Sabato 15 e domenica 16 maggio 2021 è andato in scena, al Teatro Comunale di Monfalcone, distribuito da Giovit, Vorrei essere figlio di un uomo felice. L’Odissea del figlio di Ulisse, ovvero come crescere con un padre lontano di e con Gioele Dix.
Gioele Dix si serve di un testo universale come quello dell’Odissea per parlare di padri e di figli nonché della differenza tra le varie generazioni.
La scenografia si presenta fin da subito scarna: un telo, uno sgabello, una sedia, una scrivania e, cosa che attira fin da subito l’attenzione dello spettatore, una candela che rimarrà sempre accesa per tutto la durata dello spettacolo e verrà spenta solo quando questo sarà finito.
Ad alcuni, questo, potrà sembrare un dettaglio insignificante, tuttavia, se si andasse a scavare nel background dell’autore, forse, si potrebbero trovare delle possibili spiegazione nonché delle possibili chiavi di lettura per la rappresentazione stessa.
Gioele Dix proviene da una famiglia di origine culturale ebraica, cultura che a chi scrive piace molto, e con una ritualità molto presente e che si basa su un rapporto con un’idea di Dio umano, capriccioso che agisce nel mondo e non cristallizzata nel tempo come accade nel cristianesimo, tant’è che sono stati i primi a permettersi di dire che Dio non esiste.
Ora, quest’idea di religiosità arcaica è rintracciabile anche nell’antica Grecia e in particolare nei rapporti con le divinità e con gli antenati e quindi, per esteso, con le generazioni precedenti.
Venendo al significato della candela, essa ha la funzione eterea di richiamare la presenza dello Spirito; conciò la rappresentazione assume i caratteri di una veglia funebre ma, parafrasando le parole di Dix stesso, anche il Teatro è un rito collettivo.
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