La denominazione Parco delle Rose ha in se qualcosa di suggestivo e dolce; ha un sapore antico, classico e raffinato soprattutto per uno spazio verde attrezzato con una splendida arena per la musica a pochi passi dal bagnasciuga di una stazione balneare italiana.

Grado di certo anche in questo si distingue da tutti i luoghi di vacanze in Italia per la sua lunghissima tradizione e per quell’aura un po’ aristocratica, sofisticata e internazionale che si porta dietro e che forse le viene dai suoi trascorsi asburgici e mitteleuropei.

La manifestazione Grado Jazz s’inserisce perfettamente in questo ambiente che, senza tralasciare lo svago e il relax, mantiene la sua riflessiva originalità, con straordinarie proposte musicali all’altezza della sua fama e della classe del luogo che la ospita. Anche per questo le note di Nino Rota dalle colonne sonore per Fellini che accolgono gli spettatori prima e negli intervalli delle esibizioni sono perfettamente in tono con l’ambiente esaltandone l’atmosfera.

Udin&Jazz da due anni in “trasferta” a Grado celebra con questa edizione i suoi trent’anni e lo fa con la tenacia e il successo di chi non vuole arrendersi di fronte a niente e a nessuno. Con in testa il sub-comandante Giancarlo Velliscig con tutti i suoi ottimi collaboratori in tutti questi anni, non ha mai accettato di piegarsi alle avversità, alle mene dei politicanti e nemmeno all’epidemia. L’edizione del trentennale era stata ideata in tutt’altro modo ma ci ha pensato il Covid a stravolgerne la scaletta.

Nonostante tutto con un programma completamente stravolto, ridisegnato, riscritto durante l’emergenza ma sempre di altissimo livello, Grado Jazz sta andando regolarmente in scena. È una testimonianza di caparbietà, di amore verso la musica e il proprio pubblico ma anche di quell’etica e di quello spirito di servizio che, come ricordava Velliscig, dovrebbero essere patrimonio irrinunciabile di quegli operatori culturali che, tra le altre cose, ricevono finanziamenti pubblici.

Fare musica, cultura, arte non è solo un’attività ludica come tante altre; significa certo divertire ma anche educare, stimolare, incuriosire, far riflettere, beni che dovrebbero essere considerati primari ed essenziali per la nostra società. Se spesso le istituzioni in questo senso latitano Grado Jazz by Udin&Jazz è lì a ricordarcelo ed è anche questo un modo per fare Resistenza.

Media partner ufficiale della manifestazione da quest’anno anche Radio Rai con soprattutto Raistereonotte e Radio Tre che comunque da anni ne trasmettono i concerti. Per questo, a presentare gli artisti c’è Max De Tomassi, conduttore radiofonico di lunga data e vecchio amico del festival, che ricorda gli incontri emozionanti fatti su quel palcoscenico con vere leggende della musica come Caetano Veloso e Gilberto Gil, Gonzalo Rubalcaba e anche l’astro nascente Amaro Freitas.

Augura a tutti un buon ritorno alla musica dal vivo dopo tanti mesi di digiuno forzato.

Quintorigo. È davvero un morbido risveglio dei sensi da troppo tempo sopiti, l’esibizione del blasonato ensemble romagnolo che saluta la sera che sta calando sul Parco delle Rose con le sue note setose e impalpabili che però sanno farsi aggressive e taglienti con la distorsione di violino e violoncello che in un attimo si trasformano in chitarre elettriche hard rock per poi subito ritornare verso atmosfere più levigate e acustiche. La band ha un’assoluta versatilità che le permette di passare in una battuta dai sussurri delle melodie cameristiche alle robuste sferragliate del rock più duro in un amalgama originale e stuzzicante, in una continua contaminazione tra generi e stili senza soluzione.

Dopo il primo brano strumentale, fa il suo ingresso sul palco la voce del gruppo, Alessio Velliscig, figlio di tanto padre, con la sua voce da crooner dalle sfumature decisamente ruvide e rockeggianti anche lui capace di immediati cambi di tonalità, di inaspettate fughe in avanti ma anche di melliflue mormorazioni.

I brani che presentano vengono in gran parte dal loro doppio album Opposites (2018) nel quale composizioni originali sono messe in dialogo con quelle di grandi interpreti che rientrano nel vastissimo orizzonte musicale e nell’eclettico gusto della band. Valentino Bianchi, versatile e dotato sassofonista del gruppo che prima dello spettacolo ha fatto un giro sul palco con la propria incantevole bambina in braccio, ha dichiarato che il concerto va sotto il nome di Between the Lines perché anche loro hanno dovuto ripensare e riadattare il loro repertorio durante questi mesi trovando una formula che fosse adatta e accattivante per un festival Jazz senza stravolgere la propria identità. I risultati dicono che ci sono riusciti in pieno.

Molto suggestivi, infatti, sono apparsi gli scambi tra il sassofono e gli archi dimostrando che il violoncello di Gionata Costa è talmente versatile che può fare qualunque cosa compresa tra la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, il Delta del Mississippi e il fango acido di Woodstock.

Ai brani di loro composizione segue un omaggio a Charlie Mingus tratto da un loro fortunato disco di qualche anno fa (Quinto-Play Mingus, 2008). La musica sgorga subito allegra, colorata e sgargiante, rivisitazioni di grande fascino con Bianchi efficacissimo anche al sax soprano e contralto oltre che al tenore così come Stefano Ricci al contrabbasso le cui spesse corde tra le sue dita e sotto il suo archetto ricordano quelle del genio afroamericano.

In altri brani fa spesso la comparsa lo swing degli anni’40 che fanno tanto Dancing alla Paolo Conte e il Parco delle Rose ricorda bene cosa vuol dire.

Proprio per non farsi mancare niente, come inebriati, si scivola dentro Alabama song con i suoi locali malfamati e la sua luna sporca e ubriaca. Subito dopo, sul nostro luminoso satellite ci andiamo davvero con un’interpretazione mozzafiato di Space Oditty di David Bowie: Planet Earth is blue/and there’s notingh I can do. Proprio niente da fare un gran pezzo che concludono con un suggestivo glissando sulle corde. Un’unica preghiera alla band, la pronuncia corretta del nome Bowie è “Boui”, tutto il resto non si può proprio più sentire.

Segue un intenso strumentale originale dall’ultimo album che già nel titolo è tutto un programma: Fuck the band. Intenzioni e ispirazione sono decisamente zappiani con intuizioni potenti, beffarde, aggressive, dissacranti, virate verso l’hard Rock nelle quali è decisamente in primo piano il lavoro di Andrea Costa e del suo violino tra l’elettrico e acustico. L’omaggio a Frank Zappa continua con altre due ispirate cover tra le quali la beffarda Zomby Woof.

Nell’acclamato bis si sfoga tutta la rabbia e l’energia accumulate durante il lockdown con l’indiavolata Killing in the name dei Rage Against the Machine che Vellisig interpreta con straordinaria forza e furore sostenuto dalle pelli di Simone Cavia, camaleontico batterista d’eccezione.

Tra i meritatissimi applausi come una rabbiosa rasoiata: Fuck you I wont do what you tell me, Fuck you I wont do what you tell me, Fuck you I wont do what you tell me, Fuck you I wont do what you tell me, Fuck you I wont do what you tell me…e ancora…Fuck you I wont do what you tell me…

Michael League & Bill Laurance:

Due dei musicisti più rivoluzionari, ispirati, innovativi e radicali degli ultimi due decenni si presentano sul palco di Grado molto semplicemente quasi fossero solo due turisti americani in vacanza in Italia passati di lì per caso. E in un certo senso lo sono davvero, come racconta il pianista Laurence, uno dei più incredibili pianisti del jazz contemporaneo: solo fino a qualche settimana fa erano chiusi in casa per il lockdown con moglie, figli e suoceri, nell’inferno quotidiano del confinamento sociale e non riescono quasi a credere di essere liberi e in giro per il nostro paese.

Hanno deciso per un breve tour liberatorio di due settimane, affrontando per la prima volta da quando si conoscono (diciassette anni) le esibizioni semi-acustiche in duo. Come due ragazzi, hanno noleggiato un auto e se la godono da grandi amiconi guidando tra i nostri paesaggi e le nostre storie divertendosi come non mai. Si vede subito che se la godono, con la loro musica trasmettono una gioia che sembrava impossibile recuperare solo fino a pochi giorni fa, dopo tanta cattività e isolamento.

L’informalità è, in realtà, parte integrante del loro modo di interpretare il jazz e le musiche del mondo, che reinventano e mescolano con una naturalezza che è solo dei grandissimi.

Racconta spesso Michael League, impareggiabile bassista co-fondatore degli Snarky Puppy, che alcuni anni fa ebbe un problema per un polipo alla laringe. La prognosi prevedeva un invasivo, rischioso ma risolutivo drastico intervento chirurgico o un omeopatico, forzato silenzio di mesi che doveva agire come calmante dell’infiammazione per far regredire spontaneamente il male.

Decise di recarsi per alcuni mesi di silente meditazione ad Istanbul, una città remota e, letteralmente, fuori dalla sua comfort zone che però gli avrebbe permesso di avvicinarsi ad una cultura musicale che non conosceva per niente e che da sempre lo affascinava.

Trascorso il ritiro spirituale, se ne tornò negli Stati Uniti guarito e per di più imbracciando un liuto arabo a undici corde (Oud) battendo il tempo con un tipico tamburello ad anelli (Daf) e con una grande passione per la musica Gnawa.

Scrive Luca D’Ambrosio in una sua splendida introduzione alla Musica Araba e africana:

La musica degli Gnawa, popolazione stanziata in Marocco ma anche in altre aree geografiche del Maghreb (e oltre) nasce in seguito alla deportazione degli schiavi neri dell’Africa subsahariana e quella settentrionale. E’ pertanto un genere che fonde elementi tradizionali dell’Africa Nera con quelli tipici della cultura berbera e islamica. Un sincretismo afro-arabo contraddistinto da composizioni lunghe, ripetitive e ipnotiche”.i

In buona sostanza, la musica, il silenzio e l’ascolto attivo avevano salvato la vita di Michael League e in più gli avevano aperto nuove prospettive.

È proprio questo il senso generale di questa serie di concerti nell’estate italiana del miracoloso duo: il vero vaccino, già sperimentato da centinaia di secoli, contro ogni forma di epidemia, è la musica suonata e ascoltata con il cuore e con le membra, unica vera salvezza e balsamo per la nostra anima contro ogni isolamento sociale; ci vorrebbe + musicoterapia e – contagiosi proclami terroristici.

Come diceva Fellini: Se tutti facessimo silenzio…forse qualcosa potremmo capire!

Su quel taumaturgico silenzio, significativo e sonoro, si sono intessute anche a Grado Jazz le fantastiche composizioni di League e Laurance. L’Oud ha sonorità sognanti e speziate che il pianoforte amplifica ed estende a dismisura in un orizzonte ambrato e notturno come in una novella delle Mille e una Notte.

Michael League ha fatto davvero tesoro della sua esperienza turca tanto che negli ultimi quattro anni ha partecipato spesso a festival e concerti in quella terra collaborando con i maggiori musicisti nell’antica capitale degli Ottomani. Naturalmente anche molte sue composizioni originali sono influenzate dalla musica turca che lui ritiene molto vicina al flamenco e al tango, suo figlio prediletto. Questo tanto per capire quanto contaminato sia l’universo musicale del bassista americano. Tutti questi suoni e questi ritmi insieme al blues, alla fusion, al jazz e al postrock hanno fatto da colonna portante dell’incredibile esibizione del duo.

Un altro aneddoto significativo, sempre raccontato da League che di tanto in tanto intrattiene così piacevolmente il pubblico, dice che lui e il suo compagno di avventure musicali sono come i due uccellini vagabondi di cui si canta nel primo brano di musica tradizionale persiana che ha imparato ad intonare con l’Oud. Non ha finito nemmeno di dirlo che propone al pubblico estasiato le struggenti note di quell’antica meraviglia e allora moli pensano a Simurg, l’uccello che secondo la mitologia persiana viveva sull’Albero dei semi, l’Albero Tuba da cui erano generate tutte le sementi di tutte le piante e con il suo meraviglioso canto era sorgente di ogni musica e di ogni colore. Qualcuno dice di averlo perfino visto volare silenzioso e notturno sopra il Parco delle Rose proprio mentre Laurence e Leaugue suonavano ma forse aveva bevuto troppi calici dell’ottimo vino dei chioschi.

Il liuto arabo ha fatto spesso da bordone alle improvvisazioni pianistiche per poi sviluppare dolcissime melodie antiche, esotiche e sognanti che sembravano venire dall’altra parte dell’Adriatico e oltre, seguendo l’antichissima linea navale che collegava Aquileia e Grado ad Alessandria d’Egitto.

Quando però League imbraccia il basso la musica diventa subito urbana e scura con sempre quella vaga idea di nostalgia di una città lontana che sembra caratterizzare le composizioni del duo. Scivolano verso le autostrade della notte con un sound che si fa per accumulazione, via via più ricco e martellante che diverte e conquista con le sue accelerazioni e i suoi stop, come una rombante, pericolosa sfida da casello a casello.

League è un bassista esuberante e virtuoso che restituisce e garantisce al suo strumento quella centralità e fascino che fin troppo spesso gli viene negata nel nuovo panorama musicale. Un momento di grandissima intensità e scambio tra i due è stato quando League faceva banding battendo con il palmo della mano destra sulle corde del suo basso e Laurence manteneva il ritmo con il proprio anello sul legno laccato del pianoforte, un incanto così riesce solo ad una coppia di musicisti affiatati, capaci e felici di incontrare il pubblico per stupirlo con autentiche meraviglie.

C’è anche il tempo per qualche ritmo caraibico e poi non potevano mancare gli echi del Samba, altro genere che piace agli dei della musica e tanto anche a noi miseri mortali.

L’esibizione si chiude con la trascrizione di un movimento sinfonico da Sylva, il capolavoro degli Snarky Puppy originariamente eseguito con l’olandese Metropole Orkest che ha un organico di quasi cento elementi. Pianoforte e basso quando sono suonati così davvero sono in grado di evocare un universo in musica.

Bis richiesto a gran voce, la tellurica Ready Wednesday degli Snarky Puppy. Grazie Grado e Buonanotte sono le ultime parole di un visibilmente soddisfatto League insieme al suo degno compare Laurence.

Un concerto che si ricorderà a lungo e che onora nel migliore dei modi i trent’anni della manifestazione.

iLuca D’Ambrosio, Musica Migrante, Arcana ed., Roma 2019, pag.124.

© Flaviano Bosco per instArt