Tra le delizie che l’autunno ha portato con se, oltre alle castagne e alla voglia di caldo tepore di stufa a legna e vino caldo c’è anche il ricchissimo cartellone di concerti del Capitol di Pordenone che sta celebrando la nuova stagione con una serie di eccezionali eventi. Tra questi una splendida serata dedicata all’incontro di due band nostrane che da anni mitragliano i loro ritmi sui palcoscenici europei. E’ stato un incontro al vertice quello di qualche sera fa sul ring del Capitol dove hanno suonato di “santa ragione” Wicked Dub Division meets North East Ska Jazz Orchestra. I due eterogenei ensemble hanno radici profonde nel nostro territorio, anzi sembrano essere germinate dallo stesso fertile semenzaio musicale regionale che con il reggae e i suoi derivati ha sempre avuto un gran bel rapporto.
Non bisogna dimenticare che una delle più grandi e prestigiose rassegne del settore è nata a pochi chilometri dal centro della città del Noncello. Il Rototom Sunsplash è nato nel 1994, in un piccolo locale a Gaio di Spilimbergo e si è proiettato oggi sulla scena europea a partire da Benicasim in Spagna con vertiginosi incassi al botteghino e centinaia di eventi ai ritmi caraibici del Reggae.
A tutt’altri ritmi gira il motore di Pordenone che procede dritto sulla strada del profitto ad ogni costo che si è scelto nonostante, qualche piccolo ostacolo fisiologico di tanto in tanto. Si prega di cogliere l’ironia quando si dice che tra questi, ci sono quelli sollevati da alcuni scioperati ambientalisti che credono che la città, con le sue articolazioni, sia un “bene comune” e non un feudo di alcuni potenti e dei loro sgherri.
Ma il problema cittadino di gran lunga più grave è che dopo le 18.00, in centro, è davvero difficile trovare un bar che serva solo un semplice espresso. Un barista a domanda impertinente ha svelato l’arcano sostenendo che la sera deve essere il momento consacrato agli aperitivi e la gente non se la deve cavare spendendo troppo poco, per la cassa è meglio lo spritz che la caffeina.
Proprio perché sembra la cosa più stupida del mondo deve essere per forza vera. Certo che il centro storico della città del Noncello ha un gran fascino e il corso principale con i suoi porticati medievali praticamente intatti per quanto riguarda la struttura, con tutti i suoi locali, i negozi dalle vetrine luminescenti, all’ora canonica dello spritz è una sorta di Festa mobile che si ripete quotidianamente, un dionisiaco e pagano rito del vespro senza penitenze di sorta o atti di dolore se non quelli relativi alla dieta che, tra crostini con il crudo, patatine, stuzzichini vari e ribolla più o meno spumantizzata, naufraga in un mare di rotolini come ogni buon proposito.
Per concludere la serata nel migliore dei modi basta poi spostarsi di pochi metri dal viale per trovarsi in uno dei locali più divertenti della Regione: il Capitol è di certo il luogo giusto per godere della migliore musica in circolazione ballando sotto il palco o comodamente stravaccati sui divanetti bevendosi qualcosa in buona compagnia.
Si è cominciato con le atmosfere dub del progetto Wicked Dub Division di Michela Grena dopo l’euforica presentazione di Luca A. d’Agostino, direttore artistico di Estensioni Jazz Club Diffuso che ha “ordito” la serata dai ritmi in levare.
Il basso freetless di King Claudio apre il concerto come se fosse un rito tribale, nel quale il “battere” chiama gli spiriti a convegno attorno al fuoco nella radura, oppure in un grande cerchio per onorare con la danza l’albero sacro. Questa atmosfera da rito ancestrale diventa incandescente con la presenza sul palco di Grena, affascinante regina dei ritmi pulsanti, ambrata e felina, che sa giocare con la pedaliera per dare effetti stranianti alla propria voce sulle piste assolate e polverose del mistero.
La musica e l’esibizione hanno immediatamente grande presa sul folto pubblico sotto il palco che ondeggia estatico; l’unico problema sono stati forse i volumi che sarebbero dovuti essere più intensi e “sparati”, ma si sa al chiuso non è possibile fare i miracoli che sono possibili negli spazi aperti. In ogni caso, è stato un gran piacere vedere il pubblico ballare sulla pista del Capitol come ai bei tempi andati, pura gioia, senz’altro.
“Celebriamo la vita nel modo più ancestrale e antico: con la danza dei corpi che si muovono ai ritmi del cuore” con queste parole sacrosante di Grena si entra nella fitta jungla sonora. A risvegliare le coscienze, oltre all’incedere Drum & Bass, anche il flauto “effettato” di Stefano Fornasaro che sembra un richiamo per tutti quei prodi della NESJO che hanno raggiunto sul palco la cantante assieme il funambolico frontman Freddy Frenzy, al secolo Alfredo Pittoni, più in forma che mai e l’altra “sorella d’Africa” Rosa Mussin, dolce, morbida, leggera. Freddy Frenzy si è scatenato, in mezzo agli altri, con la sua danza da illuminato saltimbanco e la sua presenza scenica da brillante guitto.
Scatenata la sezione fiati che spingeva, soffiava, sbuffava, trascinava e si portava via i cuori del pubblico come una brezza leggera ed “era come un Mal d’Africa”.
Per primo ha risuonato il singolo più famoso della band “Mama” che, tanto per capire bene di cosa stiamo parlando, su you tube ha raggiunto quasi diciassette milioni di visualizzazioni; anche se i freddi numeri spesso non la dicono tutta, qualcosa vorrà pur dire.
Il duo vocale Grena-Mussin si completa vicendevolmente, creando un equilibrio speziato e pieno di forza, fascino e colori. Divertenti, lanciati ed inebrianti i ragazzi della NESJO sono un’iniezione di energia e gioia autentiche.
Insieme con la WDD sono davvero una gioiosa macchina da guerra; già solo la sezione fiati fa venire i brividi, non è di certo usuale vedere uno schieramento d’ottoni così nutrito al di fuori di un’orchestra sinfonica. Spiccano per particolarità il sax alto di Clarissa Durizzotto, regina “MaiStataInAfrica”, il trombone di Alice Gaspardo (più unico che raro almeno in Regione) e il sax baritono Jurica Prodan, proprio per non dimenticare nessuno, hanno brillato anche gli ottoni di Giorgio Giacobbi (sax tenore) Marco Kappel (trombone) e le trombe di Fulvio Zanuttini, Andrea Bonaldo, Gabriele Marcon.
Il tessuto sonoro si è via via impreziosito con il succedersi dei brani anche grazie all’intervento brillante dei solisti, come quello al trombone di Max Ravanello, deus ex machina della band di cui è fondatore; i filtri elettronici funzionano a meraviglia e regalano screziature futuristiche e psichedeliche ad un sound di per se pacificato e solare, l’alchimista dub master Peak (Massimiliano Picozzi) alle sequenze ed effetti crea le occasioni e il paesaggio sonoro che permettono agli altri musicisti di risaltare incastrando le loro note in quel meraviglioso tessuto di sogni e vibrazioni; è stato così anche per il sax tenore di Stefano Salmaso.
Erano in tanti sul palco, risultando uno spettacolo di per se, non è per niente facile coordinare tutti quei musicisti e le loro dinamiche ed equilibri fluttuanti, ma Ravanello ha un indiscutibile talento di leadership e un carisma da compositore e da musicista di lungo corso.
La sfida di unire Dub, Ska, Jazz, Reggae parte da lontano per entrambi gli ensemble che si sono fusi per una sera sul palco del Capitol. La Wicked Dub Division affonda le proprie radici nel giro dei Sound System nei festival europei a partire dal 2005 quando auto-costruirsi un potente impianto d’amplificazione era un sogno per tanti.
Poi furono i dischi che suscitarono grande interesse da parte della critica e del pubblico, ma soprattutto tante esperienze live spesso a fianco di artisti internazionali in locali e festival. In tutti questi anni, la loro evoluzione musicale è certo stata continua e anche l’esperienza con la NESJO che ha fruttato uno splendido disco live lo conferma, ma non ha mai perso di vista quelle atmosfere che legano il Dub alla matrice africana pur nelle sue mille sfaccettature e contaminazioni.
L’anima della WDD continua ad essere orgogliosamente nera e a guardare ad un mondo di fratelli e sorelle che si stringono in una danza di luce che rigenera e salva ognuno di noi. Questo è il significato più profondo dei ritmi che rallentano fino a scandire i pensieri, trasformandoli in immagini armoniche e oniriche di armonia e condivisione.
La NESJO ha la particolarità di essere a formazione variabile e sa adattarsi ai vari contesti nei quali si trova ad operare. Nella particolare situazione in cui si fonde con WDD deve giocoforza sacrificare alcuni elementi, la ritmica diventa aggressiva e sintetica con il dub master Peak.
Più di cento musicisti sono transitati o hanno collaborato con la band negli ultimi dieci anni sempre sotto l’occhio vigile di Ravanello che coordina, compone, dirige, suona ed è il vero baricentro e motore dell’orchestra. Il sito dell’Orchestra vale più di una visita, contiene la cronologia e tutti i materiali possibili di questa decade.
Cosa distingue la Nesjo da tante altre orchestre del genere? Qual è il vero carisma dei suoi musicisti? Chi li ha sentiti dal vivo lo capisce immediatamente. Spiegarlo scrivendo è più complicato ma non impossibile. Si può fare riferimento, con le opportune cautele, ad uno dei testi sacri sulla storia del Jazz che è il volume che Gunther Schuller ha dedicato alle grandi orchestre nere (“Early Jazz” 1989). In un affascinante capitolo introduttivo cerca di spiegare il mistero dello swing, quella particolarissima variazione ritmica che faceva la differenza tra un gruppo di musicisti e un’orchestra propriamente detta.
“Si è sempre saputo e sentito che il contagioso elemento ritmico chiamato swing è un tratto essenziale e distintivo del Jazz, che senza di esso in effetti non è Jazz.
Nulla più dello swing sfugge alle definizioni. Tutti i buoni Jazzisti sanno produrlo e riconoscerlo, e quasi ogni pubblico del jazz ne avverte la presenza o assenza…Nella sua espressione più semplice, c’è swing quando, per esempio, un ascoltatore inizia senza accorgersene a battere il piede, a schioccare le dita, muovere il corpo o la testa a tempo di musica. Tra tutti gli elementi della musica – armonia, melodia, timbro, dinamica ecc. – il ritmo è la forza più magnetica e irresistibile, e scatena reazioni universali. In gran parte delle culture il ritmo – che si manifesta in particolare nella pulsazione – è l’elemento primario, anzi primordiale, cui reagiscono mente, cuore e corpo. Se ne possono vedere esempi interessanti nella musica primitiva: sia nei prodotti davvero primitivi e non evoluti di culture aborigene, sia nelle esercitazioni spesso non-armoniche, non-melodiche ma ritmicamente energiche di tante esecuzioni rock di oggi. Perché se il ritmo funziona la risposta fisico emotiva umana è pressoché garantita – quantunque anch’essa primitiva – perfino quando ogni altro elemento è debole o assente. Risultati così spettacolari e pervasivi non si ottengono con armonia e melodia, e men che meno con gli altri parametri”.
Il concerto è stata un’altra sfida vinta a mani basse da Estensioni Jazz Club Diffuso e dall’Ass. Slou. Evviva!
Scaletta: Mama, Lion, Moon, Give Thanks, Beating Heart, You can fly, Shine a Light, Shelter, Sinking sand, Cascade Dub, Mama (Versione finale)
© Flaviano Bosco – instArt 2022
© foto Luca A. d’Agostino