Diabolik è un film del 2021 diretto da Marco e Antonio Manetti alias Manetti Bros con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Alessandro Roia, Serena Rossi, Claudia Gerini e Vanessa Scalera nel cast principale.
Lady Eva Kant torna a Clerville dal Sudafrica tuttavia, quando si sparge la voce che il famigerato ladro, noto come Diabolik, voglia rubarle il suo prezioso Diamante Rosa, la bella ereditiera non mancherà di far attirare l’attenzione su di sé.
Non è semplice né da comprendere né da spiegare, ad avviso di chi scrive, la mastodontica operazione che i fratelli Manetti compiono sul fumetto di Angela e Luciana Giussani ma, se si avrà un minimo di pazienza, il recensore proverà a smontare, almeno in parte le singole tessere che compongono lo splendido mosaico che è questo film e non se ne resterà delusi.
Prima di tutto, però, si permetta una breve riflessione sul filone del fantastico e sulla scelta editoriale e di conseguenza industriale del filone fantastico in questo momento: partendo da quello che può essere considerato come l’apripista di questa nuova strada ossia Il Racconto dei Racconti (Matteo Garrone, 2015) dove il regista ricorre al fantastico per deformare quei mostri, allo stesso tempo meravigliosi e terrificanti, che sono gli uomini, raccontando i loro vizi e le loro virtù in maniera più carnale e terrena, svicolandosi cosi dai costrutti borghesi e moraleggianti di certo cinema medio che viene relegato ad un ruolo da educanda.
Altre strade sono state tentate dal cinema italiano, rimanendo sempre in contesti periferici e quasi mai in ambientazioni alto-borghesi ed è qui che ci si trova a un bivio: da una parte un sacerdote del cinema contemporaneo, originario di Knoxville, che va sotto il nome di Quentin Tarantino, caotico ma anche estremamente ordinato; dall’altra, un britannico, un uomo che, per il suo contributo metodico e teorico, si merita senz’altro un posto nel pantheon degli Dei del cinema di sempre: Alfred Hitchcock.
Per far comprendere meglio la portata da rivoluzione copernicana di questo film, si reputa più comodo confrontarlo con un’altra pellicola, sempre interna al filone del fantastico: si sta parlando di Freaks Out del ragazzo prodigio Gabriele Mainetti di chiara impronta tarantiniana che, puntando su una narrazione più muscolare e sull’autonomia delle immagini e non badando all’omogeneità del tutto, realizza un film che non è altro che un mero esercizio di stile.
I Manetti, da grandi conoscitori dei generi quali sono, lo sanno e superano il regista americano, approdando alla corte del cineasta britannico e al suo sapiente uso del mezzo d’espressione primario e dell’istanza testuale primaria (la cinepresa e l’inquadratura) ed ecco che anche il più piccolo dettaglio diventa fondamentale per il risultato finale; non solo i mostri vengono interiorizzati, ma si vestono con abiti eleganti e si chiudono dentro ville, hotel e auto di lusso, inoltre, preferiscono l’uso della dialettica allo scontro fisico e violento, introducendo anche una forte componente ideologica, senza contare che questo è un film di anime nere, Ginko è un misantropo amante solo della legge,
Diabolik è un anarchico ma anche potenzialmente misogino, con Eva a fare da perfetto contraltare dei due.
Parlando con Francois Truffaut, una volta, Hitchcock descrisse cosi il concetto di suspense: si prenda una scena di un uomo seduto al tavolino di un bar, all’improvviso sotto al tavolino scoppia una bomba, questa è sorpresa, ma, qualora pochi istanti prima si vedesse un uomo mettere la bomba sotto al tavolino, allora questa è suspense, ora, questa tensione dettata da un’ossessione come direbbe Manuel Agnelli, insieme alla discorsività della sua figura, contribuiscono a conferire al Re del terrore un’aura misteriosa quasi mitica, in un modello che si rifà palesemente al Batman del’89 di Tim Burton, non a caso un film sui mostri; non solo, ma bisognerebbe parlare di mito anche perché Diabolik, mediante l’ausilio della maschera o delle maschere, potrebbe essere dovunque ed essere interpretato da chiunque e infatti nei prossimi due seguiti cambierà volto.
Non si è mai letto un fumetto di Diabolik, tuttavia, avendo visionato alcune tavole e come dichiarato dagli stessi registi, ci si è ispirati a degli albi ben precisi, in tal senso la scelta dello split screen in fase di montaggio non è casuale e anche le inquadrature richiamano il fumetto ma, questo pone inevitabilmente dei dubbi sulla natura dell’operazione, in quanto non si sa se vogliano omaggiare l’idea dell’oggetto o l’oggetto in sé, lasciando spazio ad ambiguità di natura feticistica: ma cos’hanno fatto? Hanno creato e distrutto Diabolik allo stesso tempo? Ma, pazienza, ciò che non si crea e non si distrugge e quindi ciò che resta, è l’energia perciò il film è energia.
Per i motivi sopracitati si esprime perplessità, riguardo la buona riuscita dei due sequel, ma si vedrà…
Nicola Bertone – instArt 2021©