In questi mesi terribili nei quali sull’Europa intera sembra calare nuovamente una cortina di tenebra, l’unica vera risposta possibile e l’autentica speranza sembrano affidate alle energie e alla vitalità di ragazzi come quelli della meravigliosa orchestra voluta da Claudio Abbado nel 1987 e dedicata al genio di Gustav Mahler che da decenni raccoglie i migliori giovani d’Europa per avviarli alla carriera orchestrale.

Da lunghi anni e grazie anche all’impegno del Teatro Verdi di Pordenone, l’orchestra è in residenza estiva presso la nostra Regione, esibendosi come “restituzione” nei teatri e nei luoghi più preziosi del nostro territorio in coinvolgenti concerti molto attesi dagli appassionati. In queste brevi righe si darà conto del concerto tenuto dall’orchestra con grande successo di pubblico al Teatro Verdi di Trieste.

Nel nostro immaginario una compagine orchestrale in un teatro è sempre un caleidoscopio d’umanità, è molto facile immaginare che le persone giù in buca o sul palcoscenico rappresentino il mondo intero in piccola scala. E’ la funzione mimetica del teatro che accompagna la nostra cultura d’Occidente fin dalle età più arcaiche, l’arte imita la vita e la migliora rendendola intelligibile, donandole finalmente un senso compiuto.

E’ facile capirlo oggi quando ragazzi, proprio come quelli della GMJO, invece di suonare, divertirsi e godere della propria gioventù, proprio in questi stessi giorni, purtroppo sono costretti ad affrontarsi a fucilate su due fronti opposti mandati al macello dai soliti tiranni che in varie forme rivendicano i loro degenerati diritti di libertà nel completo disprezzo delle vite degli altri.

Franz Schubert, Sinfonia n°3 in Re maggiore D200 Schubert diceva che: “Le donne si commuovono alla mia musica ma non si estasiano” trovando una giustificazione alle proprie esitazioni e alla propria proverbiale timidezza. Si sarebbe di certo ricreduto nel vedere le giovani musiciste della GMJO e le persone del pubblico. La sua musica è decisamente in grado di entusiasmare e rapire verso dimensioni superiori non solo spirituali così come l’Eros platonico.

Le prime sue sinfonie risentono del clima dell’Imperiale Regio convitto di Vienna nel quale il giovanissimo Schubert grazie ad una borsa di studio aveva avuto la sua formazione musicale.

Conservano tutto il carattere giovanile e l’energia dei “beati anni del castigo” quando tutto era ancora nuovo e non ci sono rimpianti se non quelli verso il futuro che sembra non arrivare mai. I suoi modelli erano ancora di certo quelli di studio, principalmente Haydn e Mozart; il Romanticismo nella sua forma più cupa e solenne doveva ancora venire così come il suo fronteggiarsi con Beethoven.

Tutta la seconda sinfonia, invece, “ride e balla” ai ritmi di tarantella e minuetto, è pura allegria di un giovane innamorato insieme ad un gruppo di amici spensierati e con tutto il futuro che gli si srotola davanti con un’unica grande passione per la musica. Non ci poteva essere niente di meglio per un’orchestra di ragazzi dalle belle speranze.

Schubert compose questa sinfonia a diciotto anni tra il maggio e il luglio 1815, mesi decisivi per la storia europea come pochi altri nei quali si compirono i Cento giorni di Napoleone che il Congresso di Vienna aveva già dichiarato “fuorilegge”, che videro la catastrofe di Waterloo (18 luglio) e la sua definitiva consegna agli inglesi il 15 luglio.

Non è pensabile che il giovane compositore si disinteressasse completamente di quel magma di eventi, sembra provarlo indirettamente anche la foga e l’estro creativo di quei mesi che gli fruttò ben 149 lied. Come scrisse nel suo diario: “O fantasia, inestinguibile fonte dalla quale bevono l’artista e lo scienziato! Vivi presso di noi, anche se sei riconosciuta e onorata da pochi, per preservarci dalla cosiddetta ragione, da quel fantasma senza carne e senza sangue.”

Schubert compose in tempi strettissimi la sinfonia n. 3 per un esecuzione privata diretta dal violinista Josef Prohaska che vedeva lo stesso compositore alla viola. La prima esecuzione pubblica avvenne molti anni dopo la morte di Schubert al Crystal Palace di Londra.

Per quanto riguarda la musica del grande viennese non è una bizzarria e nemmeno un’eccezione; la quasi totalità della sua musica la scrisse senza alcuna commissione ed ebbe il piacere e l’onore di vederla eseguita pubblicamente in teatro solamente in un’unica occasione curata da Johannes Brahms.

L’esecuzione della GMJO al Teatro Verdi si è distinta per la freschezza e l’energia del timbro dei musicisti incanalata dalla sapiente bacchetta di Jukka-Pekka Saraste, finlandese d.o.c, che ha voluto e saputo mettere in risalto tutta la forza della compagine orchestrale in una direzione vibrante che ha fatto dimenticare il solito stereotipo della malinconia Schubertiana.

Nella giovane orchestra europea l’organico previsto nella partitura originale (da due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, timpani oltre alla sezione degli archi) è più che raddoppiato. La GMJO dispone al suo completo di più di cento elementi con un impatto, anche scenografico, sul palcoscenico davvero poderoso.

Il primo movimento (Adagio maestoso. Allegro con brio) è stata un autentica primavera di colori che sorgeva dal crepuscolo come un’aurora evocata da un crescendo solenne dei violini, cui s’aggiungevano i fiati come in un risveglio che si completava con l’Allegro con brio sottolineato dalle sonorità vivaci e sinuose del clarinetto. Poi d’un tratto tutto si placa per dare luogo al secondo tema disegnato dall’intervento sognante dell’oboe che il prato degli archi fa risaltare nel verde brillante dell’estate.

Si scivola molto più placidamente nel II movimento (Allegretto) che ricorda lo stile pacificato e luminoso del sinfonismo di Haydn e che, in questo caso, aveva il proprio baricentro nelle armonizzazioni del clarinetto. E’ tutto un gioco vibrante e partecipato il minuetto che compone le giravolte del II movimento che ha momenti ilari e quasi popolareschi. Lo scherzo giocoso tra il fagotto e l’oboe finisce per trascinare tutti nella grande allegria tutta “italiana” dell’ultimo movimento che è una probabile anticipazione della moda rossiniana e dell’opera buffa che nei primi decenni del XIX sec. imperversò nei teatri viennesi e che Schubert con la sua gioventù sentiva nell’aria.

Jean Sibelius, Sinfonia n°2 in re maggiore op. 43

Sibelius aveva una passione smodata per i sigari, per i cigni e per gli alcolici ed era tutt’altro che la persona arcigna e scostante che appare in foto o nello stereotipo più becero. Il grande cantore della cultura finlandese, considerato, quasi per definizione, “padre della patria”, qualche difetto però ce l’aveva. Sarà stata la sua profonda passione per la mitologia finnica e norrena, oppure l’odio per il grande impero russo ma la sua simpatia per il partito nazista hitleriano non è scusabile in alcun modo.

La sua adesione non fu mai esibita ma il suo radicale, estremo anti-bolscevismo e gli importanti riconoscimenti e favori che ottenne direttamente da Hitler, suo grande ammiratore, non gettano su di lui una buona luce. Anche se l’ultimo periodo della sua vita lo vide tacere artisticamente, nel 1927, infatti, si ritirò a vita privata, non prese mai le distanze dal regime e dalla considerazione che ne ebbe.

In ogni caso, lo stesso si può dire per moltissimi artisti della sua epoca e questo non rende meno importante la loro opera. La musica di Sibelius è meravigliosa, contiene tutta la forza del paesaggio del grande nord cui s’ispira, è un prodigio della natura come la visione di uno stormo di cigni in volo che segnò indelebilmente la sua esperienza estetica. All’animale, simbolo della Finlandia, Sibelius dedicò il poema sinfonico “Il cigno di Tuonela” all’interno della suite “Quattro leggende del Kalevala” basata sul poema epico di Elias Lönnrot.

Anche le sue sinfonie devono essere necessariamente lette nella prospettiva dell’evocazione degli antichi miti e nella rappresentazione dei glaciali paesaggi del grande nord, delle loro brume e delle atmosfere a volte lugubri e gelide, altre sorgive e luminose.

Anche in questo caso l’esecuzione della GMJO è stata sostenuta dall’energica foga dei giovani musicisti che la compongono. A guidare lo “stormo” le ali del primo violino che ha dimostrato grandissimo, visibile entusiasmo e forse non poteva essere diversamente, vista la grande attenzione anche del compositore finnico, in partitura, per quello strumento.

Anche se durante il concerto la questione non è stata per nulla sollevata, la scelta di questa sinfonia assume caratteristiche del tutto particolari alla luce degli orribili fatti di cronaca internazionale cui stiamo assistendo da mesi nell’estremo oriente europeo. Quando nel 1901 Sibelius compose quella che è stata definita la sua “Sinfonia della Liberazione”, la Finlandia era stata invasa dall’impero russo.

Nel 1899 lo Zar Nicola II, infatti, annullò ogni pretesa di autonomia del Granducato di Finlandia che, dopo essersi affrancato dallo storico dominio svedese, si era “affiancato” a quello russo. Seguirono più di vent’anni di russificazione e di tentato genocidio culturale da parte dello Zar.

La società finlandese tutta intera rispose con una strenua resistenza. Sibelius, profondamente nazionalista, fece parte di questa schiera di patrioti. La sinfonia n° 2 rappresenta il suo grande contributo alla lotta di liberazione che si trascinò per lunghi anni fino ad esplodere cruentemente durante la II guerra mondiale per quella che è passata alla storia come “Guerra d’Inverno” contro l’Unione Sovietica.

Ognuno dei quattro movimenti della Sinfonia n° 2 è stato associato ad un momento della recente storia finlandese in chiave patriottica: il primo movimento allude allo stato di vita pastorale, pacifico e bucolico in cui si trovava, in origine, il paese; il secondo rappresenta la violenta e inaspettata invasione dell’orco russo; il terzo descrive le condizione dell’animo dei finlandesi durante l’occupazione e l’ultimo riguarda il risorgere della speranza nei cuori del popolo che si ribella al tiranno.

L’ordito musicale della sinfonia, coerentemente con gli intenti politici del compositore, esorta all’eroismo e alla resistenza contro il nemico che occupa la patria; si avverte in ogni passaggio e soprattutto nella contrapposizione degli elementi orchestrali, la tensione e lo scontro tra le parti, anche se non mancano altrettanti passaggi ariosi e struggenti, melodie che sono, in ogni caso, la voce della sofferenza di un popolo intero; è individuabile a questo proposito un tema che viene rielaborato nei quattro movimenti fin dalle prime battute, tre note ascendenti e in rapida successione, che funge da impalcatura per la strutturazione armonica, tanto che tutto appare coerente e conseguente come il fedele racconto in più parti di una situazione in evoluzione come è davvero.

Le melodie che riguardano il primo movimento della sinfonia (Allegretto – Poco allegro – Tranquillo, ma poco a poco ravvivando, il tempo dell’allegro) si rifanno al folklore finnico con melodie pacificate, allegre e perfino scherzose.

I musicisti della GMJO, suonando anche i passaggi più complessi, si guardavano tra di loro sorridendo; contenti di quello che stavano facendo e condividendo. La vita in quei momenti diventa meravigliosa, sono attimi di sogno dei quali con il passare degli anni si impara a dubitare per le tante delusioni e inevitabili amarezze, ma fin che dura è meglio goderne: “Quant’è bella giovinezza, che si ugge tuttavia”, Lorenzo de’ Medici, il Magnifico, lo sapeva bene.

Con il secondo movimento il paesaggio sonoro e interiore cambia radicalmente e lo stupefacente pizzicato dei violoncelli cui rispondono i contrabbassi e poi di seguito i fagotti incupisce l’atmosfera in lento contrasto con le melodie aeree suscitate dal lavoro degli archi.

Segue un movimento (Vivacissimo – Lento e soave – Largamente) dai fortissimi chiaro scuro con le esplosioni martellanti dei timpani in un continuo finimondo che trova una pace apparente negli interventi del flauto traverso subito sconvolta nuovamente da un tutto orchestrale di rara potenza e intensità.

Nell’ultimo movimento le trombe riportano il tema, tutto sommato elementare, delle tre note cui via via si uniscono gli altri strumenti in un clamoroso crescendo di grande solennità fino all’incandescente finale durante il quale sembra che sorga il sole della speranza dopo tanto dolore e oscurità.

Una cascata di applausi è piovuta sul palcoscenico del Verdi mentre l’orchestra e il direttore, pur non concedendo alcun bis ufficiale, hanno largamente ringraziato il pubblico con la solita liturgia delle chiamate e delle uscite del direttore.

Il pubblico che, quasi frastornato da tanta bellezza, aveva già impegnato le uscite si è sentito richiamare da un divertentissimo, scherzoso brano che i giovani senza il direttore hanno improvvisato suonando in piedi, saltellando tutti insieme per sottolineare alcuni stacchi con vera spumeggiante gioia di vivere proprio quella che dovrebbe sempre accompagnarci e che, in realtà, solo la musica sa far scaturire in noi.

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©