Ore 19,45 Teatro Nuovo Giovanni da Udine
More Than Blue di Gavin Lin (Taiwan 2018)
Il film mantiene fino in fondo ciò che promette il titolo: “Più della tristezza”. Il regista e lo sceneggiatore della pellicola sul palcoscenico prima della proiezione erano invece l’esatto opposto, sembravano una coppia comica stile slapstick: gioviali, guasconi, cicciosi. Il loro stile, al contrario, si è rivelato fin dalle prime sequenze caramellato e zuccheroso per un intreccio tutto Manga, Noodles e melassa. Come dichiarato nella presentazione:”Un film sull’amore eterno e incondizionato”. Questo era nelle lodevoli intenzioni il risultato è stato molto più modesto.
K e Cream sono due adolescenti un po’ eccentrici che s’innamorano a scuola. La loro relazione cuore e batticuore si snoda fino a quando emerge il terribile segreto di lui. Una malattia terminale che se lo porta via, prima di andarsene, eroicamente K lascia Cream nelle mani di un amico fidato quasi fosse un pacco o un lascito testamentario. Nella prima parte del film gli autori sfoderano una certa verve e un ritmo che rendono quanto meno accettabile l’intreccio, con l’acclararsi della malattia e il prospettarsi della tragedia il tutto vira in un continuo piagnisteo francamente insopportabile e desolante a meno di non essere in età prepuberale e in piena tempesta ormonale. Una bella confezione regalo senz’altro, perfettamente in parte gli attori e molto laccata la messa in scena, ma sotto i nastrini e la carta increspata il contenuto si rivela essere il solito pacco. Tra le tante frasi ad effetto da cartiglio dei cioccolatini che sono state dette nel film una è parsa cogliere nel segno: “Se l’amore potesse essere spiegato, nessuno al mondo soffrirebbe”, comunque Omnia vincit amor, ora e sempre.
Ore 21,50
DoorLock di Lee Kwon (Corea del Sud, 2018)
Kong Hyo_jin è una delle attrici asiatiche tra le più contese del momento. Splendida nel suo sorriso e per la sua avvenenza ha presentato il film che la vede protagonista. Un horror psicologico del tutto particolare anche se non proprio originale basato sulle paure ossessivo compulsive della società coreana. L’angosciosa vicenda è ambientata nella Seoul dei giorni nostri e con gli strumenti del cinema di genere mette in luce una vera e propria piaga sociale che sembra difficile debellare. In sintesi, la condizione femminile rivela gravi problemi di discriminazione con una svalutazione dei diritti sacrosanti del femminile in assoluto contrasto con l’apparente, ultra-tecnologica modernità del paese vera o presunta.
La trama racconta di una giovane impiegata single che vive in un monolocale in un condominio anonimo di periferia. Nello stabile all’insaputa di tutti agisce uno spietato e perverso stalker che nottetempo penetra nelle abitazioni delle vittime senza che queste se ne accorgano, e dopo averle narcotizzate ne abusa. Prima che suoni la sveglia se ne va lasciando le vittime ignare in preda a strani malesseri, se qualcuna comincia ad insospettirsi oltre i limiti la sequestra, la sevizia,l’uccide occultandone il cadavere facendolo a pezzi.
Non serve dire che la nostra eroina dopo un’intricatissima vicenda fatta di continui nervosissimi colpi di scena riuscirà a sconfiggere il maniaco e tutti vissero felici e contenti…e invece no. Il film vuole essere anche un veemente atto di di accusa contro la mentalità maschilista e patriarcale che non tutela fattivamente i diritti delle donne lasciandole in balia di ogni tipo d’abuso: dalle intimidazioni sul luogo di lavoro, agli abusi fisici e psicologici a sfondo sessuale e via di seguito.
Ad un certo punto si dice: “Se ti dimostri buona e debole in questa società il risultato è che diventi una facile preda”. Il film riesce benissimo nel suo intento di precipitare gli spettatori in un turbine di angoscia, terrore e azione al cardiopalma, riuscendo a farli anche a riflettere in modo intelligente su argomenti dei quali oggi, fin troppo spesso si parla senza alcuna cognizione di causa, nel particolare: la condizione femminile, l’intrusione di estranei nei nostri spazi privati, la legittima difesa, l’occhio digitale delle telecamere di sorveglianza che ci spiano ma che non ci proteggono ed altro ancora. Viene in mente, anche per sdrammatizzare, un personaggio de Quer pasticciaccio brutto de via Merulana del nostro Gadda. La singora Menegazzi è una vedova che vive sola nel costante terrore che un qualche malintenzionato penetri nella sua abitazione la derubi e come dice l’autore con un bizzarro neolgismo la servizi. Teme talmente la violenza che questa finisce puntualmente per verificarsi. DoorBlock è un trhiller tutto in maiuscolo che gioca in maniera magistrale con le paure più profonde di ognuno di noi e che impone agli spettatori, una volta rientrati a casa, di chiudere a doppia mandata l’uscio, e controllare bene sotto i letti e dentro gli armadi, giusto per mettersi il cuore in pace e poter affrontare notti tranquille.
Ore 23,50
Two Sisters di James Lee (Malaysia, 2019)
Interessante ma sopravvalutata produzione a basso costo malesiana che ripercorre, anche se in modo piuttosto creativo, frusti cliches dell’horror più tradizionale con un risultato poco coinvolgente e a tratti deludente. Come è stato detto dalla produttrice “Non è affatto facile fare film in Malesia”, per alcuni film non vi è alcun supporto istituzionale e il mercato è molto limitato, i risultati di quella sconsiderata politica culturale sono purtroppo evidenti. Le due sorelle del titolo, interpretate dalle splendide Emily Lim e Mei Fen Lim anch’esse presenti in sala, sono state vittime, in tenera età, di tremendi abusi in famiglia da parte del padre ed hanno assistito al conseguente suicidio della madre distrutta dalla vergogna e dal rimorso.
Il devastante trauma infantile le ha ridotte alla pazzia e al ricovero in ospedale psichiatrico. La vicenda che crediamo dipanarsi nel film con le ragazze che ritornano sul luogo dei delitti, la villa avita, per riportare a memoria le cause dei loro disturbi, scopriamo solo alla fine essere un completo loro delirio psichiatrico, un’allucinazione di due povere menti in preda alla follia, condannate alla camicia di forza e al letto di contenzione. Una sorta di Gabinetto del dottor Caligari del Borneo. Molto fumo e poco arrosto.
© Flaviano Bosco per instArt