Fabrice Pascal Quagliotti (Tastiere, voce) Eugenio Mori (batteria) Rosaire Riccobono (basso) Gianluca Martino (chitarre) Fabri Kiarelli (Voce)
Il tour italiano dei Rockets, che sta lanciando nell’iperspazio l’ultimo album di inediti “The Final Frontier”, ha toccato il Teatro Nuovo Giovanni da Udine per un attesissimo concerto che sulla carta prometteva moltissima ma che di certo non ha rispettato tutte le aspettative.
Per fugare ogni sospetto si tenga conto che chi scrive queste righe è un fan di lunga data della band space rock originale, che ha comprato il suo primo 33 giri in assoluto nel 1980 ed era proprio “Galaxy” degli alieni francesi dalla mise argentata che in quell’anno imperavano nelle classifiche italiane con il loro singolo “Galactica”. Si perdoni la mancanza di equilibrio e di imparzialità, ma quelle che seguono non saranno propriamente considerazioni critiche, ma solo un punto di vista personale, questione di gusti e come dicevano gli antichi: “De gustibus et coloribus non est disputandum”.
Naturalmente la band era già ben nota al pubblico italiano per “On the road again” di qualche anno prima. La conoscevano bene anche i friulani che avevano potuto vederla in azione al palasport Carnera il 28/10/1979. In quell’anno, che chiudeva i turbolenti ’70 e in quelli successivi con le ultime tardive esplosioni del Punk, le radio non facevano mai mancare nelle loro routines “Anastasis” e la loro hit riempipista “Apache”, cover di un successo dei The Shadows (1960), così come la celeberrima “On the Road Again” era una loro interpretazione della pietra miliare dei Canned Heat (1968).
Questo nuovo tour del gruppo tenuto insieme dal solo Fabrice Quagliotti, che negli ultimi anni non si è mai fermato continuando ad alimentarne una certa popolarità almeno tra lo zoccolo duro degli ammiratori, ha lo scopo di segnare una ripartenza, una rinascita creativa, una nuova avventura, ma, almeno da quello che si è potuto sentire al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, forse andrà meglio la prossima volta.
Un pubblico davvero generoso ed entusiasta ha affollato in ogni ordine di posti il teatro udinese; l’età media era decisamente elevata, ma non mancavano i genitori con i figli adolescenti. I rappresentanti di almeno due generazioni aspettavano i loro idoli d’argento che per decenni hanno nutrito l’immaginario popolare di legioni di fan con la loro musica cosmica piegata al pop-rock e perfino alla tarda Disco Music tutta lustrini e foschia cerebrale.
Nel molto più recente concerto di Udine dei giorni scorsi, dopo che l’astronave era planata sul palcoscenico del teatro, le porte metalliche lasciavano uscire i nostri eroi accolti da un’autentica ovazione; il sogno di tanti ragazzi degli anni ’80 sembrava avverarsi.
I guerrieri robotici di un altro futuro astrale, raggiunte le loro postazioni di battaglia, tra fumi e raggi laser, intonavano le prime evocative note di “Anastasis” e il sogno di tanti, dopo poco, purtroppo, si trasformava nell’incubo di tutti.
Un problema d’amplificazione, di cui nemmeno la band sembrava accorgersi, rovinava del tutto il brano e l’atmosfera. Dopo i fischi del pubblico, lo spettacolo si è interrotto per circa 15 minuti ed è poi ricominciato con l’identica routine sonora facendo venire il sospetto, ai più maligni tra il pubblico, che il gruppo, almeno per alcuni brani, fin da subito si fosse affidato al supporto di basi registrate senza poter modificarne la successione.
“Se il buongiorno si vede dal mattino”… il concerto era iniziato decisamente con il piede sbagliato.
Comunque, dopo la breve improvvida pausa, con le dita incrociate per scaramanzia del chitarrista Gianluca Martino, i quattro cavalieri cosmici riprendevano la loro performance, risalendo pian piano la china dell’emozione. D’altronde “Anastasis” deriva dal greco e significa “resurrezione”. L’ipnotico brano con il suo andamento spiraliforme si presta all’oblio ed è subito tutto dimenticato dal generosissimo pubblico che non ha mai fatto mancare alla band il suo incondizionato sostegno durante tutta l’esibizione.
Il secondo brano in scaletta “Universal Band” è sempre stato quasi una dichiarazione d’intenti:
Universal band We’ll turn you on with our magical sound |
Band universale |
Nel 1980 i membri della band si presentavano come autentici alfieri spaziali portatori del verbo delle stelle e si annunciavano con la magia dei loro suoni. Cos’è rimasto di quel sogno?
Il sound attuale della band è decisamente virato ad un anacronistico hard rock alla Bon Jovi degli anni ’80 con tanto di continuo uso del “talk box” con l’effetto “parlato” dei suoni della chitarra. La versione rockeggiante e sparata a tutta velocità del vecchio anthem, tutto sommato ha funzionato, anche se la voce di Fabri Kiarelli, ultimo acquisto della band, sgraziata e vetrosa da vero rocker d’altri tempi, non sembra particolarmente adatta ad evocare il messaggio delle stelle. Dell’autentica Musica cosmica, almeno come fonte d’ispirazione primaria, è rimasto poco e niente.
Ugualmente dura la seguente “Ride the Sky” che anche a causa della pessima amplificazione emoziona solo i fan di strettissima osservanza.
Non hanno giovano nemmeno i ripetuti incoraggiamenti del cantante che salutando il pubblico aggiungeva spesso l’auto-consolatorio: “Dai che ce la facciamo!” che serviva a scongiurare altri intoppi tecnici ma che faceva precipitare l’hipe già piuttosto compromesso.
Molto emozionante “Astral World”, a detta di Quagliotti un brano che la band non suonava da tantissimi anni, ha davvero ancora un gran “tiro”.
“All 4 One”, è un altro di quei brani dimenticabili ispirato ad un hard rock, banale e frusto che ormai non ha più niente da dire nemmeno nelle sagre paesane.
Peggio ancora il poppeggiante “Lost in the Rhythm” e il seguente “Break the Silence”, meri pedissequi esercizi di stile.
La macchina del tempo ha poi evocato una versione della meravigliosa “Some other time, some other place” dal fantastico album “Atomic” (1982) purtroppo quasi irriconoscibile e svuotata della grande tensione mistica che la caratterizzava.
Naturalmente, non sono mancati nella scenografia proiezioni ed effetti speciali leggermente datati ma di sicuro ancora efficaci.
Alla canzone “Cosmic Cast Away” ha lavorato anche Alain Marat, membro fondatore della band. Pur avendo un grande significato per i cinque musicisti, come dice Quagliotti, non è sembrata così memorabile.
“Electric Delight” è una vera hit da Plasteroid che diventava ancora più bella e straniante quando la puntina del giradischi saltava sui solchi mettendo in loop il riff centrale, emozioni indimenticabili che al concerto di Udine non sono per fortuna mancate.
Il cantante ha introdotto la canzone “World of fire”, scritta più di un decennio fa, con alcune riflessioni personali non del tutto estemporanee che ne garantivano l’attualità. Kiarelli ha dichiarato che da quando ha aperto gli occhi, il mondo è sempre stato in fiamme e continua ad esserlo senza che lui sappia darsi una spiegazione. Chissà cosa ne pensano i bambini di Gaza o di Aleppo e tutti gli altri coinvolti nei mostruosi conflitti della nostra epoca, altro che “mondo in fiamme”.
“Back to your planet”, “Adesso stai bene, sei orgoglioso di te stesso, guardi alla luna e le astronavi lontane, sei sulla via del ritorno al tuo pianeta”, un evocativo brano d’epoca dall’album “Plasteroid”(1979) che ancora sa piacere e convincere tanto da volare alto nel cielo del teatro.
Scavallata la metà del concerto l’hanno fatta da padrone soprattutto i meravigliosi brani del passato che indubbiamente risultano ancora godibilissimi, anche se da una band fondata nel 1974 che incarna almeno 50 anni di storia della musica pop e i sogni di parecchie migliaia di italiani ci si aspetterebbe qualcosa di più sotto il profilo della creatività, per il resto bastano e avanzano i ricordi, le incisioni d’annata, i video su you tube e le cover band.
E’ comunque risultata struggente ma postrema anche la meravigliosa “Fils Du Ciel” cantata in francese dallo stesso ispirato Quagliotti. “Venus Rapsody” è sembrata perfetta per la notte in cui il pianeta appariva luminosissimo nel cielo invernale sotto la falce della Luna.
In sintesi: musica nostalgica e fuori tempo massimo; severa lezione per gli eterni adolescenti con i capelli d’argento che si sono resi conto che i bei tempi andati non torneranno e grande entusiastico successo di pubblico pagante. Quest’ultimo ha sempre ragione, un sold out non si discute, o no?
Scaletta: Anastasis, Universal Band, Ride the Sky, Astral World, All 4 One, Lost in the Rhythm, Break the Silence, Some other place, Some other time, Cosmic Castaway, Electric Delight, World on Fire, Non-Stop, Back to Your Planet, Stand on the world, In the Galaxy, Future Woman, One more mission, Sci-Fi Boogie, Sitting on a star, Fils du Ciel,
Encore: Venus Rhapsody, Cyber Love, On The Road Again
Encore 2: Galactica
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