Peter Erskine, Eddie Gomez, Dado Moroni si fanno precedere da una tale fama che non hanno quasi bisogno di presentazioni. Soprattutto i primi due hanno avuto un tale influsso sulla storia del jazz degli ultimi cinquant’anni che è perfino difficile parlarne. Al solo pensare alle collaborazioni e ai capolavori musicali cui hanno partecipato c’è da farsi venire il capogiro; due nomi su tutti: per il primo Jaco Pastorius che lo raccomandò come percussionista ai Weather Report e poi Bill Evans con il quale Gomez suonò per undici fecondi, indimenticabili anni.
Moroni non è certo da meno è solo più giovane e con relativamente minori esperienze anche se è uno dei pianisti più acclamati e straordinari della scena musicale contemporanea non solo per quanto riguarda il jazz ma a tutto campo. E’ chiaro che però, per quanto bravo possa essere, il paragone con Erskine e Gomez è fuori scala
Infatti, quello che unisce soprattutto i tre che, come è stato detto, vengono da luoghi e culture completamente diversi è, oltre l’innegabile, evidente affinità elettiva, l’estrema versatilità nei generi e negli stili che tutti e tre hanno dimostrato e che caratterizza il loro comune, eclettico talento. Ognuno di loro si è cimentato sia con la musica colta e il jazz sia con il pop e la, cosiddetta, musica leggera.
Cominciando dall’ultimo della lista, non certo per bravura, Dado Moroni oltre che con grandissimi del jazz come Freddie Hubbard, Ron Carter, Kenny Barron, ha suonato per Ornella Vanoni, Karima, Mietta.
Peter Erskine oltre che con i giganti del jazz suoi pari degli ultimi cinque decenni ha percosso le sue pelli per Joni Mitchell, Pino Daniele, Diana Krall.
Più classico il percorso di Eddie Gomez che però non si è fatto mancare collaborazioni con il batterista progressive Bill Bruford e con il compositore giapponese Masahiko Sato.
Il Parco di Villa Varda a Brugnera è un luogo veramente suggestivo per i concerti, l’enorme parco con grandi viali alberati e il fiume che ci passa in mezzo fanno da bucolico sfondo al palco sul quale si esibiscono gli artisti del sempre prestigioso cartellone della rassegna. In mezzo a tanta naturale bellezza c’è però anche qualche magagna.
Quando all’imbrunire, come dice Dante nel XXVI di Inferno, la mosca cede alla zanzara non si vedono le lucciole ma si viene letteralmente divorati da nuvole di Culex pipiens (zanzara comune) assassine contro cui nulla valgono unguenti e zampironi. Il pubblico viene sottoposto ad autentici prelievi di sangue forzati e brutali. Naturalmente, per chi ama la musica è un sacrificio accettabile, anche perché le piccole vampire alate (solo le femmine pungono) dopo l’orgia di sangue ad una certa smettono e ben pasciute si ritirano a progettare le loro milioni di uova.
E’ proprio allora che la musica comincia. Il concerto è stato brevemente introdotto da Enrico Merlin chitarrista e storico collaboratore del festival, che è il maggiore esperto mondiale della figura e dell’opera di Miles Davis. Tra le sue tante pubblicazioni quella dedicata all’album Bitches brew merita una menzione speciale per accuratezza e rigore. Anche lui ha ironicamente sottolineato la molesta presenza dell’orda famelica dei sanguinari insetti dicendosi favorevole all’Autanasia delle zanzare.
In fondo, il caldo umido e soffocante, gli insetti, gli alberi, il fiume e l’odore di griglia che veniva dal fornitissimo chiosco, potevano far pensare anche ad una festa nel Delta del Mississippi. Cosa chiedere di meglio per un festival Blues? In ogni caso, il folto pubblico presente non si sarebbe mai fatto sfuggire l’occasione di assistere all’esibizione di autentiche leggende del jazz, soprattutto i tanti musicisti, giovani o più stagionati, che nessun sacrificio avrebbe distolto dall’incontro con i propri eroi.
Finite le chiacchiere e le punture di zanzara finalmente, lo spettacolo è iniziato con un omaggio al grandissimo pianista Fats Waller (1904-1943). Il brano è un classico standard What will I do in the morning, rivisitato però dal trio tanto da sembrare una sognante fantasia di samba morbido e felino che fa subito dimenticare le tante punture d’insetto. Gomez mentre pizzicava le corde sembrava davvero rapito e vocalizzava canticchiando, quasi tra se, le note degli accordi. Così facendo ha regalato al brano un’aria di famiglia e di intimità che ha subito fatto sentire tutti più vicini e uniti.
Dado Moroni oltre ad essere un ottimo pianista dal tocco delicato è anche un gran gigione a cui piace un sacco raccontare storie e raccontarsi, così tra un brano e l’altro, introduceva, divagava con una vis comica tutta sua e molto genovese da Gilberto Govi della tastiera, piacevole e intelligente.
Si è continuato con la magia di una rara composizione di Duke Ellington per trio, It’s bad to be forgotten, dall’incedere brillante e scintillante. Lievissimo il tocco di Erskine che lavorava sui piatti e sul charleston senza nessun eccesso. Il suo modo di suonare è stato per sottrazione. Mentre oggi molti percussionisti si presentano in scena con batterie strabilianti piene di elementi e di percussioni tra le più stravaganti, Erskine, almeno in questo caso, ha scelto la via dell’essenzialità con la sua Toma perfino scarna secondo gli standard: due Ride (piatti) un charleston, la grancassa, un timpano, il rullante e un Tom, come unica stravaganza un minuscolo piatto sulla destra. Suonando principalmente con le fruste e con le bacchette felpate esaltava il suo drumming in modo quasi silenzioso e amichevole che annullava la distanza con il pubblico.
Tutti e tre insieme davano un’impressione di soave leggerezza. Un jazz fatto in punta di piedi talmente anacronistico da diventare assolutamente necessario.
Si è continuato con, Lotus Blossom uno strano, atipico valzer scritto da Billy Strayhorn autore di molta musica per Duke Ellington. Era una melodia fatta d’acqua e di grilli che frinivano nella notte, fornendo un impagabile sottofondo, misterioso e privato per le spazzole e per le corde del contrabbasso.
Pools di David Grolnick è una vera e propria hit degli Steps Ahead, fondamentale gruppo Jazz Rock nel quale militarono sia Gomez sia Erskine. Il compositore oggi è ingiustamente ostracizzato e in genere poco considerato, invece, anche a detta di Moroni, aveva un grandissimo talento ed ha aperto nuove strade e attraversato nuove porte del jazz a partire proprio da questo brano.
Grolnick per di più era un vero gentiluomo, affabile, elegante e pacato tanto da essersi guadagnato il soprannome di Uncle Tom che è anche il titolo di un pezzo di Erskine dedicato proprio a lui. Ne scaturiscono melodie dal carattere placido e inclusivo, solari e ampie pur nella loro delicatezza.
A questo punto del concerto Moroni ispirato e visivamente soddisfatto dalla performance ha cominciato a raccontare un fatto molto privato: il primo sorriso che gli ha fatto suo figlio mentre gli stava cambiando il pannolino. La storia potrebbe sembrare patetica ma, invece, fa tenerezza, almeno come raccontata dal pianista. Ne scaturì un brano che è stato suonato senza soluzione di continuità assieme a Forever composta da Eddie Gomez.
Si è voluta anche ricordare la figura di un altro grande musicista americano Bronislaw Kaper che raggiunse una certa notorietà presso il grande pubblico con You and the night and the music
Anche in questo caso, il drumming di Erskine non è stato per nulla aggressivo o tribale ma sempre elegante e raffinatissimo. Non c’è niente di più sperimentale e d’avanguardia della semplicità, e lui che le vie del tamburo le ha battute in lungo e in largo lo sa bene.
Il concerto si è concluso con il magistrale The Intimacy of the Blues, scritto da Billy Strayhorn che è forse la chiave per capire tutta l’esibizione. Il jazz, per quanto grandi siano i suoi interpreti, e a Villa Varda erano di enorme caratura, non può fare a meno di ispirarsi ad una vena semplice e intima che sempre lo pervade. Il Blues è una cosa piccola, familiare, quotidiana che riusciamo a riconoscere immediatamente perché ci appartiene; non è sempre piacevole perché ci fa piangere, ci infastidisce, ci tormenta ma è parte di noi e non ce ne possiamo liberare. Forse è proprio come una zanzara famelica che ci punge in una sera d’estate: Mosquito Bloodsucker Blues!
© Flaviano Bosco per instArt