario a riproporlo alla coraggiosa riapertura di questi giorni della sala Astra completamente attrezzata secondo le norme anticovid. Un totem tecnologico, con termo scanner, seleziona gli spettatori, ben disinfettati e mascherati, permettendo a quelli che si sono prenotati on line o al botteghino di accedere o meno alla sala. Inquietante ma necessario.
Non c’è un film più attuale de I Miserabili di Ladj Ly semplicemente perché riporta sul grande schermo problematiche irrisolte e patologie endemiche della nostra società da almeno duecento anni
Dal punto di vista narrativo, il lungometraggio si struttura molto semplicemente raccontando le prime quarant’otto ore di servizio di una recluta della polizia francese in un popoloso quartiere di Montfermeil una delle esplosive banlieue alla periferia di Parigi. I suoi compagni di pattuglia sono duri e violenti, forgiati da anni di giungla d’asfalto. Uno di loro dice: La legge sono io! In questo senso, sembrerebbe un perfetto consueto Buddy movie d’azione come i tanti cui ci ha abituato il cinema americano. Naturalmente, è tutt’altro ma lo si capisce solamente conoscendo alcuni elementi che fanno da sfondo alla realizzazione di questa opera d’arte per niente trascurabili
A Montfermeil, che nell’800 era una cittadina ben fuori dalle mura di Parigi, Victor Hugo immaginò il dramma di Fantine causa efficiente del suo monumentale Les Miserables; una povera ragazza, sedotta e abbandonata, per la miseria e la condanna sociale è costretta a vendere il proprio corpo, letteralmente, pezzo per pezzo, per cercare di far sopravvivere la piccola Cosetta, figlia dell’amore, che ha affidato agli spregevoli Thénardier, osti del Sergente di Waterloo, una famigerata locanda del paese
Prima vende i capelli, poi i denti incisivi e infine quello che restava della sua virtù. La vita della sfortunata viene riscattata da Monsieur Madeleine, un imprenditore illuminato che avvia una fabbrica di spille e perline colorate che permette ai poveri di lavorare per un giusto stipendio e così campare le famiglie ed istruirsi senza essere sfruttati come animali da soma com’era la regola in quegli anni. Sotto le mentite spoglie di Monsieur Madeleine, vive Jean Valjean, un carcerato redento, figura angelicata del riscatto sociale e della giustizia dei più poveri
Purtroppo, sappiamo bene quale fine abbia fatto l’utopia proto socialista, umanitaria e d’imprenditoria illuminata cui anelava a Victor Hugo. Non solo non si è mai realizzata ma si è trasformata in un mostro bramoso di carne umana che tritura e distrugge ogni valore umano in favore del profitto ad ogni costo, deturpando le risorse del pianeta, condannando alla fame e alla migrazione milioni di individui e devastando le coscienze
Montfermeil è oggi una periferia (Banlieue) di Parigi che in più cento anni si è allargato fino a diventare un’intera regione, una metropoli colossale di più di dodici milioni di abitanti nella sua area urbana. Tutto è cambiato dalla fine del XIX ma in quella periferia, i Miserabili che si devono vendere per poter sopravvivere in mezzo ad ogni sorta di soprusi e di angherie ci sono ancora. La situazione semmai è peggiorata
Lo dice esplicitamente un dialogo tra i poliziotti in macchina nelle prime sequenze del film, aggiungendo un gioco di parole sui nomi degli abitanti, velatamente razzista (Cosette-Cuisette, Gavroche-Givoche) che nell’aberrante doppiaggio italiano si perde miseramente
Proprio per questo sono ancora attualissime le parole dell’incipit che Hugo vergò per il suo romanzo che potrebbero essere precisamente il viatico anche per il film di Ladj Ly, rivelazione dell’ultimo festival di Cannes e candidato all’oscar per la Francia come miglior film internazionale
Finchè esisterà, per colpa delle leggi e dei costumi, una condanna sociale che, in piena civiltà, crea artificialmente degli inferni e mescola al destino, che è divino, una fatalità umana; finché i tre problemi del secolo, la degradazione dell’uomo (nello sfruttamento) del proletariato, l’avvilimento della donna per causa della fame, l’atrofia del fanciullo per causa delle tenebre, non saranno risolti, finché sarà possibile in certe sfere l’asfissia sociale, in altre parole da un punto di vista ancor più esteso, finché sulla terra ci saranno ignoranza e miseria, libri della natura di questo non potranno essere inutili.i
Parafrasando l’oceanico scrittore possiamo tranquillamente dire: fino a che esisteranno la discriminazione, l’esclusione sociale, il razzismo, la violenza diffusa delle istituzioni, un film della natura di questo non sarà inutile
Il regista programmaticamente ha voluto dipingere con la sua macchina da presa un grande affresco della periferia urbana senza retorica e quasi senza prendere alcuna parte. Tutte le milioni di persone che sono state costrette a vivere in quegli inferni di cemento sono dannati, straziati nel medesimo calderone. Lo sguardo di Ladj Ly, implacabile e spesso freddo come una lama, si posa implacabile sulle colpe di ognuno, sulla violenza dei poliziotti e sullo stato di semi-delinquenza degli abitanti del quartiere. Nessuno di loro in realtà è colpevole dell’inumana condizione nella quale è costretto a sopravvivere odiandosi e contrapponendosi l’un l’altro
Non c’è alcuna prosopopea nel linguaggio cinematografico del regista che attraverso la rappresentazione della vita reale dei propri personaggi esprime le diverse propettive e punti di vista. Oltre ai poliziotti che non chiedono mai scusa perché hanno sempre ragione, scelti per delineare precise tipologie umane (la recluta inesperta ma onesta, il nero immigrato che con la divisa si è riscattato, l’irascibile caucasico), Ladj Ly descrive con autentico piglio d’antropologo tutta una selva di tipi umani che costituiscono la variegata multietnica e multiculturale realtà del quartiere.
Ci sono gli ex galeotti che disperatamente cercano di rifarsi una vita; le mamme africane che si autofinanziano con la Tontine, un meccanismo di micro-credito di lontana origine italiana; i fratelli mussulmani che combattono casa per casa la loro pacifica battaglia contro lo spaccio e il consumo di droga; gli ambulanti e i piccoli commercianti che sbancano il lunario come possono allo stesso modo dei pusher; ci sono ancora le persone del tutto impotenti e attonite che guardano dalle finestre tutto questo in un incredibile degrado ambientale e sociale.
Testimoni attivi e principali vittime di tanto sfacelo sono i ragazzi di strada, abbandonati a giocare la loro infanzia e adolescenza tra i rifiuti di cui sembrano far parte. Sono i Gamins de Paris, i monelli che combattevano e morivano sulle barricate, ritratti da tanta letteratura rivoluzionaria francese e riassunti nella figura de L’enfant aux pistolets particolare molto significativo del famoso dipinto La Libertè guidant le peuple di Eugéne Delacroix. Un bambino rivoluzionario con la pistola è proprio la figura giusta per cominciare a comprendere il significato di certe scelte narrative della vicenda
Mentre i grandi sono alle prese con le loro piccole inestricabili miserie, i piccoli sono completamente abbandonati a se stessi, vagano per il quartiere senza dio né legge
Victor Hugo che, con il suo piccolo Gavroche, donò al mondo uno dei personaggi più memorabili della letteratura di ogni tempo, scrisse: Il monello di Parigi oggi…è il popolo fanciullo con in fronte la ruga del mondo vecchio. Il monello è per la nazione la grazia e al tempo stesso una malattia, malattia che bisogna guarire. Come? Con la luce. La luce risana. La luce illumina. Tutte le generose irradiazioni sociali emanano dalla scienza, dalle lettere, dalle arti, dall’insegnamento. Formate uomini, formate uomini: illuminateli perché vi scaldino: presto o tardi la splendida questione dell’istruzione universale verrà posta con l’autorità irresistibile del vero assoluto, e allora coloro che governano sotto la vigilanza dell’idea francese dovranno fare questa scelta: i figli della Francia o i monelli di Parigi: fiamme nella luce o fuochi fatui nelle tenebre.ii
Il regista, di origine maliana, è nato, cresciuto e vive ancora oggi proprio nel degrado che descrive, lo fa con autentico spirito di servizio mettendo in pratica uno dei valori più autentici della cultura francese convinto com’è che l’unico modo efficace di risolvere gli spaventosi problemi della periferia parigina siano l’istruzione, l’attenzione e la cura nei confronti dei vinti della nostra società. L’unica vera battaglia che vale la pena di combattere è quella contro l’ignoranza matrigna di ogni conflitto sociale e razziale.
Ladj Ly è stato proprio uno di quei monelli (gamins de Paris) di cui descrive le Malebolge tra ignoranza e abbandono; avrebbe potuto finire male come tanti altri ma ci fu qualcosa che cambiò di colpo la sua esistenza. Per caso filmò delle violenze ad un controllo di polizia, il video portò alla denuncia degli agenti. Quell’esperienza gli fece capire la forza e la possibilità di testimoniare e agire nel proprio contesto, attraverso lo sguardo dell’obiettivo della videocamera.
Ne Les Miserables non è difficile capire che ha scelto come proprio alter ego Buzz, un ragazzino che perde il suo tempo a filmare il quartiere con il proprio drone, sbirciando dalle finestre le camere delle ragazze e facendo video per gli amici. L’intera vicenda è spesso narrata dal punto di vista del ragazzo con efficacissime riprese zenitali, in plongée e a volo d’uccello
Fondamentale per l’educazione sentimentale del regista fu poi la visione di uno dei caposaldi della recente cinematografia europea: L’odio di Mathieu Kassovitz (1995) che racconta della vita violenta di alcuni ragazzi nelle periferie francesi tra povertà, discriminazioni e soprusi della polizia. Una voce fuori campo racconta una strana storia che racchiude il senso della pellicola:
Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani, mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fin qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene” il problema non è la caduta ma l’atterraggio.
Anche noi, fino a poche settimane fa, in piena quarantena, continuavamo a ripeterci: Andrà tutto bene, Andrà tutto bene. Abbiamo dovuto amaramente accorgerci che non è andata secondo le nostre rosee, ingenue e troppo ottimistiche previsioni; a farcelo capire, a risvegliarci dal nostro sopore da divano è stato l’omicidio di George Floyd, soffocato durante un pretestuoso controllo di polizia a Minneapolis negli Stati Uniti di Donald Trump. D’un tratto ci siamo sentiti di nuovo precipitare dentro il Malestorm della nostra realtà quotidiana fatta di soprusi, xenofobia, razzismo ed esclusione sociale
Il film di Kassovitz, germinato nelle periferie francesi, faceva parte di un progetto sociale che ancora continua sotto diverse forme ed ha portato Ladj Ly a fondare insieme a Roman Costa Gavras, figlio di tanto padre, il collettivo di artisti Kourtrajmé con importanti collaboratori, tra cui Vincent Cassel, che cominciò la propria sfavillante carriera proprio con quel film. Il collettivo nel 2018 ha anche istituito una scuola gratuita per i mestieri del cinema destinata ai ragazzi più sfortunati delle periferie
Nel film si ricorda che il quartiere nella realtà ha già visto il propagarsi furioso dell’incendio della rivolta con i tragici fatti del 2005. Allora proprio a Clichy sous Bois nei pressi di Montfermeil due adolescenti inseguiti dalla polizia si nascosero in una cabina elettrica e morirono fulminati
Immediatamente, si scatenarono le proteste represse duramente dall’allora ministro degli interni Nicolas Sarkozy che fece sparare lacrimogeni in una moschea, tentò di ripulire le strade dai rifiuti umani con pericolosi idranti e definì i propri concittadini più miseri come canaglie. Questo atteggiamento conciliante del ministro estese a dismisura la protesta, che mise a ferro e fuoco le periferie delle grandi città francese. La soluzione fu la militarizzazione delle Banlieue che procurò a Sarkozy il favore della parte più reazionaria degli elettori francesi che lo elessero a Presidente, avendo poi tutto l’agio di pentirsene amaramente assieme a tutti gli altri sempre troppo tardi. In sintesi, per i milioni di miserabili abitanti delle periferie più disastrate non cambiò molto; tutti i problemi di convivenza tra etnie, culture, religioni, quelli lavorativi, abitativi, scolastici ecc. non sono stati per niente risolti ma solamente sedati e repressi con il risultato di averli fatti ulteriormente irrancidire e rendere la situazione, se possibile, ancora più esplosiva
Per capire quanto stringente è l’attualità del film basta guardare alle recenti proteste dei poliziotti francesi inferociti perché il ministro ha espresso una reprimenda contro le brutali misure di contenimento repressive utilizzate dagli agenti con scrupoloso metodo criminale, tipo il tanto vituperato “strangolamento” con il quale è stato assassinato Floyd a Minneapolis
La polizia, però, solo qualche anno fa non aveva avuto niente da eccepire, invece, quando il medesimo ministro l’aveva difesa a tamburo battente per l’uso sconsiderato e omicida da parte dei difensori dell’ordine costituito della cosiddetta pistola non letale Flash Ball. Il modello attuale LBD40 (Lanceur de Balles de Défense) spara proiettili da 40 mm in gomma con una velocità fino a cento metri al secondo. E’ tristemente celebre il caso di un tifoso francese che nel 2015 subì la frattura del cranio e gravissime lesioni cerebrali per essere stato colpito alla testa da una di quelle palle
Ladj Ly, per niente didascalico, allude soltanto a queste questioni, sottointendendole e lasciandole sullo sfondo, ben conscio comunque della loro importanza
Il pretesto narrativo della vicenda è il rapimento del piccolo Johnny, un cucciolo di leone, dal circo Zeffirelli gestito da zingari, accampato nella zona. Gli zingari minacciano di bruciare l’intero quartiere se non gli verrà restituito il cucciolo. Si prospetta una battaglia urbana all’ultimo sangue. I sospetti cadono immediatamente su Issa, un ragazzino ben noto per i propri furtarelli da ruba galline. La pattuglia dei tre poliziotti non ci mette molto a rintracciarlo. Durante il violento arresto però si scatena un feroce tafferuglio tra la polizia e la banda di amici del ragazzo; uno degli agenti perde la testa e finisce per sparargli in pieno volto con una Flash Ball. Il ragazzo seriamente ferito e ammanettato non muore ma, dice un agente: Il problema è che un drone ci ha filmato.
Buzz, di cui dicevamo, ha filmato tutto e la cosa può finire facilmente sui social scatenando ancora una volta l’inferno. Esattamente come è successo per George Floyd negli Stati Uniti. Gli agenti del miserabile quartiere del film, naturalmente, vogliono insabbiare il caso, come al solito
Il regista, con grande equilibrio, ha la forza di mostrare che a nessuno conviene davvero far esplodere il caos e che tutti preferiscono mettersi d’accordo tra di loro sacrificando la giustizia e i diritti della piccola vittima da veri colpevoli pusillanimi
Il leone viene restituito agli zingari, il video recuperato e tutto sembra ricomporsi. La corruzione e la ragion di stato hanno ancora una volta avuto la meglio. Ma è solo un’illusione. Uno dei personaggi più ieratici e misteriosi del film, infatti, preconizza: Non scamperete alla rabbia del popolo!
Le bande di ragazzini decidono di vendicarsi contro tutto e contro tutti, evidentemente considerando traditori sia gli agenti, sia tutti gli altri adulti, riversando su di loro tutta la rabbia e l’autentico furore nel quale sono cresciuti. La loro esasperazione è del tutto irrazionale, ingestibile e di una violenza estrema. Il film si conclude mentre sta per compiersi un atto omicida irreparabile che resta sospeso come una terrificante, incombente minaccia
Proprio come succedeva nel finale del film di Kassovitz, lo spettatore esce dalla sala con un’inesprimibile angoscia. Ladj Ly vede come unica soluzione al problema la cosa più complicata e allo stesso tempo l’unica, la più semplice e la più efficace in grado di risolvere veramente questa incancrenita situazione che ormai coinvolge tutto il mondo. La soluzione è la stessa urlata da più parti da almeno duecento anni, proprio a partire da Victor Hugo e che tutti si ostinano a non ascoltare: riformare radicalmente i sistemi di produzione del nuovo feudalesimo capitalista, migliorare le condizioni di vita dei miserabili e istruirli secondo i loro inalienabili diritti fondamentali. Tutti lo sanno ma a nessuno conviene, perché in fondo, nella società del controllo nella quale siamo precipitati fa un po’ comodo a tutti, tranne ai veri miserabili, naturalmente
La situazione che descrive Ladj Ly, a chi sappia leggere tra le righe, ricorda almeno per associazione di idee, le trasfigurazioni della società contemporanea presenti nelle opere di William S. Burroughs, in particolare Ragazzi Selvaggi (1969), che raccontano di un futuro prossimo dominato dal denaro e dalla psico-polizia, in cui i ricchi godono delle loro smisurate ricchezze, costruite con il lavoro e con il sangue di milioni di schiavi, controllati e oppressi dagli agenti. In quella società ingiusta e corrotta finisce per scatenarsi, come una nemesi, la cieca furia anarchica dei Wild Boys, figli ribelli e degeneri di quella stessa comunità, amorali, crudeli e ferocissimi che non rispettano niente e nessuno, il cui unico desiderio è quello di distruggere. Sono gli stessi che hanno ispirato David Bowie per il suo apocalittico Diamond Dogs. Saranno loro a ergersi, impietosi e beffardi, sulle rovine fumanti delle nostre città-prigioni dopo avergli dato fuoco.
Il romanzo di Burroughs si apre con una descrizione a volo d’uccello della caotica periferia di una città, proprio come nelle immagini del drone di Buzz e si conclude con l’esplosione omicida della follia dei ragazzi proprio come nel film di Ladj Ly
Una risata scuote il cielo. Ragazzi aliante planano giù dal tramonto su ali rosse e fanno piovere frecce dal cielo.
Ragazzi fionda scivolano attraverso la vallata sulle loro ali nere di plastica come fogli di mica al sole vestiti stracciati che sventolano sulla sulla dura carne rossa. Ciascun ragazzo ha una pesante fionda attaccata al polso con una cinghia di cuoio. Alla cintura hanno borse di cuoio piene di pietre nere rotonde.
I ragazzi pattinatori si lanciano giù da una collina in un turbine di foglie autunnali. Tagliano attraverso una pattuglia di polizia. Il sangue spruzza le foglie secche nell’aria.
Lo schermo sta esplodendo in crateri lunari e argentee macchioline bollenti.
“Ragazzi selvaggi molto vicini adesso”.
Il buio scende sui sobborghi in rovina”.iii
Ladj Ly, lucido e fiducioso, invece, conclude il proprio film affidandosi ancora una volta alle parole di Victor Hugo: Non ci sono né cattive erbe, né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.iv
I miserabili vengono così paragonati alle ortiche delle quali nessuno sembra sapere cosa farsene perché le si considera nocive, con un po’ d’intelligenza e di cura, al contrario, è facile rendersi conto che sono un ottimo vegetale, fecondo e bisognoso solo di poche attenzioni con effetti benefici e medicamentosi
Prima che sia troppo tardi, è ora che i coltivatori, le istituzioni democratiche preposte, comincino davvero ad occuparsi, in questo senso, della vita dei loro cittadini, a partire da quelli più sfortunati e miseri, senza farsi soggiogare dall’utile e corrompere dal profitto ad ogni costo come è successo fino ad ora e, soprattutto, senza ancora ignobili violenze. Prima che ci schiantiamo al suolo come quell’uomo che si è buttato dal palazzo, perché non possiamo ancora illuderci che andrà tutto bene
iVictor Hugo, I Miserabili, Mondadori, Milano 1991, pag 2
iiIdem, pag. 574.
iiiWilliam S. Burroughs, Ragazzi selvaggi, Sugarco edizioni, Varese 1994, pag. 173.
© Flaviano Bosco per instArt