Emozionante e intima esibizione del grande pianista (in tutti i sensi) Dado Moroni nell’ambito della rassegna Musica in Villa 019. Ha la stazza di un corazziere quello che è considerato, a pieno titolo, l’ambasciatore del jazz italiano nel mondo, visto in regione di recente anche in fantastico trio con Peter Erskine e Eddie Gomez.

Pur essendo nato a Genova è di origine piemontese ed ha insegnato a lungo al conservatorio di Torino (Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna) e per come si racconta in jazz sembra uscito da una canzone di Paolo Conte, anzi ne sembra il figlio segreto. “Quelle bambine bionde con quegli anellini agli orecchi tutte spose che partoriranno uomini grossi come alberi”.

Durante il concerto, tra un brano e l’altro ha raccontato amabilmente della sua iniziazione alla musica afroamericana. Il padre appassionato di jazz, gli faceva ascoltare, fin da piccolo, i grandi autori classici del genere da Fats Waller a Louis Armstrong fino ai rivoluzionari del Be bop e oltre.

Sembrava di vederlo quel bambino degli anni ‘60 assorto nell’ascolto dei tempi dispari che sogna sulle copertine dei dischi, davanti a quei visi in penombra avvolti da atmosfere fumose di club newyorkesi o parigini, proprio le stesse evocate in tante canzoni dell’avvocato di Asti.

Anche Moroni studiava giurisprudenza quando, giovanissimo, ebbe l’avventura di suonare in un club torinese con Dizzy Gillespie, autentica leggenda del jazz. Il magnifico trombettista, dopo averlo sentito, gli consiglio’ di lasciar perdere gli studi perchè il mondo aveva più bisogno di ottimi pianisti che di pessimi avvocati.

Il 10 agosto, la Notte di San Lorenzo, è quello dello spettacolo dello sciame meteorico delle Perseidi. Il palco del concerto era allestito nello spazio che era l’aia dell’azienda agricola di Villa Occhialini a Villaorba di Basiliano (UD); un piccolo palco era stato allestito davanti a quelle che erano le scuderie e le stalle, alzando la testa ogni tanto era possibile vedere la scia di luce di quei detriti spaziali che entravano in contatto con la nostra atmosfera al ritmo delle note di Moroni. E di nuovo vengono in mente i versi di Conte con le aie bianche, sotto le stelle del Jazz.

Naturalmente, questo è solo un gioco di assonanze che lascia il tempo che trova, ma le analogie tra i due musicisti sono ancora parecchie e riguardano sia la formazione musicale che la carriera di musicisti. Anche Moroni, per esempio, ha avuto intense e feconde collaborazioni con acclamate regine della, cosiddetta, musica leggera italiana da Ornella Vanoni, a Mietta, fino a Karima.

Il punto d’unione più forte comunque sembra essere la passione che li accomuna per il grandissimo pianista americano Fats Waller uno dei geni della musica nera, talmente famoso che a suo tempo ispirò Walt Disney per la creazione di alcuni dei suoi personaggi più famosi (Pietro Gambadilegno, Manetta e l’ultima delle Silly Symphonys Mother Goose Goes Hollywood del 1938, nella quale Waller appare nei panni di se stesso in forma di cartone animato).

Con questi argomenti Moroni ha intrattenuto il pubblico della villa Occhialini prima e dopo aver aperto la sua esibizione con personali splendidi arrangiamenti di Basin Street Blues, Way Down Yonder in New Orleans di Louis Armstrong, per poi passare a Black and Blue e The Jitterbug Waltz di Fats Waller. Di questi ultimi due, il primo è una velata denuncia contro la discriminazione razziale, il secondo è considerato come il primo Walzer della storia del Jazz.

Fats Waller è stato davvero geniale, con la sua musica ha saputo varcare ogni confine, tanto da inventare perfino l’antenato del moderno video clip, con piccoli filmati in musica che venivano proiettati nei cinema prima del film in cartellone; si era inventato anche i primi jingles sulla rete telefonica; chi voleva chiamare con una determinata compagnia telefonica dalle tariffe vantaggiose doveva per forza ascoltarsi i motivetti inventati dal pianista per pubblicizzare il prodotto del momento.

Quello che non riuscì ad abbattere fu l’ingiustificabile, orrendo muro della discriminazione razziale, ma quello era troppo anche per le sue titaniche forze. Era acclamato dalle folle e dai media come uno dei più grandi pianisti del secolo ma la sua carriera artistica incontrò sempre ogni sorta di ostacoli e difficoltà semplicemente perché aveva la pelle nera nel paese più “democratico” d’Occidente. Il recente film Green Book di Peter Farrelly (2018) illustra dolorosamente quale fosse la vita di un pianista jazz nero, tra soprusi e discriminazione razziale, negli anni ‘60, figuriamoci cosa poteva accadere ai tempi di Fats Waller.

Il tocco di Moroni sulla tastiera è delicato e gentile e nell’esecuzione di questi standard è classico, pulito e levigato nell’interpretazione tanto da apparire perfino accademico di tanto in tanto ma, per una volta è tutt’altro che un difetto. E’ raro ascoltare un pianista che abbia il coraggio e la classe necessaria di mettersi al servizio della musica senza strafare o per forza sovra-interpretare.

Esiste un registro classico anche nel Jazz che necessita rispetto e moderazione; è proprio un canone che si è stabilito nel corso di un secolo di musica che ha portato il Jazz dai postriboli e dai più sordidi locali malfamati di New Orleans alle sale da concerto più raffinate ed esclusive in tutto il mondo. A contribuire a questa trasformazione e a stabilire quel canone che ha permesso al Jazz di varcare le soglie dei conservatori, anche l’opera di grandissimi musicisti come John Lewis, tra i fondatori del Modern Jazz Quartet, che Dado Moroni ha omaggiato suonando il brano Django dedicato al mitico chitarrista francese.

Non poteva certo mancare un richiamo alla musica dell’immenso Duke Ellington, maestro di color che sanno, più jazz classico di così non è possibile. Lotus Blossom è un brano di Billy Strayhorn uno dei più stretti collaboratori di Ellington, i più maligni sostengono addirittura che ne fosse il ghost writer.

Dopo ancora un cenno alla grandezza di Thelonious Monk e a quella del Be bop, il discorso di Moroni si è fatto ancora più confidenziale raccontando al pubblico la sua recente gioia paterna costituita di un’autentica infatuazione per il primogenito Oscar Alfredo (come Oscar Peterson e Alfredo come suo nonno). Il brano The First Smile un momento di tenerezza nel cui un padre vede per la prima volta il sorriso del figlio mentre gli cambia il pannolino.

Ognuno di noi, ha detto, deve conservare dentro di se il fanciullino che è stato e deve continuare ad essere, per avere uno sguardo più fiducioso e curioso nei confronti della vita. Un gran bell’augurio visti i tempi, uno di quei desideri da esprimere in segreto dentro di se che forse una delle tante stelle cadenti della serata vorrà esaudire.

Come scriveva Pascoli: E’ dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi come credeva Cebes tebano che prima in sé il scoperse ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra…Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo

Per un attimo dal palco, Moroni ha prospettato un duetto con il grande sassofonista Alfonso Deidda presente tra il pubblico fino ad un momento prima ma che non ha voluto palesarsi. Sfumata la possibilità di un duetto che il pubblico avrebbe gradito moltissimo, il pianista si è lanciato nello sconclusionato e divertente ricordo della sua prima visita ad Amsterdam.

Durante una festa, mentre i suoi amici, molto più scafati di lui, si davano ai baccanali e ai bagordi, lui ancora timido e ingenuo, almeno così racconta, si mangiò semplicemente delle fette di torta che però, con sua grande sorpresa lo lanciarono in “orbita geostazionaria” per un paio di giorni. Evidentemente, tra gli ingredienti dell’impasto non c’erano soltanto uova, farina e zucchero ma anche qualche sostanza psicotropa, tanto per gradire. L’esperienza gli fruttò una composizione The Duck and the Dutches, attraverso la quale cercò di esprimere la strana visione che ebbe durante la sua incoscienza nella quale si vedeva perseguitato e deriso da un’enorme paperella da bagno lungo i canali di Amsterdam. Bizzarro ma interessante così come il brano che ha chiuso il concerto, Tad Jones A Child is born. dedicato a tutti i bambini del mondo soprattutto a quelli che soffrono.

Dice Platone nel Fedro ed è proprio il passo che ispirò Pascoli: Forse c’è dentro anche in noi un fanciullino che ha timore di siffatte cose; costui dunque proviamoci di persuadere a non avere paura della morte come di visacci d’orchi.

© Flaviano Bosco per instArt