Seguo Carmen Consoli da più di vent’anni, cercando di partecipare ai suoi live ogniqualvolta torna a visitare la nostra regione. Vent’anni di emozioni, di concerti sempre nuovi che sanno ogni volta stupire e commuovere in modo diverso e che mi fanno sempre più considerarla l’artista italiana più brava e più influente di questi decenni. Di conseguenza questa più che una recensione sarà una dichiarazione di quell’amore che sempre ho provato verso la sua musica e che si è rinnovato ancora una volta la settimana scorsa, sotto le torri e i cammini di ronda del Castello di San Giusto.

Atto 1: L’amore verso un’artista che si rinnova a ogni concerto

SI potrebbe assistere anche a cinquanta tour di Carmen Consoli, eppure si vedrebbe ogni volta qualcosa di diverso. Non solo per il differente allestimento, per gli arrangiamenti o i musicisti che la accompagnano. No, Carmen è in grado di dare un nuovo senso ai brani, facendone risplendere ogni volta di diversi, come se a ogni tour tirasse fuori un diamante diverso da una borsa e dicesse al pubblico “ecco, stavolta per voi ho speso tanto tempo a ripulire e sistemare questa”. Mi ricordo ancora oggi una “Blunotte” (purtroppo mancante quest’anno) da brividi un po’ di anni fa al Castello di Udine, o una “Mio zio” così viscerale da far scendere le lacrime solo un anno fa a Gradisca d’Isonzo.

A Trieste invece è stato il turno di una “Fiori d’arancio” come mai l’avevo sentita prima d’ora, complice la combinazione nel trittico di pezzi (Mio Zio, Geisha e appunto Fiori d’arancio) legati dalla bella e dettagliata spiegazione sulla violenza contro le donne in famiglia e l’omertà che al Sud ancora c’è su quell’argomento. O ancora una sorprendente “Stranizza d’amuri” che ha fatto trasparire tutte l’ammirazione verso un amico e collega quale il Maestro, Franco Battiato.

Atto 2: L’amore verso una terra

Questo non è in realtà un atto d’amore che parte da me ma da Carmen stessa. Nel suo continuo reinventarsi e proporre chiavi di lettura nuove, “Terra ca nun senti” riesce a tracciare un interessantissimo percorso su storia, cultura, credenze e contraddizioni della sua amata Sicilia attraverso le parole dei brani della sua lunga carriera. Uno sguardo sì colmo d’amore ma anche di critica verso ciò che ancora non funziona in una terra così piena di risorse (anche culturali, e un’artista colta come Carmen lo dimostra) ma allo stesso tempo ancora sotterraneamente ancorata a catene culturali ormai anacronistiche ma durissime da spezzare.

Atto 3: L’amore verso la poliedrica complessità di un’artista vera

Non pensiate di andare a un concerto di Carmen per “staccare il cervello” o prendervi due ore di svago. La Consoli è una musicista che ha sempre fatto della complessità e varietà dei testi un suo cavallo di battaglia, sia nei brani più palesemente polemici o di denuncia sociale (penso nuovamente a quella “Mio zio” a cui sono particolarmente legato) che in quelli apparentemente più leggeri nell’adattamento e nel modo di cantarla (nel caso di Trieste la prima a saltare alla mente è “Maria Catena”, che se ci si lasciasse cullare solo da note e inflessione della voce pare una dolce ninna nanna). Ed è una gioia seguire questa complessità nei live, gustando ogni singola parola e stando attenti a come solo il modo di Carmen di cantare dica molto più delle parole pronunciate e aggiunga significato al messaggio che vuole far passare. Il tutto condito da una presenza scenica imponente, che sa creare una forte connessione col pubblico grazie a continui scambi di battute o spiegazioni, senza limitarsi a snocciolare un brano dietro l’altro senza dire null’altro.

Potrei aggiungere tanti altri atti ma siccome odio le sviolinate eccessivamente lunghe preferisco fermarmi qui. Con un consiglio finale: fatevi un favore e andare a vederla quando passerà nella vostra regione. Ne uscirete arricchiti. Anche se avete già assistito a suoi concerti in passato: ogni incontro con Carmen è un’esperienza nuova, diversa, speciale.

Luca Valenta /©Instart