EPICA
“A noi piace un casino confondervi le idee ma ci piacerebbe anche farvi ballare” così disse Giovanni Lindo Ferretti durante un concerto del primo periodo dei CCCP- Fedeli alla Linea, rivelando il profilo sfuggente di un gruppo che non ha mai voluto dare punti di riferimento ma solo stupire e far discutere. Anche la recente reunion del gruppo ha generato discussioni e polemiche, catalizzando l’attenzione, generando pareri favorevoli e contrari ed attirando anche un codazzo di gente famosa, che con loro non c’entra niente. Nelle interviste della
prima metà degli anni ottanta
(ce ne sono diverse online) si può rilevare come,  la capacità dialettica del frontman Giovanni Lindo Ferretti, abile nel dribblare le domande del cronista di turno, portava il discorso su un campo dove solo lui poteva giocare. Del punk al quale sono stati associati dai più la band emiliana ha condiviso lo spirito DIY e la strategia di creazione dei Sex Pistols da parte del duo Westwood / McLaren: comunicazione sfrontata e costruzione di un’immagine di (presunta) rottura. Dal punto di vista sonoro quella dei CCCP è una musica che aveva sì l’attitudine e l’urgenza del punk, ma aveva i ritmi serrati e marziali di una drum machine di scuola teutonica ( DAF e Kraftwerk su tutti), mentre i testi risentivano degli slogan dei Settanta, stemperati da un arguto non sense vicino a certe cose degli Skiantos. Non sense make sense. 
DIVERGENZE
La reunion, come detto, ha posto in alcuni fan della prima ora molti dubbi (riproponendo il vecchio slogan “Fedeli alla lira”), visto che la recente mostra reggiana “Felicitazioni”poteva essere sufficiente a rivangare il passato. Certe perplessità sono in parte fondate: i CCCP del periodo 1984-1987 non esistono più e nei  tre anni hanno preparato il campo ai CSI: Giovanni Lindo Ferretti non ha certo il piglio dei tempi andati, nè il carisma a dire la verità; Fatur non è più l’inquietante personaggio che investiva il live set con la sua presenza, le sue movenze isteriche ed i suoi aggeggi di scena; i “compassati” Massimo Zamboni ed Annarella Giudici sono invece rimasti fedeli al ruolo. Chi ha visto i concerti degli anni ottanta sa che non troverà più quel mood che destabilizzava il pubblico, attirandolo e respingendolo contemporaneamente, con uno ieratico Ferretti che lanciava anatemi e slogan e con la presenza inquietante di Fatur che si aggirava sul palco.Robe di altri tempi, dei quali il gruppo emiliano è stato testimone e cronista.

PATHOS

Il concerto del 12 luglio a Romano D’Ezzelino nell’ambito dell’ AMA Music Festival ha evidenziato proprio questa normalizzazione: Ferretti ha cantato con la voce sicura e profonda del passato, ma in maniera quasi distaccata ed assente, immobile e con le mani in tasca, mentre la presenza scenica di Fatur è quasi nulla. Diremmo quasi innocua.
Il gruppo ha quindi perso quell’intensità e quella fisicità che lo rendevano peculiare nel panorama musicale non solo italiano. Sono rimaste però le canzoni, suonate comunque in maniera eccellente e capaci di risvegliare ancora emozioni. Il suono dal vivo non è più scandito dalla metronomica drum machine, ma da una batteria vera e propria, alla quale si sono aggiunte anche un’altra chitarra (e violino) e tastiere, mentre al basso c’è il fedelissimo Luca Rossi degli Ustmamò.
Alcuni brani hanno perso parte del loro impatto originale, mentre altri (quelli della parte finale di carriera) hanno beneficiato della maggior ricchezza degli arrangiamenti. Stati d’agitazione ha smarrito quella tensione di marca Suicide che veniva garantita da un suono più grezzo, mentre l’appendice di Libera me domine è apparsa piuttosto scialba. Emilia paranoica è partita serrata e cupa come in origine, ma a metà durata ha assunto un arrangiamento convenzionalmente rock che l’ha depauperata. L’iniziale Depressione caspica al contrario ha avuto giovamento della maggiore ricchezza strumentale, come pure una Maciste contro tutti resa maestosa dall’intreccio delle chitarre e della sezione ritmica. Madre, poi, si è mantenuta solenne ed intensa come un tempo. Un vero classico.
CANZONI E PREGHIERE
Le anime silenti dei CCCP (Zamboni e Annarella) sembrano non aver subito (sul palco) i cambiamenti del tempo. Il chitarrista grattugia il suo strumento con la determinazione dei giorni migliori, dirigendo il suono della band, dettando con la sua sei corde tempi e modi delle canzoni. Lo abbiamo avvertoto nella riproposizione delle canzoni più vecchie: Curami ha bruciato della stessa urgenza di quarant’anni fa; Io sto bene è ancora il trascinante inno che invita a ballare ( e pogare); Spara JuriLive in Pankow hanno lanciato fendenti elettrici che hanno sommerso il pubblico entusiasta. Dal canto suo la “benemerita soubrette” ha declamato, come allora, testi a mezza via tra comunicati e poesie urbane, creando intriganti sipari tra un pezzo e l’altro, oltre a stupire con i più svariati travestimenti. Il variegato pubblico composto da “chi c’era” e da “chi all’epoca non li conosceva” ( oltre ai figli e nipoti di questi) ha applaudito, ballato (senza pogare però) e cantato, dimostrando di conoscere a fondo il repertorio del gruppo. Il tutto si è concluso con “la sedicente cover” di Amandoti, che ha dato prova che la voce di LIndo provoca ancora i brividi.
SECONDO MILLENNIO
Sono passati quarant’anni da Ortodossia, primo singolo dei CCCP- Fedeli alla linea e trenta da Catartica, esordio dei Marlene Kuntz patrocinato proprio dal Consorzio di Ferretti e Zamboni. Al gruppo piemontese è toccato aprire la serata palesando un ottimo stato di forma ed il fatto di non aver perso una briciola della carica degli esordi. Le canzoni di Catartica hanno avuto il sopravvento sul set suonato a Villa Ca’ Cornaro, col loro carico di chitarre sature ed aggressive appoggiate da una parimenti feroce sezione ritmica. Sonica ha celebrato le dissonanze dei Sonic Youth, come pure Festa Mesta, mentre Canzone di domani ha evidenziato una vena più melodica come pure Lieve, gioiello sonoro che beneficiò della cover e del relativo endorsement dei CSI. Quasi un ora di un piacevole delirio sonoro figlio sia delle avanguardie noise statunitensi che della scuola cantautorale italiana, che per trent’anni ha fatto da traino ad un bel numero di gruppi del Belpaese. In sostanza i CCCP ed i Marlene Kuntz hanno caratterizzato due epoche diverse della musica nostrana, senza compromessi o facili concessioni allo show business. Non è poco.
© Daniele Paolitti per InstArt 2024