E’ ormai un legame ben consolidato, quello tra il Rossetti e Alessandro Albertin. Nella programmazione teatrale non succede spesso -infatti- di proporre consecutivamente per due stagioni uno spettacolo ospite. “Perlasca – Il coraggio di dire no” appartiene a quella piccolissima percentuale per cui ciò è accaduto. Una scelta quasi naturale a dire il vero, visto il grande successo dell’anno scorso, con repliche sempre completamente esaurite e un riscontro entusiasta da parte del pubblico.
E’ stato quindi un grande piacere poter rivedere il talento di Albertin per altre quattro serate nella cornice intima e avvolgente della Sala Bartoli. Location che -come lui stesso ha giustamente sottolineato a inizio spettacolo- è perfetta per uno spettacolo come il suo, sia per la già citata intimità sia per l’estrema vicinanza con il pubblico.
Vicinanza che Albertin sfrutta subito, iniziando con l’ormai consueto dialogo con la platea, condito da alcune domande atte a introdurre i minuti iniziali del suo spettacolo. Che non entra immediatamente nella storia di Giorgio Perlasca ma dedica una riflessione a come spesso ci rimangano scolpiti nella memoria le date e gli avvenimenti più importanti, quelli che hanno maggior risalto mondiale, mentre vicende altrettanto influenti ma meno “pubblicizzate” vengano dimenticate. Riflessione molto composta e ragionata, scevra da vuota retorica o facili populismi.
L’assenza di questi due elementi non vale solo per il cappello introduttivo ma per l’intero spettacolo ed è certamente uno dei suoi punti di forza. Nel campo dei monologhi dedicati a una figura storica accade purtroppo che a volte si pigi troppo sul pedale del facile sentimentalismo e si tenda a far assurgere il protagonista a un ruolo quasi beatificato. Il teatro di Albertin da questo punto di vista è una piccola gemma: asciutto, didascalico, trasmette sì tutta la bontà delle gesta di Perlasca senza però trasformarlo in un martire o in papocchio romanzato in pieno stile “buono contro i cattivi”.
Degna di lode anche la caratterizzazione dei vari personaggi che si alternano sul palco: oltre a Parlasca, Albertin cambia continuamente pelle diventando di volta in volta l’ambasciatore spagnolo Sanz Briz, madame Tourné (segretaria dell’ambasciata), l’avvocato ungherese Farkas o diverse personalità delle Croci Frecciate (le forze filonaziste ungheresi che controllavano il paese). Incrociando i ruoli in dialoghi che coinvolgono anche tre o quattro personaggi alla volta. Dovrebbe risultare lampante la difficoltà nel mantenere chiari i diversi ruoli e non confonderli tra loro. Albertin ci riesce alla perfezione: mai nel corso dell’ora e mezza abbondante del monologo ci si chiede chi sta pronunciando una certa frase. Questo sia grazie alle grandi capacità interpretative di Albertin, che usa sia cambi nella voce (e nell’accento, imitando quello di diverse lingue) che nella postura per rendere ogni personaggio unico e facilmente distinguibile. Oltre a qualche piccolo stratagemma scenico e di luci come nel pregevole ritratto del comandante Vaina, leader delle Croci Frecciate: il gioco di luci proietta ombre nerissime sul suo volto, in particolare oscurando completamente le sue orbite oculari e rendendo Vaina profondamente inquietante, quasi un teschio parlante.
Molto particolare la narrazione scelta da Albertin, invece, per quanto riguarda la successione degli eventi. Non un flusso continuo in cui dispiegare tutto ciò che accade nei 45 lunghissimi giorni in cui Perlasca impegnò tutto sé stesso per salvare più di 5000 ebrei dalla morsa nazista ma un continuo salto tra un evento e l’altro. Di certo alla base di questa scelta sta il paragone sempre presente sul palco -forse un pò azzardato, eppure perfettamente funzionale- con una partita di calcio. Non assistiamo quindi all’intero match ma solo ai cosiddetti “highlights”, le azioni più importanti. Assistiamo quindi ai “gol” della squadra di Perlasca: dal riuscire -con il solo strumento della diplomazia- a strappare alle Croci Frecciate l’impegno di non entrare nelle case protette dove l’ambasciata spagnola da rifugio agli ebrei (1-0), allo strappare ai nazisti gli ebrei già fatti salire su un treno destinato ai campi di concentramento (2-0). Così come alle azioni del contrattacco nemico quando scopre che l’ambasciatore spagnolo era stato costretto a fuggire (2-1), fino al modo in cui Perlasca mette in gioco la sua stessa vita quando decide di tentare il tutto per tutto, bluffare e fingersi il console spagnolo, rimettendo così tutto sul piano della diplomazia internazionale (3-1).
Come già accennato, la cosa che maggiormente colpisce sono la semplicità e l’umanità con cui le vicende vengono raccontate, senza inutili fronzoli. E’ grande e ammirevole il lavoro di Albertin, che così risulta profondamente coerente con l’uomo/eroe da lui interpretato: semplicità e umiltà sono state infatti le caratteristiche principali dello stesso “vero” Perlasca, che al rientro in Italia dopo la guerra non espose mai la sua vicenda né alla stampa né -addirittura- alla propria famiglia. Scrisse solo alle autorità competenti sia italiane che spagnole, non per chiedere una ricompensa ma per metterle al corrente e evitare problemi alle persone che oltre a lui erano rimaste coinvolte, come l’ambasciatore Binz. La sua storia ha potuto ottenere popolarità nazionale solo perché negli anni ’80 fu rintracciato nella propria casa di Padova da due degli ebrei che aveva salvato: volevano ringraziarlo per ciò che aveva fatto per loro, e fu questa inaspettato reincontro la chiave per svelare al mondo le vicende ungheresi.
Anche allora Perlasca mantenne la propria umiltà, senza atteggiarsi mai a eroe ma esprimendo un unico desiderio: che le nuove generazioni conoscessero le storie come la sua, per evitare di ripetere gli stessi errori. Il monologo di Albertin riesce perfettamente in questo intento, restituendo una storia emozionante, vibrante pur nel suo essere asciutta e non “romanzata”.
E’ quindi un enorme piacere scoprire -a fine spettacolo- che oltre alle quattro repliche di questi giorni sarà possibile rivivere ancora una volta le vicende di Perlasca in aprile per una rappresentazione speciale non più in Sala Bartoli ma sul palco della Sala Assicurazione Generali.
©Luca Valenta / Instart