Al principio c’erano i Jesus and Mary Chain, che sommersero di rumore dolci melodie pop di gusto sixties, scuotendo la scena musicale della seconda metà degli anni ottanta. Molti assaggiarono quella caramella acida ( Psychocandy fu il loro disco d’esordio), ma l’utilizzo dell’ ingrediente principale ( il rumore ) non diede gli stessi risultati della ricetta dei fratelli Reid (due che si picchiavano sul palco per capirsi), i quali ne modulavano vari strati su diverse frequenze come fossero note del pentagramma. I loro epigoni si sono avvicendati nel tempo con intenti diversi: alcuni ne hanno estremizzato la componente noise, altri l’hanno inserita in strutture pop e rock più convenzionali. i due gruppi presenti sul palco di Sexto ‘Nplugged nella serata del 6 luglio 2024 hanno direttamente o indirettamente beneficiato della lezione dei terribili fratellini scozzesi. I Jadu Heart da Londra ne ereditano il gusto pop al contempo dolce ed acido, come dimostra l’ultimo disco ( Derealized, uscito a fine 2023) realizzato nel buen retiro di Bristol. L’incanto delle canzoni in studio sembra, ahimè, svanire nella dimensione live, almeno questo è quanto si è visto nella data del 6 luglio di Sexto ‘Nplugged. L’eclettismo dei due, Alex (chitarra, tastiere e voce) e Diva (basso, tastiere e voce), che su disco riveste di nuovi colori le canzoni, appare on stage piuttosto un limite, visto che toglie compattezza all’esibizione. Accompagnati da batteria e violino ( al quale avrei dato maggior risalto) i Jadu Heart sono riusciti a coinvolgere solo a tratti, a causa anche della voce di Diva che (per problemi tecnici ? fisici ? strutturali?) non ha brillato, al contrario di quella di Alex che è sembrato più a suo agio nella dimensione live.
Quando alla fine è emersa la vena pop (alla Belle & Sebastian per intendersi) il gruppo ha tirato fuori il meglio di sé, rispetto a quando il live set virava su situazioni più aggressive. Dispiace la parziale non riuscita dell’esibizione della band, anche in considerazione del fatto che, come detto, tra le mura di uno studio di registrazione i due dimostrano un raro talento e creano pregevoli manufatti. La cosa si può forse risolvere cambiando l’approccio al live o insistendo sulla componente pop del repertorio. O magari era una serata storta, può capitare a tutti. Per consolarsi continuiamo ad ascoltare Derealized. Diametralmente opposto il caso dei BDRMM dove i due pur pregevoli dischi sembrano non riuscire a contenere l’energia che il quartetto sprigiona sul palco. Il gruppo, entrato in scena alle 23 (probabilmente per riuscire vedere tutta la partita dell’Inghilterra ai quarti dell’Europeo), ha rispettato tutti canoni della compagnia di giovani della provincia inglese in gita fuoriporta: il chitarrista Ryan Smith con capigliatura ossigenata, simpatico e a tratti ciarliero (un intercalare contrassegnato da un discreto numero di fuckin’); all’estremo il corpulento bassista Jordan Smith, dotato di una esuberante vena comunicativa ( cfr. i fuckin del compagno); in mezzo l’altro chitarrista Joe Vickers, con un berretto imbarazzante che lo faceva sembrare il tipo che ti porti in vacanza perchè non lo vuole nessuno; dietro a tutti Conor Munray discreto ma potente con la sua batteria. A vederli forse non avremmo dato loro un euro ( ops ! un pound), ma sul palco si è visto che la lezione Jesus and Mary Chain è stata appresa benissimo. O meglio: l’insegnamento di alcuni gruppi coevi agli scozzesi, tipo gli Spacemen 3 in una jam tossica con i My Bloody Valentine.Come dire: afflato psichedelico, uso ipnotico di certi suoni, granitica struttura ritmica. Nella serata del 6 luglio ha colpito l’impatto dell’esibizione della band che ha suonato come se non ci fosse un domani, presentando in una sorta di unicum sonoro brani tratti principalmente dai due dischi pubblicati. Si parte con un trittico dell’ultimo album ( I don’t know del 2023): Alps/ Be Careful/ It’s Just a bit of Blood con le due chitarre a contorcersi in spirali vorticose, sovrastando la melodia del cantato. In mezzo a tale maelstrom si aprono ogni tanto suggestivi arpeggi ( scuola Cocteau Twins, Slowdive), come nella successiva Is That you Wanted to Hear ?, debitrice di influssi wave ottanta. Rimanere indifferenti ad un concerto simile è stato impossibile: l’onda sonora ed un light show è quanto mai appropriato ad essa, stordenti ed ammalianti (o respingenti per chi è a digiuno di tali soluzioni musicali) ha creato una sorta di avvolgente cupola sonica a cielo aperto. Il pubblico della serata ha mostrato apprezzamento per quanto accadeva sul palco, vale a dire Jordan e Smith che si prendevano la scena cantando e dettando i tempi a Vickers che vagava chino sulla chitarra dalla quale estraeva suoni, distorsioni ed effetti, mentre Murray dava scheletro all’esibizione con la sua batteria. Dal vivo il quartetto di Hull ha estremizzato i suoni del lavoro in studio, dedicandosi ad accentuare le parti strumentali in un delirio di jam shoegaze. Brani come Gush o Happy sono un ibrido di suoni lisergici degli anni sessanta con le istanze elettriche degli anni novanta. Quello visto in Piazza Castello è stato un show raro per intensità ed impatto. Per chi scrive uno dei migliori visti in questa piazza ( e non solo forse). Dopo il concerto BDRMM, Jadu Heart e Slowdive (protagonisti la sera dopo di un meraviglioso concerto) erano seduti ad un tavolo in Piazza Castello. Passato e presente del “nostro” rock davanti a delle birre. Bello, no ?