Replica del 06/03/2022. Una grande ovazione ha salutato la terza replica del capolavoro pucciniano al teatro dell’opera triestino. Il pubblico ha tributato un lunghissimo applauso ad una rappresentazione convincente, coinvolgente e ricca di suggestioni per quanto riguarda le maiuscole interpretazioni canore dei protagonisti e la messa in scena davvero sontuosa.
Non vi è certo bisogno di lodare una delle opere d’arte più grandi della storia della musica; però è giusto rilevare che per il maestro concertatore Christopher Franklin e per il regista, scenografo e costumista Hugo De Hana, confrontarsi ancora una volta con un testo così meraviglioso e complesso, è stata una grande sfida.
E’ proprio la notorietà universale dell’opera a renderla così ostica; basta una minima incertezza, una battuta fuori posto, un lieve ritardo in un attacco a rovinare il delicatissimo equilibrio che non ammette nessuna ridondanza essendo già quasi sovraccarico di forti sentimenti e di emozioni strazianti in tutta la loro gamma di gradazioni possibili: dall’allegria ingenua e appassionata di una donna innamorata, alle perversioni sadiche di un satrapo; dalla spensierata speranza di un pastorello all’amor patrio dei martiri patrioti per la Libertà.
Davvero indovinata l’idea di sovrapporre alla messa in scena teatrale classica delle proiezioni che servivano da raccordo tra una scena e l’altra o che aumentavano l’effetto di una scenografia concepita quasi per far sembrare i personaggi sotto minaccia. Un gigantesco nerboruto braccio di statua colossale sovrastava l’azione, così come un enorme crocefisso e le ante di uno smisurato portale di chiesa, a momenti sembravano rappresentazioni del fato e degli eventi che schiacciano le vite di quei miseri e di quegli ultimi che si dibattono sulla scena, giocando tragicamente i loro destini.
Nella situazione in cui ci troviamo è fin troppo facile leggere la meravigliosa e tragica storia di Tosca alla luce delle verità del rombo del cannone che sentiamo incombere da lontano. La sera della Prima il Verdi ha giustamente tributato un minuto di silenzio alla contemporanea tragedia dell’Ucraina.
Il paragone è automatico tra le infamie ordite dall’orco russo ai danni del popolo ucraino e quelle di Scarpia contro i giacobini Angelotti e Cavaradossi. Ci sembra immediatamente di sapere bene da che parte stare e, invece, dovremmo riflettere di più sugli inganni del potere e capire che anche nel nostro cuore ingenuo e caloroso come quello di Tosca si annida uno Scarpia altrettanto perverso e maligno.
Spesso crediamo di agire e di pensare in modo libero e appassionato ma, in realtà, siamo agiti da un potere pervasivo che pensa anche per noi ordendo le proprie trame di sangue e orrore alle nostre spalle.
“Ma che avvenne?”
Non sapete?
Bonaparte…scellerato…Bonaparte…
Ebben? Che fu?
Fu spennato, sfracellato, è piombato a Belzebù!”
Certo, Putin, il terribile pazzo zar di tutte le Russie come Boris Godunov, ha le mani sporche di sangue e non da adesso, ma come diceva quel signore palestinese: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
In questo caso, come in tanti altri è davvero difficile capire quale sia il vero macellaio, molto più facile è capire chi sono le vere vittime: tutte quelle povere persone innocenti costrette a lasciare le proprie case per rintanarsi a vivere come bestie nelle profondità dei rifugi o forzate a lasciare tutto e a fuggire.
Per fortuna, una volta tanto, l’Europa ha dimostrato di esistere, non solo come entità economica, mobilitando tutte le proprie forze buone, aprendosi ai corridoi umanitari e accogliendo i profughi che necessitano di tutto l’aiuto possibile. E come Cavaradossi ad Angelotti, senza por troppo tempo in mezzo, ha detto: “(generosamente) Disponete di me!” e ancora rispondendo all’invocazione dello stesso “Sono stremo di forze, più non reggo…- “In questo panier v’è cibo e vino!”
Anche qui però dobbiamo riflettere bene su ciò che sta succedendo e ci può aiutare una recente dichiarazione dello scrittore Paolo Rumiz pubblicata da Il Piccolo del 06 marzo che sottolineava come fino a poche settimane fa i nostri confini erano chiusi ai profughi e si parlava solamente di costruire muri di reticolato. Segnatamente la Polonia solo lo scorso anno annunciava di voler innalzare un muro lungo 187 km al confine con la Bielorussia, senza parlare del filo spinato sul confine croato che sembrava piacere molto ad alcuni. Sempre di grande interesse la lettura di “Maschere per un massacro” dello stesso Rumiz.
Nella prefazione a cura di Claudio Magris si dice “La guerra mette a nudo la verità degli uomini e insieme la deforma. Ci sono tanti aspetti di questa verità, uno di essi è la cecità generale – cecità delle vittime, degli spettatori (i servizi d’informazione occidentale, oscillanti tra esasperazione, ignoranza o rimozione dell’orrore e fra cinismo e sentimentalismo) e della “grande politica”, che nel libro…fa una figura grottesca.”
Bene che si sia deciso di riaprire i confini e che si accolga nel miglior modo possibile quell’umanità sofferente ma non bisogna dimenticare le perquisizioni alle cinque del mattino nella sede di Linea D’ombra a Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi che da anni si occupano d’accoglienza, trattati come criminali comuni e le gravi discriminazioni che abbiamo fatto subire fino ad ora ai tanti Angelotti del mondo che bussavano alle nostre porte.
Il suono grave del campanone di San Pietro insieme a tutti gli altri campanili di Roma e ai campanacci delle pecore di un pastorello che canta uno stornello costituiscono l’orizzonte sonoro di uno dei melodrammi italiani più conosciuti al mondo. Tosca contiene alcune arie (Recondite armonie,Vissi d’arte, Lucean le stelle ecc.) che fanno vibrare i cuori al solo nominarle.
Con quest’opera Puccini prese definitivamente il testimone da Verdi che si spense l’anno dopo la prima di Tosca, introducendo la poetica del leitmotiv wagneriano nel melodramma italiano, innestandolo alla modernità più spregiudicata nel corpo vivo di una tradizione melodica che sembrava da secoli immutabile e inconciliabile con ogni radicale innovazione.
Il pubblico trema al repentino annunciarsi del tema di Scarpia, si delizia sentendo la serenità di quello che indica Floria Tosca, teme per la sorte di Angelotti al risuonare del tema del pozzo, ride dei difetti del sacrestano, gioisce per le campane e rimane atterrito dalle cacofonie del colpo di cannone, dagli spari, dalle grida e da tutti quegli effetti davvero spregiudicati e perfino trasgressivi utilizzati dal genio di Puccini.
L’esplicito omaggio al grande Maestro di Busseto e al suo Otello contenuto nelle famose battute di Scarpia: “Per ridurre un geloso allo sbaraglio Jago ebbe un fazzoletto…ed io un Ventaglio!” sembra così un doveroso sentito saluto ma anche una sorta di commiato al supremo rappresentante di una stagione ormai tramontata.
Atto I: Chiesa di Sant’Andrea della Valle. Nel giorno della complicata battaglia di Marengo 14 giugno 1800 dentro una chiesa romana che il regista-scenografo De Ana evoca mirabilmente con proiezioni e con un’imponente scenografia dalle fosche tinte caravaggesche, il pittore Cavaradossi è alle prese con un grande dipinto della Maria Maddalena, come modella ha ritratto, non visto, un’ignota venuta a fare le proprie devozioni in chiesa: “Tanto ell’era infervorata nella sua preghiera ch’io ne pinsi, non visto, il bel sembiante.”
Dai palchi del Verdi guardando dentro il golfo mistico pareva di scorgerla, quella bellezza, tra gli orchestrali “E te beltade ignota, cinta di chiome bionde! Tu azzurro hai l’occhio.”
Una musicista con la sua viola faceva venire in mente una moderna, infervorata Marchesa Attavanti, ma forse era solo la suggestione dell’effluvio floreal della meravigliosa musica di Puccini: “L’arte nel suo mistero le diverse bellezze confonde”…Recondite armonie.
Con l’ingresso di Tosca la scena di seduzione diventa ancora più esplicita e l’atmosfera bollente, anche grazie alla splendida, carnale interpretazione della soprano Maria Josè Siri dalla voce limpida e di grande agile estensione. Tosca arde d’amore e incita esplicitamente il bel Mario, senza troppi giri di parole, ad una notte d’amore infuocata “soli soletti” nella loro casetta che “tutta ascosta nel verde c’aspetta.” Tra “minuscoli amori e perfidi consigli che ammolliscono i cuori.”
Poco dopo, l’atmosfera muta radicalmente con la torva apparizione dello scellerato Scarpia, annunciato dal suo tema basato sul tritono, il Diabolus in Musica, con il quale Puccini ha voluto sottolineare la cattiveria assoluta del personaggio. “Bigotto satiro che affina con le devote pratiche la foia libertina e strumento al lascivo talento fa il confessore e il boia”. Giustamente tenebrosa e scura l’interpretazione del Baritono Alfredo Daza che in più di un’occasione fa venire davvero i brividi allo spettatore che finisce per sentirsi perfino a disagio e sotto l’occhio inquisitore del capo della polizia politica vaticana.
Nella scena nona uno dei momenti più intensi dal punto di vista drammaturgico dell’intera opera, è lo scambio tra Scarpia e la focosa Tosca che, precipitata nel vortice della gelosia dalle sapienti, viscide parole del barone, finisce per metterlo sulla strada di catturare i due giacobin’ fuggiaschi.
Daza e la Siri, ciascuno calato perfettamente nel proprio ruolo, hanno regalato momenti di sensualità, seduzione e altre fosche sensazioni di natura ambigua e luciferina. Scarpia è un orrendo ragno che tesse la sua tela e aspetta nell’oscurità del suo buco per ghermire le proprie prede spaventate come nella canzone “Boris the Spider” dei The Who e farà la stessa gran brutta fine.
Si perdoni il paragone pindarico forse un po’ troppo spericolato ma il barone Scarpia sembra essere uno dei modelli archetipici di tutti i gran cattivi della cultura e dello spettacolo novecentesco (Creepy, creepy, crawly, crawly).
Davvero superlativa la scena del Te Deum che conclude l’atto con la processione del Cardinale e il suo “corteggio” di prelati e croci. Il regista-scenografo De Ana e il Light designer Vittorio Alfieri hanno dato il meglio di se in quanto a immaginazione barocco-gotica dai toni sanguigni e ctoni tanto da far sembrare la solenne orazione con ostensione quasi un sacrilego rituale pagano perfetto per l’empia preghiera di Scarpia che culmina con il tremendo “Tosca, mi fai dimenticare Iddio!” che atterrisce lui stesso mentre il coro invoca “Teaetrnum Patrem omnis terra veneratur!”
Una sequenza quasi cinematografica, irriverente e profanatoria, già nel libretto originale di Illica e Giacosa che acquista nell’allestimento triestino, se è possibile, ancora maggiore nero fulgore.
Atto II: Palazzo Farnese.
Nelle più recenti e diverse messe in scena del capolavoro pucciniano si è sottolineato a più riprese la struttura filmica dell’intreccio e del ritmo con il quale è stata resa la vicenda sia dal punto di vista drammaturgico sia da quello più strettamente musicale.
Il regista Davide Livermore, che curò la prima scaligera del 2019, sostiene che Puccini avesse in mente nel comporre proprio il primo linguaggio cinematografico. Per non farsi mancare niente Livermore fu tra i primi ad aggiungere alla pièce addirittura effetti speciali visibili solo dal pubblico televisivo.
Certo è che dal dramma originario di Victorien Sardou, dopo il successo clamoroso dell’opera di Puccini, furono immediatamente tratte le prime opere cinematografiche, nel 1905 fu il giovane D.W. Griffith a lavorarci e perfino Sarah Bernhardt, per la quale Sardou scrisse il personaggio di Tosca, lo interpretò davanti alle cineprese a manovella nel 1907. Si susseguirono moltissimi adattamenti per il grande schermo. Merita di essere ricordata una versione farsesca, molto più recente, che è La Tosca di Luigi Magni (1973) con Monica Vitti, da poco scomparsa, nelle vesti della protagonista, Vittorio Gassman in quelli di Scarpia e rispettivamente Luigi Proietti e Umberto Orsini in quelli di Cavaradossi e Angelotti. Una vera delizia.
E’ proprio nella parte centrale della rappresentazione che si concentrano fino ad affastellarsi tutte le più diverse emozioni e sinistre seduzioni dell’opera. La stessa camera di Scarpia, con al centro una tavola imbandita che si trova sopra il salone delle feste della Regina Carolina (Strimpellano le gavotte) che comunica con una stanza delle torture (un luogo di lacrime), è un vero e proprio caleidoscopio di umani timori e tremori.
Impareggiabile in questo senso il perverso “manifesto dei piaceri” di Scarpia: “Ella verrà…per amor del suo Mario! Per amor del suo Mario…al piacer mio s’arrenderà. Tal dei profondi amori è la profonda miseria. Ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso. Io di sospiri e di lattiginose albe lunari poco mi appago. Non so trarre accordi di chitarra, né oroscopi di fior (sdegnosamente) né far l’occhio di pesce, o tubar come tortora! Bramo. – La cosa bramata perseguo, me ne sazio e via la getto…volto a nuova esca. Dio creò diverse beltà e vini diversi…Io vò gustar quanto più non posso dell’opra divina!” Vizioso, maligno, blasfemo e libertino proprio come s’addice ad un divin marchese si chiami Scarpia oppure Donatien-Alphonse-François de Sade.
Atto III: Castel Sant’Angelo
Nell’ultima parte il dramma si conclude velocissimo, in un susseguirsi di colpi di scena che sono quasi un precipitare verso l’irrimediabile soluzione della vicenda. Con lo stesso affanno dell’omicida Tosca sembra di salire verso gli spalti della fortezza vaticana, con il cuore in gola si aspetta la scarica di fucileria che non sarà per niente un’uccisione simulata ma l’ultima beffa di Scarpia che aveva falsamente promesso di lasciar salva la vita di Cavaradossi. Infine si resta ancora una volta attoniti per l’ultimo volo della rondine Tosca, che piomba dalle mura tra i nostri singhiozzi. Esistono poche cose così emozionanti ed eterne tra cielo e terra che sembra quasi un sacrilegio anche solo parlarne.
La finta fucilazione del “volterrian” Cavaradossi che si rivela del tutto reale nella finzione drammaturgica fa venire in mente per associazione un’altra. Quella vera che si rivelò fasulla dello scrittore russo F.Dostoevskij. Nel dicembre 1849 lo scrittore fu arrestato per sovversione e condannato a morte insieme ad altri venti imputati.
Davanti al plotone d’esecuzione pronto per la scarica mortale gli venne comunicata la commutazione della pena in lavori forzati a vita. In conseguenza del trauma subito soffrì per il resto della vita di gravi disturbi psichiatrici. Imprigionato nella fortezza siberiana di Omsk scrisse lo sconvolgente “Memorie dalla casa dei morti”, in cui varie umanità degradate vengono descritte come personificazioni delle più turpi abiezioni morali.
Tra queste ultime vanno annoverate anche quelle che hanno portato ultimamente alla cancellazione del previsto corso su Dostoevskij di Paolo Nori all’Università Bicocca di Milano. Il rettorato sosteneva che non fosse opportuno parlare di uno scrittore russo in un momento delicato come il nostro.
Medesimo boicottaggio nella stessa città è toccato al direttore d’orchestra russo Valery Gergiev e alla soprano Anna Netrebko che fu meravigliosa Tosca nell’edizione del 2019 al Gran teatro La Scala di Milano che abbiamo citato più sopra.
Invece di farci accecare dalla bramosia e trascinare dalle passioni di parte, nei momenti difficili dovremmo conservare la lucidità senza seguire il falco della nostra pusillanimità.
“Va Tosca nel tuo cor s’annida Scarpia” e spesso anche in quello di tutti noi.
Flaviano Bosco © instArt