@ Fabrice Gallina

Giunta alla 22^ edizione, “Ein Prosit” con i suoi settanta eventi in cinque giorni, la presenza di 25 giovani chef italiani di fama internazionale, i momenti dedicati alle degustazioni guidate e ai laboratori dei sapori e le sue cene stellate, ha regalato alla città di Udine indubbia visibilità suscitando l’interesse da parte dei numerosi appassionati cultori dell’enogastronomia italiana e in particolare di quella del nostro territorio.

Organizzata dal Consorzio di Promozione Turistica del Tarvisiano, con il sostegno della Regione Fvg, di PromoTurismo Fvg, del Comune di Udine e della Fondazione Friuli, la rassegna, oltre ad avere proposto un programma ricco di appuntamenti, puntando, in un momento delicato, al rilancio dei prodotti e della cucina italiana nel mondo, ha proposto un paio di appuntamenti collaterali denominati “Sound&Wine”, incontri tra enogastronomia e musica, andati in scena nella magica atmosfera della chiesa di San Francesco.

A chiudere la kermesse è stata una conversazione brillante, schietta e divertente tra Vinicio Capossela, il più geniale e fantasioso cantautore italiano in circolazione e Josko Gravner, produttore vinicolo definito “profeta del protestantesimo del vino” (blogger Giovanni Scapolatiello – Mister wine) per quella sua ferrea determinazione a difendere un procedimento di vinificazione, priva di tecnologia moderna, sofisticazioni ed effetti speciali, in anfore proprio come aveva visto fare in Caucaso un giorno di più di vent’anni fa. “Amo la terra entità generante per questo utilizzo tecniche non invasive che aiutano la terra a non morire, a rimanere fertile”.
A sollecitare il dialogo Paolo Vizzari, che con consumata professionalità e senza nascondere una buona dose di ammirazione per entrambi, è riuscito a rendere l’incontro incredibilmente piacevole e ricco di spunti di riflessione.

@ Fabrice Gallina

Musica e vino un binomio perfetto, due mondi che richiamano la felicità, il tempo del piacere.
Capossela è un vortice di pensieri e storie, mette insieme miti, ricordi e viaggi, Gravner lascia trasparire tutta il suo pragmatismo, l’amore per la terra e per il suo lavoro di contadino. Una straordinaria lezione di etica e passione, libertà e rispetto per la biodiversità.
Si parla dell’importanza del tempo: di quello orizzontale, una linea che segna passato, presente e futuro, di quello verticale, il tempo del mito, quello che non trascorre, non è deperibile. E questo è il tempo del vino e della musica dirà Vinicio.
Tocca a Josko spiegare a un pubblico attento e partecipe il perché della decisione di cambiare il modo di produrre il suo vino facendolo macerare in enormi anfore.
“Il mio vino non mi piaceva più e, siccome il vino lo faccio per me e quel che avanza lo vendo, ho deciso di voltare pagina e tornare indietro di 5 mila anni”. Una scelta etica, un’etica pulita, responsabile.
Quel vino che vediamo comparire sulla scena, servito in bicchieri molto particolari, coppe senza stelo, una realizzazione dell’artigiano del vetro Massimo Lunardon, ispirate a quelle ciotole di terracotta in cui dei parroci ortodossi così lo avevano servito a Gravner.
“Per i Greci il vino è ciò che distingue la civiltà dalla barbarie – rivela divertito Capossela – L’uomo civilizzato convive con il vino senza farsi sopraffare mentre il barbaro ne abusa fino a diventarne schiavo, fino a farsi accecare come racconta il senso più metaforico della storia di Polifemo.” Un gancio perfetto per eseguire, accompagnandosi con la chitarra, il suo “Vino Vinocolo”, pezzo tratto dall’album “Marinai, Profeti E Balene pubblicato nel 2011.
In un continuo gioco di rimandi i due protagonisti della serata disseminano il tempo di piccole perle di saggezza.
Così impariamo dal cantautore irpino che “il vino è sostanza viva: ci domina o ci permette di ampliare il nostro spettro sensoriale nei confronti della vita. Peccato che il mondo si sia riempito di wine bar – dice sogghignando – mentre a scarseggiare è il vino…meglio portarsi sempre una bottiglia da casa”.
Ammette il contadino del vino (come ama definirsi) che “cambiare il modo di fare il vino non è stato facile ma era importante che il vino piacesse a me”. Suggerisce ai giovani, nei quali ripone grandi speranze, “di non cercare l’autostrada ma preferire il sentiero per un percorso più lento e faticoso. La furbizia è qualcosa che non dura nel tempo”. Ricorda a tutti che “il vino è come una persona: da un assaggio non lo puoi comprendere, devi frequentarlo per capirlo…”. Da uomo che vive a Oslavia, proprio sul confine, Gravner sogna un mondo senza frontiere e si duole per quella che “non è un’Europa di popoli ma solo d’interessi”.
Capossela, che rivela essere la passione per il vino il suo unico vizio, racconta poi di come l’incontro con i vini di Gravner sono stati per lui “amore istantaneo” tanto che “ho pensato a cosa dovevo fare nella mia carriera per poterne bere di più”. Amore che non riuscì a far comprendere all’amico Gianni Mura, il grande giornalista suo vicino di casa, molto scettico sulla bontà dei vini naturali perché diceva “il vino naturalmente diventa aceto”! Così Vinicio si è inventato una nuova definizione per il vino naturale “vino spugna di Cristo”. Serve spiegare?
Tante risate, interessanti divagazioni e tanti motivi di riflessione il tutto intercalato da alcune canzoni (“Le sirene” , “Che cossè l’amor” e “Tornando a casa” con l’esilarante appendice finale della canzone triestina “Ancora un litro de quel bon”) eseguite a un magnifico pianoforte Steinway & Sons (eleganza e suono inimitabile a cura di Lorenzo Cerneaz Pianoforti Udine, rappresentante della prestigiosa azienda per la Regione Friuli Venezia) da Capossela per una serata ad alto gradimento con il pubblico assai prodigo di applausi per tutti i protagonisti, gli ideatori e gli organizzatori.

Non poteva esserci migliore conclusione per l’edizione 2021 di Ein Prosit. In alto i calici, pardòn… le coppe.

Rita Bragagnolo © instArt